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ell’editoriale di oggi, Giovanni Orsina, parte dall’analisi fatta da Alberto Mingardi nel suo articolo: Regole, complotti e welfare: l’Italia dei Cinquestelle nelle loro 514 proposte di legge, per approfondire ancor più il tema andando a scandagliare altri punti caratterizzanti il M5S, e ad approfondirne altri, a partire dalla loro etichetta di «antipolitici».
Ma leggiamo quanto scrive Orsina. Buona lettura!
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L’irresistibile fascino del controllo GIOVANNI ORSINA
L’analisi delle proposte di legge presentate da deputati e senatori del Movimento 5 Stelle che pubblica oggi questo giornale conferma un dato che la vicenda dei grillini è venuta mostrando sempre più chiaramente: chiamarli «antipolitici» non è sbagliato, ma è parziale. Non è sbagliato sia perché il M5S si oppone alla politica per com’è stata finora, sia perché nega che la politica abbia una sua propria logica autonoma. E, di conseguenza, che chi la fa debba avere talenti o competenze speciali. Ma è parziale perché alla politica – una volta che sia stata restituita ai cittadini, naturalmente – non intende affatto dare meno potere. Al contrario, gliene vuole dar di più. Un più robusto controllo sull’economia e la produzione. Una più stringente tutela dell’ambiente. Un welfare più protettivo. Ma anche una più ampia e penetrante attività di investigazione pubblica su eventi e fenomeni controversi.
Se lo si osserva da questo punto di vista, il Movimento non è affatto antipolitico. Semmai è iperpolitico. Ed è uno straordinario figlio del suo – o meglio: nostro – tempo.
Motivo non ultimo per il quale sta manifestando una capacità di tenuta che in pochi avrebbero immaginato tre anni fa. Ma che tempo è dunque il nostro? A dirla in breve: sempre più si sta dimostrando come un tempo caratterizzato dalla domanda (largamente frustrata) di politica. Ossia, domanda di protezione da un futuro considerato incerto e minaccioso. O anche, e in maniera ancora più ambiziosa, domanda di perfezione: desiderio che il mondo funzioni esattamente come vorremmo che funzionasse.
È pure per questa ragione, mi sembra, che facciamo così tanta a fatica a comprendere gli avvenimenti dei nostri giorni: perché la richiesta prepotente di politica si sovrappone da un lato con l’assai modesta capacità delle democrazie di risolvere davvero i problemi dei cittadini; dall’altro con l’affievolirsi o lo scomparire delle tradizionali linee di frattura ideologiche del Novecento. L’iperpolitica si intreccia con l’antipolitica, dando luogo a grovigli complessi, inediti e imprevedibili. Ed è appunto in quei grovigli che prospera il Movimento fondato da Grillo. Che scompone e attraversa le linee di frattura tradizionali in maniera tutt’altro che coerente. Ma riesce a trasmettere ai suoi elettori il senso che la politica può e deve riprendere il controllo: l’utopia è a portata di mano, sol che la si voglia raggiungere.
Proprio perché l’utopia è a portata di mano, se non la si raggiunge dev’essere perché qualcuno ce lo impedisce. Da qui l’insistenza sulla malvagità dei gruppi di potere, e sulla necessità di smascherarli e distruggerli, che emerge dalle proposte di legge – ma, più in generale, da tutta la cultura politica – del Movimento. Non è certo da oggi, del resto, che desiderio di perfezione e timore delle cospirazioni marciano in coppia: se le cose non vanno, è sempre colpa di qualcuno; e se quel qualcuno lo si colpisce, le cose non potranno che riprendere a marciare. Non è certo da oggi, sì – ma oggi, anche per le ragioni che ho detto sopra, il clima storico sembra più favorevole che mai a quella coppia. Del resto, è il clima nel quale, a forza di cercar colpevoli, s’è arrivati al punto di condannare dei geologi per non aver saputo profetizzare un terremoto.
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