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n Parlamento giunge il disegno di legge sulla legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” ed il caso ha subito suscitato molti commenti pro e contro, anche sotto l’aspetto malavitoso legato al commercio delle droghe, che hanno generato anche diversi articoli per spiegare i motivi di chi ritiene che siano utili ANCHE per indebolire la malavita (mafia ecc ecc) che di questo mercato fa tesoro, e chi invece, pur se ne condivide l’effetto positivo sotto il profilo medico (per alcune cure) avverte che, liberalizzarle tout court – senza cioè specificazioni, chiarimenti, giustificazioni mediche e quindi, alkla fin fine, senza una necessaria prescrizione medica, non solo non contrasterebbe le mafie ma aumenterebbe i danni sociali che si avrebbero con ulteriori ricadute anche economiche di miliardi.
Lo slogan dei favorevoli è: “Non voglio drogarmi, odio il consumo, per questo sono a favore” del disegno di legge che arriva finalmente in Parlamento.
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I “contrari” ad una liberalizzazione tout court citano un recente rapporto dell’ente Onu per la sanità (Oms), who.cannabis.report, che dettaglia il danno da cannabis in relazione all’età del consumatore, la frequenza dell’uso e la potenza della dose e concludono dicendo: «invece di promuovere nuove forme di controllo dell’offerta legalizzando la droga, è più efficace prevenire la domanda, intensificare le terapie di recupero, e ridurre i costi sociali conseguenti all’uso. Soprattutto, il tossicodipendente va assistito in ospedale, non cacciato in galera; l’azione repressiva ha fallito».
Ma leggiamo ora due pareri a confronto:
Legalizzazione cannabis, così può indebolire mafie e terrorismo. ROBERTO SAVIANO
PARLARE di legalizzazione delle droghe leggere (lo faccio da anni) non è affatto semplice. E sapete perché? Perché legalizzare viene percepito come “fate pure”, anzi “fatevi pure”. Anche adesso che in Parlamento finalmente comincia la discussione sul disegno di legge, la confusione tra legalizazione e incentivo a fare uso di droghe è il grande equivoco su cui discutere. Legalizzazione è esattamente il contrario della promozione al consumo. Legalizzare significa portare alla luce ciò che fino ad ora è stato avvolto dall’oscurità più cupa del mercato nero. Legalizzare le droghe leggere farà estinguere le mafie? Nemmeno a parlarne.
Legalizzare le droghe leggere farà scomparire completamente il mercato illegale? Ovviamente no. E allora perché legalizzare? Perché legalizzarle indebolirà le mafie sottraendo loro capitali e allo stesso tempo ridimensionerà il mercato illegale. Chi vorrà fumare uno spinello preferirà di certo sostanze controllate che si possono acquistare regolarmente, senza incorrere in sanzioni, e non andrà a cercare un pusher giù in strada, non chiamerà lo spacciatore che si “leva” il fumo in casa, inventando parole in codice al telefono per capire se è un momento buono per andare a prenderlo o no.
Eppure è così difficile fare breccia nei ragionamenti di chi è contrario senza appello. Di chi non vuole sentire ragioni perché – dice – “non si può scendere a patti con le mafie”, “non si può accettare il male minore”, “si devono debellare le droghe, non renderle legali”. Chi potrebbe dirsi contrario, teoricamente, a questi principi? Il genitore che teme per i propri figli? Il fratello che ha scoperto che il piccolo di casa fuma spinelli di nascosto? Non scherziamo: a nessuno verrebbe in mente di mettere in discussione questi principi generali. Ma dobbiamo fare i conti con il mondo reale. E il mondo reale è quello in cui chi fuma due pacchetti di sigarette al giorno (ma anche uno) rischia di ammalarsi di cancro. Il mondo reale è quello in cui quando bevi tre cocktail sei pericoloso per te stesso e per chi trovi sulla tua strada se poi ti metti al volante. In Italia le vittime del tabacco sono stimate sulle 80mila all’anno. Le vittime dell’alcol 40mila. E invece non c’è una sola vittima causata da droghe leggere. Nemmeno una.
Non convincerò gli scettici dicendo che applicando alla cannabis la stessa imposta del tabacco lo Stato incasserebbe in tasse tra i 6 e gli 8 miliardi di euro. Ma forse potrei richiamarli alla responsabilità ricordando che le droghe leggere sono merce di scambio tra organizzazioni criminali e organizzazioni terroristiche. Sapete come è stato finanziato l’attentato in Spagna del 2004? Con l’hashish che i gruppi vicini ad Al Qaeda hanno venduto anche alla camorra napoletana. Lazarat, in Albania, la capitale mondiale della marjiuana, è finita sotto il controllo di gruppi criminali che sostengono Daesh. L’Is controlla ormai una produzione da oltre 5 miliardi di dollari. Sì, l’erba e l’hashish sono diventati gli strumenti primi di finanziamento delle organizzazioni fondamentaliste. E legalizzare sarebbe adesso un modo per sottrarre alle organizzazioni criminali tra gli 8 e gli 11 miliardi di euro l’anno.
Dove voglio arrivare? Esattamente qui: se il mondo che viviamo non ci piace, abbiamo davanti a noi due possibilità. La prima è pensare al mondo ideale che vorremmo e quindi percepire come compromissorie tutte le misure intermedie, quelle che intervengono riformando gradualmente, e che siccome non riescono a risolvere il problema immediatamente e nella sua totalità vengono avvertite come inutili. L’idealità sarà salva: ma la realtà va in rovina sempre più, allontanandosi dunque irrimediabilmente da quel mondo tanto ideale quanto irraggiungibile. La seconda possibilità che abbiamo è quella di provare a “riformare” la realtà che viviamo: procedendo per tentativi, ragionando, misurandosi con la complessità dei problemi reali. Esempio. Le mafie esistono, fanno affari con il traffico di droga, ma anche con edilizia, appalti, servizi, gioco d’azzardo, ovunque c’è una falla nel sistema, o meglio, ovunque c’è una “domanda” a cui fare corrispondere un'”offerta”. Ma di tutti questi ambiti il più redditizio resta il mercato degli stupefacenti. Perché è il più rischioso: ma è anche quello che procura i capitali per poter poi occuparsi di tutto il resto. Dove credete infatti che le organizzazioni trovino la liquidità per corrompere amministratori pubblici e politici? Dove credete che trovino le risorse per poter creare dal nulla aziende competitive sul mercato, che anzi con il mercato a volte non devono nemmeno confrontarsi perché guadagnano altrove e lì ripuliscono solo?
La risposta a tutte queste domande non può essere il solito mantra: “Anche Paolo Borsellino era contro la legalizzazione”. E non solo perché Borsellino diceva innanzitutto una cosa diversa: “Non bisogna stabilire una equazione assoluta tra mafia e traffico di stupefacenti, la mafia esisteva ancora prima e probabilmente, se mai dovesse scomparire il traffico di stupefacenti, la mafia esisterà anche dopo. È da dilettanti di criminologia pensare che legalizzando il traffico di droga, sparirebbe del tutto il traffico clandestino”. Giustissimo: infatti la mafia non scomparirà. Ma dovrà leccarsi le ferite: perché uno Stato che legalizza le droghe leggere è uno Stato forte che non ha paura di combattere. Guardiamo poi i dati. Il Portogallo nel 2001 depenalizza la cannabis e lì in 15 anni diminuisce il consumo. L’Uruguay nel 2013 e il Colorado nel 2014 ne legalizzano il commercio a scopo ricreativo: e anche lì il consumo diminuisce invece di aumentare.
Ma non basta. Chi continua a opporsi alla legalizzazione ragiona più o meno così: se le droghe leggere venissero legalizzate si incrementerebbe il mercato di droghe più pericolose che lo Stato non potrebbe affatto legalizzare (droghe chimiche, cocaina, eroina). Ma perché mai? Se le droghe leggere divenissero legali, chi ne faceva uso prima potrebbe continuare a farlo senza rischiare sanzioni. Il mercato delle droghe, come ogni altro mercato, è fatto di domanda e offerta. E oggi le organizzazioni criminali rispondono perfettamente alla domanda di droghe diverse da quelle leggere, essendo un ambito nel quale le mafie hanno maniacale attenzione. È evidente come su questo fronte non cambierebbe nulla e chi oggi fa uso di droghe leggere non inizierebbe certo a fare uso di cocaina, eroina o metanfetamina solo perché quelle leggere sono diventate legali. Sembra una barzelletta: Tizio fino a ieri fumava solo spinelli, ma da quando lo spinello è legale, per il gusto di trasgredire, ha deciso di sniffare cocaina. A me sembra un ragionamento assolutamente privo di buon senso. E a voi?
Ecco perché il fatto che il Parlamento oggi discuta una legge moderna sulla legalizzazione è già un atto rivoluzionario. Certo la speranza è che non diventi, come è successo con il ddl Cirinnà sulle unioni civili, bersaglio della politica più retrograda. Non permettiamo che la discussione si concentri unicamente sulla coltivazione della canapa a uso terapeutico ma pretendiamo invece responsabilità: è della legalizzazione della cannabis a uso ricreativo che si deve discutere, unico strumento che abbiamo per arginare lo strapotere delle organizzazioni criminali e per far diminuire il consumo. La repressione ha fallito. È tempo che Parlamento e politici italiani prendano posizione a favore di questa legge e lo facciano con fermezza. Basta con le questioni di principio: è con i dati alla mano che bisogna lavorare per indebolire le mafie. I 1.300 emendamenti presentati da Area popolare e il silenzio, su questo, del presidente del consiglio dimostrano, ancora una volta, come la politica non riesca a liberarsi da quella zavorra che ha un nome preciso: e si chiama ricerca del consenso. Nel senso più semplicistico di voti – e potere. Invece le nuove energie sociali e lo sviluppo si sprigionano proprio dal coraggio in tema di diritti, come accaduto per la legge sulle unioni civili: sbilenca, ma almeno esistente. Per questo il mio appello è rivolto soprattutto a chi non ha mai pensato minimamente di fare uso di droghe leggere né di volerne un uso di massa. Le parole d’ordine, insomma, sono “non voglio drogarmi, odio il consumo. E per questo legalizzo”.
I “Contrari” si attestano su un: Sì all’uso terapeutico e no al libero mercato, ma senza criminalizzare i consumatori.
Tra i “contrari” troviamo Antonio Maria Costa (dal 2002 al 2010 direttore esecutivo dell’ufficio Onu per la lotta alla droga e al crimine), che nell’articolo che vi riportiamo a seguire fa un’analisi dello stesso tema partendo da altra visuale e giungendo quindi ad una soluzione collaterale: sì alla legalizzazione, ma solo su ricetta medica e quindi NO ad una liberalizzazione.
“Un errore legalizzare la cannabis. Provoca danni sociali per miliardi”. ANTONIO MARIA COSTA
Da oltre un secolo vari accordi internazionali sanciscono l’uso della droga solo a scopo terapeutico: l’uso ricreativo è interdetto. Il risultato di tale politica è discusso. Dal punto di vista della salute, i benefici sono innegabili. La droga è consumata dal 5 percento della popolazione mondiale, assai meno di tabacco (30%) e alcol (25%). I decessi per droga ammontano a 500 mila l’anno, contro l’ecatombe causata da tabacco (6 milioni) e alcol (3 milioni). Al contempo, l’interdizione della droga ha dato luogo a uno spaventoso narco-traffico, per un giro d’affari annuo di 300 miliardi di dollari. Intere regioni in Asia e America Latina, dove la droga è coltivata, sono in mano ai fuori-legge.
La riforma della politica sulla droga mira a preservare i benefici e rimediare ai danni (tralascio coloro che, per ideologia, rifiutano ogni controllo pubblico sui consumi privati, anche se dannosi all’individuo e alla comunità). Per mostrare il delicato equilibrio tra costi e benefici dell’attuale politica, esaminiamo la droga più comune al mondo: la cannabis, consumata come erba (marijuana), resina (hashish) e olio (hash) da oltre 180 milioni di persone, almeno una volta l’anno.
Nel mondo, e in Italia, la riforma è motivata da due obiettivi. Primo, creare sistemi di offerta (privati negli Usa, pubblici in Europa e Sudamerica) alternativi alla mafia appunto per ridurre narcotraffico e violenza. Un proposito nobile, sulla carta. In Italia, per esempio, a favore della riforma si esprime la direzione nazionale antimafia che riconosce il «fallimento dell’azione repressiva» del piccolo spaccio, senza evidenziare l’ipocrisia di un mondo dove le banche riciclano impunemente i miliardi delle narcomafie. In altre parole, si perde la lotta alla droga perché non la si combatte: di qui la rassegnazione che porta alla legalizzazione.
Anche il secondo obiettivo fa discutere. Definendo la cannabis droga leggera, la riforma privilegia il controllo dell’offerta senza corrispondente riduzione della domanda (e relativa protezione della salute). E’ vero che la cannabis raramente porta alla morte: infatti, l’impatto non è sul fisico, ma sul cervello. In altre parole, eroina e cocaina danneggiano l’hardware dell’organismo, mentre cannabis e amfetamine distruggono il software: la psiche. Il recente rapporto dell’ente Onu per la sanità (Oms), who.cannabis.report, dettaglia il danno da cannabis in relazione all’età del consumatore, la frequenza dell’uso e la potenza della dose.
Partiamo dal consumatore, e dalla sua età. Nel corpo umano, le aree del cervello che gestiscono i processi fisio-psichici sono stimolate da recettori sensoriali (Cb1) che assorbono piccole quantità di energia, la convertono in impulso elettrico e regolano funzioni essenziali quali attenzione, memoria, motivazione, coordinamento e cognizione. Frenando il funzionamento di questi recettori, la cannabis danneggia la mente. Questo succede soprattutto nell’età dello sviluppo cerebrale, che è completo a 29 anni per gli uomini e 25 per le donne. Il risultato: mentre nella popolazione il rischio di danno psichico dovuto alla canna è mediamente del 10%, nei giovani la probabilità sale al 20% per l’uso saltuario, e 20-50% per uso abituale.
Secondo: la frequenza del consumo. In aumento, grazie alla crescente banalizzazione della droga. I mezzi di info-trattenimento (media, musica e cinema) glorificano la droga, fino a deriderne il rischio. Le conseguenze? Nell’ultimo decennio, la percentuale di giovani europei e americani che ritengono la cannabis dannosa alla salute è scesa dall’80 al 40%. La minore consapevolezza del danno, aumenta la voglia di sperimentarlo, e viceversa. In Svezia, dove il 78% degli studenti considera la cannabis pericolosa, il consumo giovanile è limitato al 16%. In Italia e Spagna, dove l’apprezzamento del rischio tra i giovani è basso (36%), il consumo è più alto (28%). A livello europeo, 3 milioni di persone fanno uso quotidiano di cannabis, e 10% di loro (circa 300 mila) necessitano di cure ospedaliere.
Negli Usa il capitalismo della canna è scatenato. Negli Stati dove l’uso ricreativo è legale, la lobby pro-droga fa milioni vendendo l’erba e ingegnosi derivati: marmellate, biscotti e bevande. Libero accesso a prezzi bassi (il valore è sceso da 60 a 30 dollari per la dose da 3,5 gr) ha drogato il mercato: in Colorado l’uso tra i giovani è salito dal 27% al 31% (contro il 6-8% della media nazionale), la richiesta di assistenza al Pronto soccorso è aumentata del 31%, i ricoveri in ospedale del 38%. In crescita anche i morti su strada. Malgrado le buone intenzioni del legislatore, il mercato illecito prospera (40% del consumo), mentre gli introiti fiscali languiscono all’1% (110 milioni di dollari, su un bilancio di 11 miliardi).
Terzo, il danno al consumatore: molto dipende dalla potenza della droga. Un tempo la marijuana conteneva 2-4% di tetra-hydro-cannabinolo (Thc), il principio attivo che causa il danno psico-fisico. Oggi, grazie a manipolazioni genetiche e nuove tecniche di coltivazione, il Thc arriva a dieci volte tanto. Cere e oli vegetali possono contenerne fino a 80-90%: autentici veleni che accrescono la probabilità di danno psichico e, quando capita, lo rendono più severo.
In conclusione, in un’epoca dove la società cerca di limitare il danno causato da comportamenti anti-sociali, la riforma della politica della droga trascura il danno derivante dalla cannabis. Certo, non tutti coloro che fumano marijuana perdono la testa, come non tutti i tabagisti muoiono di cancro, né tutti gli autisti incoscienti periscono in incidenti. Eppure, in tutti questi casi la salute pubblica è a rischio. Di conseguenza, contro il tabacco si prendono misure sempre più restrittive e contro la guida scellerata c’è il codice della strada sempre più severo. Invece per la canna c’è in prospettiva il libero uso ricreativo. Un consiglio esperto: invece di promuovere nuove forme di controllo dell’offerta legalizzando la droga, è più efficace prevenire la domanda, intensificare le terapie di recupero, e ridurre i costi sociali conseguenti all’uso. Soprattutto, il tossicodipendente va assistito in ospedale, non cacciato in galera, per poi concludere che «l’azione repressiva ha fallito».
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