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Draghi, nel 2017, acquisterà ancora titoli di Stato: 60mld al mese

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l governatore della Bce Mario Draghi decide di estendere al 2017 il piano di aiuti basato sull’acquisto dei titoli di Stato ma riduce l’ammontare dell’investimento da 80 a 60 miliardi al mese. La mossa piace ai mercati che reagiscono con il segno più.

Draghi cambia piano: “Meno acquisti di titoli ma per tutto il 2017”

Il programma si riduce da 80 a 60 miliardi al mese. Il tedesco Weidmann vota no. Stasera la Bce decide su Mps

FRANCOFORTE – Il grattacielo avvolto nella nebbia invernale non prometteva bene. E in effetti la discussione all’Eurotower non deve essere stata facile, visto che il numero uno Bundesbank Jens Weidmann ha votato contro per l’ennesima volta. Con la nota abilità politica, Mario Draghi ha trovato la quadratura del cerchio. Più che ai tedeschi, «l’italiano» – come amano chiamarlo – era preoccupato di mandare il messaggio giusto ai mercati, i quali sembrano avergli creduto con segni più ovunque e lo spread solo in lieve rialzo. L’attesa attorno alla riunione di dicembre della Banca centrale europea era altissima: a fine marzo scade il programma di acquisti di titoli pubblici da ottanta miliardi al mese, fino a questo momento l’unico strumento in mano all’Europa per sostenere la crescita e la tenuta della moneta unica. La decisione finale è il frutto di un compromesso: il Consiglio dei 19 governatori ha deciso di estendere il piano a dicembre 2017, più dei sei mesi che la maggior parte degli operatori attendeva. C’è un però: da aprile a dicembre gli acquisti saranno ridotti a sessanta miliardi al mese.

Fosse idealmente dipeso da lui, il piano avrebbe marciato con le stesse dimensioni per tutto il 2017. Ma c’erano alcune questioni da gestire: la prima, più politica, era il malcontento del mondo finanziario tedesco e della Bundesbank, che premevano per iniziare l’uscita da una politica monetaria che considerano troppo espansiva. L’altra questione era tecnica: come continuare ad acquistare titoli sui mercati che ormai scarseggiano.

LEGGI ANCHE – Con il piano di Draghi l’Italia ci guadagna, la Germania si lamenta

A Weidmann la riduzione a 60 miliardi al mese di euro non è bastata per votare sì. Nel comunicato c’è un dettaglio che non cambia in sostanza le cose: se dopo aprile «le condizioni lo richiederanno la Bce aumenterà il programma in termini di dimensioni o durata». Per Draghi la riduzione degli acquisti non va interpretata come una lenta uscita dal piano, e non ha niente a che vedere con il «tapering» che nel 2013 mise nei guai il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke. Le armi in mano ai banchieri centrali sono potenti, e per questo vanno trattate con cura. Il governatore Bce ha voluto sottolineare che c’è «molta incertezza» e quell’incertezza – in gran parte politica – può fare danni. La crescita in alcuni Paesi langue – vedi in Italia – e i prezzi faticano a risalire, nonostante l’aumento del costo del petrolio. Secondo le previsioni degli economisti dell’Eurotower l’inflazione nel 2019 sarà ancora sotto al 2%, all’1,7: basta guardare un grafico sui prezzi degli ultimi dieci anni per rendersi conto che in quelle stime c’è perfino dell’ottimismo.

Proprio per questo Draghi crede che il piano debba andare avanti. Per superare il problema della scarsità di titoli, da gennaio la Bce potrà acquistare quelli con una vita residua di appena un anno (prima erano due) e le obbligazioni con un rendimento alla scadenza «inferiore al tasso sui depositi» oggi già negativo dello 0,40%. Con questa decisione il bilancio dell’istituto europeo si allarga di altri 540 miliardi di euro, ma il cruccio del governatore è sempre quello di non apparire pronto a far favori all’Italia, «perché non è così». Quando i cronisti lo incalzano sul Belpaese Draghi glissa. Lo fa a proposito delle trattative fra Roma a Bruxelles sul sostegno europeo alle banche via Esm – «Di questo argomento non so molto…» – lo rifà se gli si chiede della domanda di proroga di un mese da parte di Mps sui tempi per la ricapitalizzazione al momento fissati a fine anno: «Chiedete alla vigilanza». La risposta arriverà al massimo questa sera, e se dovesse essere un no per Siena sarà suonato l’ultimo gong prima del salvataggio pubblico.

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