span style="color: #ffffff;">Draghi e Merkel
Quando si deve curare un bubbone, si arriva a un punto in cui le pomatine non servono più ed è meglio che il bubbone scoppi da solo. E il bubbone della quasi – stagnazione economica europea è scoppiato inaspettatamente nel pomeriggio di ieri con due durissime dichiarazioni contrapposte, appena velate da una freddissima cortesia formale. Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha affermato seccamente che la stessa Bce è indipendente dalla politica, ha un mandato per l’intera area euro e non prende ordini da Berlino. Ha quindi ribadito che continuerà a immettere liquidità per sostenere la vacillante ripresa europea anche se questo non piace al governo tedesco. È vero che la Bce è indipendente, gli ha risposto tre ore più tardi la cancelliera tedesca Angela Merkel, ma è altrettanto vero – e questo lo ammette anche Draghi – che non ha la bacchetta magica: le sue cure hanno finora avuto uno scarso successo ed è quindi legittimo per i tedeschi discutere di politica monetaria.
Draghi e Merkel sono gli unici due veri leader sulla scena economico-politica europea e sono entrambi in difficoltà. Draghi deve fare i conti con un’economia che sta reagendo troppo debolmente alla gigantesca iniezione di liquidità degli ultimi mesi.
I socialdemocratici tedeschi, partner di governo di Merkel, hanno sferrato poche ore prima un attacco frontale alla politica di austerità. Draghi ha di fronte a sé un sistema bancario europeo alle prese con molte difficoltà (non solo, e non tanto, in Italia); Merkel ha improvvisamente convocato a Hannover un vertice euro-americano nel quale non si discuterà solo di terrorismo e migrazioni ma anche delle sanzioni alla Russia per la questione ucraina: prossime alla scadenza, queste sanzioni sono causa non secondaria della debolezza della ripresa, soprattutto in Germania e in Italia.
Sulla politica di austerità, Merkel ha ragione a metà. È assolutamente legittimo il suo timore che, se si lascia ripartire il rubinetto della spesa pubblica europea si rischia di ritrovarsi con la casa allagata. L’incapacità del governo di Parigi di riportare il deficit pubblico francese entro i livelli stabiliti – e la gran voglia di molti politici italiani di seguire l’esempio transalpino – hanno inoltre scatenato nell’opinione pubblica tedesca una distorta reazione emotiva, secondo la quale i «virtuosi» germanici sopporterebbero il costo dei non germanici spendaccioni.
La Germania, però, non è senza colpe: esercita una sorta di «supremazia negativa» nel senso che non sta usando il suo formidabile potere economico-finanziario per condurre l’Europa in una qualsiasi direzione. Ci piacerebbe moltissimo vedere la signora Merkel delineare un obiettivo condivisibile di futuro per l’Europa – anche se necessariamente vedrebbe assegnato alla Germania un ruolo centrale – in cui ci siano opportunità di crescita per tutti.
Al contrario, l’unica visione industriale sulla quale i tedeschi stanno puntando è la cosiddetta «industria 4.0», legata a un uso accentuato dell’elettronica e della robotizzazione che porterà a una forte riduzione dei posti di lavoro nei settori manifatturieri. Il che sarà certamente un’ottima cosa se si dedicheranno almeno altrettante energie a creare nuovi posti e nuove occasioni di lavoro – e più in generale di sviluppo – in altri settori. Questo però i politici non lo fanno né in Germania né altrove e l’Europa resta ferma, il che giustifica il disperato attivismo di Draghi per dare una scossa all’Europa con il solo, scarsamente adeguato, strumento monetario.
Dopotutto anche la polemica è una forma di dialogo e la polemica di ieri tra Draghi e Merkel potrebbe costituire il punto di inizio di un percorso, necessariamente lungo e faticoso, verso una nuova politica economica europea. Almeno così bisogna sperare.
mario.deaglio@libero.it
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