La percentuale delle occupate aumenta, ma rimane sotto il 50 per cento. Su precarietà, retribuzione e tutele il divario con gli uomini resta alto. “L’impressione – scrive Francesca Sforza – è che sulle questioni riguardanti le difficoltà dei cittadini si possa sempre prendere tempo. Ma in questo modo le sofferenze continuano e i tribunali si incaricano sempre di più di riempire i vuoti lasciati dalla politica”.
Più lavoro a condizioni peggiori. Così la parità resta un miraggio
S
ono più le donne che sono in stato di precarietà da almeno cinque anni e la percentuale di lavoratori a bassa paga è più alta tra le donne, raggiunge il 12,5% e il 37% per le giovani fino a 24 anni. Negli anni della crisi è aumentata anche la quota di occupate sovra-istruite, di donne che lavorano in professioni non adeguate al titolo di studio conseguito; ciò è avvenuto anche per gli uomini, ma è evidente lo svantaggio femminile (25,2% contro 22,4%), in particolare tra le giovani, quasi il 40%, tra le 25-34enni. Sono diminuite le professioni tecniche e aumentate quelle non qualificate. Basta pensare che l’unico settore che ha visto un segno di crescita occupazionale durante la crisi è stato quello dei servizi alle famiglie.
A fronte di bisogni di assistenza di anziani non autosufficienti, diventati sempre più incomprimibili con il progressivo processo di invecchiamento demografico, le famiglie, anche quando sono in difficoltà, preferiscono tagliare su altre spese piuttosto che privarsi di un supporto fondamentale. Inoltre, le donne continuano ad interrompere il lavoro in seguito alla nascita dei figli, ed hanno sempre maggiori problemi di conciliazione dei tempi di vita. D’altro canto, non sono stati fatti passi in avanti, né sul piano dei servizi per la prima infanzia, né su quello della rigidità delle organizzazioni del lavoro. E ciò pesa anche sui percorsi di carriera delle donne. Con fatica, conquistano posti rilevanti mentre la segregazione verticale di genere del nostro mercato del lavoro continua ad essere accentuata. Il lavoro ha rappresentato un cambiamento fondamentale dell’identità femminile.
Da una fase transitoria della vita delle donne, e fortemente condizionato dalle fasi del ciclo di vita, diventa un aspetto fondamentale di realizzazione di sé. Le donne vogliono realizzarsi su tutti i piani, essere valorizzate per quello che valgono, e tradurre il loro maggiore investimento in istruzione e cultura in migliore lavoro. Ci tengono al loro lavoro, ne sono soddisfatte, anche se si lamentano di più degli uomini della retribuzione. Le aspettative si scontrano con una dura realtà e spesso il lavoro non lo trovano o lo trovano precario. E così rinviano i progetti di vita. Poi dai rinvii si passa alle rinunce, piccole o grandi, fino a quella di continuare a cercarlo un lavoro.
Cronache di vita quotidiana, che le donne conoscono bene. E questo è un grande problema, perché se poche donne lavorano non ci perdono solo le donne, ma ci perde socialmente ed economicamente il Paese, che non valorizza le sue risorse, che espone di più le famiglie al rischio di povertà, che non scommette su una crescita inclusiva e sostenibile.
vivicentro.it/economia
vivicentro/Donne e lavoro, la parità resta un miraggio
lastampa/Più lavoro a condizioni peggiori. Così la parità resta un miraggio LINDA LAURA SABBADINI
Lascia un commento