Alberto Abburrà, con L’occhio dei lettori de La Stampa, ha raccolto le testimonianze degli italiani e ne ha raccolte storie che ci fanno entrare in contatto con il dramma umano di tanti cittadini.
Gli italiani che aspettano la legge sul fine vita
La convivenza con dolore e dubbi mentre il ddl sul testamento biologico è fermo alla Camera. Le testimonianze raccolte con L’Occhio dei lettori de La Stampa
L
a partita decisiva si giocherà in Senato dove il ridotto margine di voti potrebbe complicare il percorso di una legge attesa da più di 10 anni. Per conoscere il parere dei lettori abbiamo aperto uno spazio sul nostro sito internet e raccolto centinaia di opinioni, messaggi, testimonianze.
La maggioranza pensa che alla base di tutto debba esserci la «libertà dell’individuo». Il 92,2% dice di essere favorevole al testamento biologico, il 71,8 quando si parla di suicidio assistito e al 70,9 a proposito dell’eutanasia. Aldilà delle cifre, quello che emerge dai racconti sono dubbi, preoccupazioni, sofferenze e dolore spesso vissuti in prima persona, un condensato di storie che alimentano un dibattito non più rinviabile.
Pubblichiamo alcune delle testimonianze raccolte dai lettori de La Stampa
La disabile: “Piuttosto che vivere così è meglio affrontare la morte”
La vita di Paola cambia il 20 marzo del 2006, la sera in cui viene investita da un ubriaco per le strade di Roma. Ha 38 anni, progetti e sogni: si ritrova costretta in un letto d’ospedale priva di sensi. I medici non hanno dubbi: resterà in uno stato vegetativo per il resto dei suoi giorni. Dopo due mesi di coma il miracolo del risveglio viene stroncato dalla scoperta di una pesante disabilità fisica e psichica. A distanza di 11 anni la situazione non è cambiata, anzi è peggiorata: «Mentre ero in coma i miei genitori sapevano che avrebbero dovuto farmi morire – racconta – ma non potevano farlo». Dopo quello che ha vissuto, Paola ha le idee chiare sul fine vita: è favorevole al testamento biologico, al suicidio assistito e anche all’eutanasia. «Ho problemi gravissimi e non riesco ad accettare la mia condizione di disabile, piuttosto che una vita così è meglio la morte».
La sessantenne: “Sono sola, ho deciso di tenere una pistola dentro il cassetto”
Daniela, emiliana, neo sessantenne, è in buona salute ma da anni gira con il testamento biologico in borsa. L’ha scritto a mano, ispirandosi al modello proposto da una delle tante associazioni che si impegnano per diffondere la pratica. «Con quel testo – racconta – ho fatto anche un video pubblicato sulla mia pagina di Facebook e una copia l’ho messa in vista nel soggiorno di casa». E’ convinta che «ogni persona dovrebbe essere libera di decidere cosa fare del proprio corpo» e ha il terrore che una malattia possa consumarla lentamente. La sua preoccupazione è che un’eventuale legge sul fine vita non la tuteli perché lei è da sola e non ha un fiduciario che possa garantire il rispetto delle sue volontà. «Il mio unico conforto è una pistola, legalmente posseduta, in un cassetto» spiega. «Ma anche così non v’è certezza: un incidente e il coma potrebbero impedirmi di arrivare a premere il grilletto».
Il padre: “Chiesi di porre fine al calvario di mio figlio. Ora vivo tra i rimorsi”
Quando Danilo parla di suo figlio che non c’è più lo chiama «angelo custode» e «bimbo bellissimo». Sono passati tanti anni da quando un improvviso malore ha trasformato le loro vite in calvario. Il bambino si sente male, viene ricoverato in terapia intensiva e attaccato alle macchine che provvedono al cibo e all’ossigeno.
Per i medici «sarebbe morto a breve» e così non sopportando più di vederlo in quello stato, lui e la moglie iniziano a chiedere ai dottori «di staccare quelle macchine, di lasciarlo volare in cielo». La situazione va avanti per mesi fino a quando «una notte Gesù lo chiama a sé». Adesso però Danilo è assalito da dubbi e rimorsi: «E’ stato giusto chiedere a quei medici di staccare le macchine?». E soprattutto: «Era il bimbo a star male o erano i genitori stanchi di soffrire?».
L’ateo: “Mia madre ha lottato con la malattia 8 anni: io non l’ho dissuasa”
La storia di Alessandro in realtà è quella di sua madre. Una donna sanissima che anche da anziana guida, studia e bada alla casa. Lui è ateo, lei credente con idee precise sul fine vita: in caso di malattia vuole una morte naturale, meglio se a casa, ma in ogni caso senza aiuti né scorciatoie: insomma, vuole provarci fino alla fine. Un’emorragia con intervento d’urgenza, terapia intensiva e coma irreversibile li mette di fronte alle scelte.
Prima la tracheotomia, poi il sondino naso-gastrico, quindi il catetere. «Necessitava di mille cure» racconta oggi Alessandro. «Io non condividevo la scelta ma per otto anni l’ho sostenuta perché quelle erano le sue volontà. Sarebbe giusto che venissero esauditi i desideri di tutti, anche quelli di chi vorrebbe andarsene senza una simile agonia».
Il diciottenne: “La norma dovrebbe tutelare l’individuo e i suoi familiari”
Spesso il dramma è una questione genitori-figli come nel caso di Ivan, che vede spegnersi la madre senza poter fare nulla. Nove mesi al fianco di una malata terminale, una prova difficile per un 18enne in un’epoca in cui la terapia del dolore è ancora più rara e difficile che oggi. «Sapeva a cosa andava incontro e non voleva pesare su di noi» racconta.
Un tentato suicidio con un mix di farmaci e alcol peggiora la situazione facendola sentire ancora più vittima del suo destino. «Ogni giorno viveva un conflitto interiore: sapeva che vivere significava farci assistere al suo disfacimento ma voleva resistere e sopravvivere per noi, anche se quella non era vita». Oggi è convinto che una buona legge debba tutelare le scelte individuali senza mettere a rischio il cittadino e i suoi famigliari: «Ho imparato che il diritto alla buona morte è un diritto alla vita».
Medici a confronto: “La volontà del malato dev’essere rispettata”, “No al suicidio assistito”
Il dibattito sul fine vita tocca da vicino anche i medici, come Valeria, 61 anni, che lavora in provincia di Como, ha una figlia e si definisce «credente in Dio misericordioso». La madre soffre di Alzheimer e le ha già detto che vorrebbe poter morire prima che il tempo divori il suo fisico. Su questo Valeria ha fatto una tesi e oggi non ha dubbi: «Il suo desiderio dovrebbe essere un diritto intoccabile». Ma non tutti i medici la pensano così. Alberto, che di anni ne ha 64, è un collega di Torino in pensione. In quarant’anni ha gestito patologie di ogni tipo. «Dico no al suicidio assistito e all’eutanasia perché l’uomo non può disporre della vita. Sì al testamento biologico e alla sedazione profonda perché la medicina deve contenere la sofferenza e accompagnare l’uomo a vivere con dignità fino alla fine».
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