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e Poste italiane, ristrutturate e risanate, in questi giorni stanno offrendo al pubblico un’emissione di buoni fruttiferi il cui successo è legato anche al lavoro di ammodernamento fatto finora dai nuovi vertici dell’azienda, qualcosa che è facile percepire entrando in un qualsiasi ufficio postale e notando che finalmente molte cose sono cambiate, l’accoglienza, l’offerta di servizi, l’assistenza al pubblico, la gentilezza formale degli operatori. Uno sforzo e un cambiamento che, purtroppo, a quanto ho avuto la possibilità di constatare come normale cliente, non sono riusciti sempre a superare lo spessore della facciata.Â
Il 20 gennaio infatti ho spedito tramite l’ufficio postale di Piazza Bologna a Roma una busta contenente un documento e pesante soli 8 grammi a Londra. Prezzo pagato per una spedizione celere e sicura, così almeno veniva promesso, trenta euro, tempo previsto per la consegna tre-quattro giorni, in aggiunta la possibilità di monitorare tramite un numero verde via computer il percorso della lettera, dal mittente al destinatario.Â
Dopo quattro giorni ho provato a contattare il numero verde per verificare a che punto fosse arrivata la busta.Â
Inutile, effettuate una serie di manovre richieste perentoriamente da un disco registrato, sono stato lasciato in attesa. Ho atteso ancora qualche giorno, poi l’altro ieri, sabato 30 gennaio, a dieci giorni dell’invio, ho deciso di recarmi allo stesso ufficio postale con la ricevuta della spedizione in mano. L’impiegata allo sportello è stata molto attenta e professionale: preso atto delle difficoltà con il numero verde, ha provveduto a verificare tramite il proprio computer, abilitato a un controllo diretto, lo stato della spedizione. Il responso è stato subito scoraggiante: per ragioni imperscrutabili, la busta si era fermata il giorno stesso in cui era stata inviata al Portonaccio, un quartiere periferico di Roma dove si trova il primo centro di smistamento che il plico incontrava nel suo viaggio. Â
Primo consiglio dell’addetta allo sportello: recarsi direttamente al Portonaccio per cercare la lettera. Poi, forse resasi conto della difficoltà di trovarla, dato che al Portonaccio il sabato non si lavora, la stessa impiegata ha preferito rivolgersi al dirigente competente, prima incontrandolo per qualche minuto nel suo ufficio, poi convincendolo a venire allo sportello dietro al quale aspettavo. È toccato al dirigente, così, informarmi che l’unica cosa che mi restava da fare era una lettera di reclamo, da compilarsi su un modulo la cui compilazione presentava un approccio complesso e una lunga serie di domande a cui rispondere. Ho potuto completarlo solo grazie all’aiuto dello stesso dirigente, ed è sempre grazie a lui che ho scoperto che un eventuale risarcimento sarebbe stato più facile se fossi stato un correntista postale, ma sfortunatamente non lo sono, e in nessun caso avrebbe potuto avvenire direttamente sul mio conto in banca, tramite Iban, come oggi è normale in tutta Europa. Alla fine di questa esperienza di formazione, il dirigente, che si chiama Davide A. e per regolamento, ma non si sa per quale logica, non ha potuto fornirmi le sue generalità complete, mi ha spiegato che avrò comunque una risposta entro trenta giorni.Â
Tralascio le difficoltà a cui dovrò far fronte per riprodurre il documento contenuto nella busta e andato perduto per uno sfortunato incidente, che, mi rendo conto, può sempre capitare. Ma vorrei egualmente soffermarmi sulla procedura – la lettera di reclamo scritta a mano su un modulo, spedita per fax a un altro ufficio, dove verrà evasa entro certi termini – per dire che è evidentemente legata a un’epoca e a tempi diversi, forse legittimi ai tempi delle Regie Poste, quando appunto i sacchi di corrispondenza viaggiavano a cavallo, e non a un’azienda moderna, come Poste italiane adesso vorrebbe apparire, che vuol competere con i suoi concorrenti in Europa; a cominciare da quelli privati, a cui, non appena avrò riavuto copia del mio documento, mi rivolgerò per cercare di farlo arrivare prima di un mese a Londra.Â
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*lastampa
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