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Castellammare di Stabia

Ma dietro al freddo artico c’è il cambiamento climatico

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D a una decina di giorni gli Stati Uniti orientali stanno rabbrividendo per un’ondata di freddo lunga e insolitamente intensa, e ora ci si mette pure la potente tempesta battezzata «Grayson» dal Weather Channel, che sta dispensando bufere di neve, venti impetuosi e mareggiate lungo la costa orientale, dal New England alla Carolina del Sud. Il vortice di bassa pressione che l’ha generata ha stupito i meteorologi americani per la rapidità con cui ieri si è formato sulle acque atlantiche di fronte alla Virginia, approfondendosi di oltre 30 ettopascal (i vecchi millibar) in una sola giornata, tanto da meritarsi l’appellativo di «bomb-cyclone». Ma non si tratta di una trovata mediatica, poiché in questi casi – in verità non così rari – quando la pressione atmosferica scende di almeno 24 ettopascal in 24 ore in termini tecnici si parla proprio di «ciclogenesi esplosiva».

L

’evento è in corso e non è ancora possibile farne un bilancio conclusivo, ma possiamo intanto analizzare le temperature dei giorni scorsi in prospettiva storica. Il Nord-Est degli Stati Uniti ha vissuto un periodo tra Natale e Capodanno nel complesso tra i più freddi nelle serie secolari di dati, tuttavia nessun record assoluto di temperatura minima è stato battuto. Secondo il National Weather Service, a New York il momento più rigido si è verificato proprio intorno alla mezzanotte del 31 dicembre con -13,5° C a Central Park, e in passato solo a Capodanno del 1917 la tradizionale «Ball Drop» a Times Square avvenne in un’atmosfera ancora più fredda, con -17° C. Ampliando lo sguardo alla climatologia newyorchese di tutto l’inverno, il primato storico di freddo fu di -26° C il 9 febbraio 1934. All’aeroporto Reagan di Washington il termometro ha toccato i -11° C, tenendosi anche in questo caso ben lontano dal minimo assoluto, sempre di -26° C, registrato durante il «Great Blizzard» dell’11 febbraio 1899, che spazzò mezzo Nord America facendo congelare perfino il porto di New Orleans mentre il Mississippi scaricava blocchi di ghiaccio nel Golfo del Messico! Nell’interno, verso il confine con il Canada, il freddo di questi giorni è stato particolarmente crudo, fino a -43° C in Minnesota, Stato che tuttavia in passato ha registrato valori di -51° C.

Situazione meteo opposta in tutto l’Ovest americano, dalla California all’Alaska, dove da oltre due mesi si misurano temperature sopra la media anche di 10-15° C che tuttavia non fanno notizia, soprattutto quando si verificano in remote terre artiche disabitate, a differenza di ciò che accade nelle popolose metropoli della East Coast.

Si tratta di contrasti dovuti a situazioni di «blocco» atmosferico, che sembra stiano diventando più frequenti proprio a causa del riscaldamento globale che riduce la banchisa nell’Oceano Artico e come conseguenza altera la circolazione dei venti anche in Nord America e in Europa. Marlene Kretschmer del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania e ricercatori di altre università americane ritengono che con l’eccessivo e rapido intiepidirsi del Polo Nord, le normali ondulazioni della corrente a getto che separa l’aria fredda polare da quella calda subtropicale divengano più pronunciate e lente a evolvere, in modo che una certa regione può rimanere per settimane sotto una rovente alta pressione alimentata da correnti meridionali, mentre mille chilometri più in là fiotti di aria gelida polare irrompono verso sud, allargando il divario tra estremi climatici di segno opposto in un mondo che mediamente si riscalda.

Sembrerà un paradosso, ma il funzionamento dell’atmosfera è complesso, e anche dietro al freddo pungente nelle grandi città americane ci potrebbe essere l’impronta dei cambiamenti climatici alimentati dalle attività umane.

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