Di Maio spiega: “C’è una guerra sociale in corso, solo l’Europa può salvarci”.
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n una lunga intervista con Marco Zatterin e Ilario Lombardo, il candidato premier del M5S Luigi Di Maio spiega l’agenda del Movimento sui temi europei. “Bisogna mettere il Parlamento al centro dell’Unione”. E sull’ipotesi di un referendum sull’euro: “E’ una pistola che resta sul tavolo”
Di Maio: “C’è una guerra sociale in corso, solo l’Europa può salvarci”
Il candidato premier M5S: «Mettiamo il Parlamento al centro dell’Ue. Il referendum sull’euro? Una pistola che resta sul tavolo»
ROMA – Si dice che l’Europa sia il motivo per cui non scoppiano guerre, ma io una guerra in corso la vedo, è una guerra sociale alimentata da disparità e povertà». Il tono della voce di Luigi Di Maio si fa serio e preoccupato, almeno sino a che cala la soluzione che non ti aspetti. «Non dico che l’Ue ne sia la causa principale – spiega il leader M5S -, ma sono certo che possa essere lo strumento per risolverla». Niente paura, è il messaggio: la situazione è seria, ma l’Europa ci può salvare.
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Montecitorio, secondo piano. Di Maio siede al tavolo di lavoro del suo studio di vicepresidente della Camera. Ambiente sobrio, il giusto disordine. Una scatola di mentine quasi vuota. Quadri d’epoca, un Financial Times incorniciato. L’aspirante premier parla di Europa. Quella che nel 2014 i grillini «volevano aprire come una scatola di tonno» e che oggi gli pare una via di uscita, per quanto da ridisegnare e non poco.
Onorevole, ma la «sua» Europa è un veicolo o un fine?
«Certamente un veicolo. Serve per portare i popoli europei verso una qualità di vita e di benessere maggiore».
In che modo?
«La priorità è la creazione di un Welfare fondato su una maggiore solidarietà e una lotta alle diseguaglianze. Non significa criminalizzare chi si arricchisce, ma consentire a milioni di poveri di reinserirsi nella società».
Una soluzione «europea»?
«Sì, perché negli ultimi anni molte cose sono cambiate. Guardiamo la Germania che non riesce a formare un governo, la Francia di Macron che ha disintegrato i vecchi partiti. Il panorama mutato suggerisce una grande opportunità per l’Italia. E non solo perché siamo abituati a non avere governi super-stabili e siamo più bravi a gestire le crisi».
Come spiega questa debolezza generalizzata?
«Sono state rimandate alcune grandi questioni europee. Così si è arrivati alla Brexit. La parola d’ordine di un governo M5S deve essere “dialogo con gli altri Paesi in una condizione favorevole per l’Italia” che, di nuovo, può rivendicare la posizione di seconda potenza manifatturiera, Paese fondatore e alla pari con gli altri. Mi spiego? Chi ci incitava ad assicurare la stabilità oggi è più instabile di noi».
M5S è dunque un partito per l’Europa?
«Noi vogliamo restare e senza ultimatum. Ma occorre intervenire su alcune questioni, a partire dal governo dell’Ue».
Come si cambia?
«Una proposta centrale è l’eliminazione dello sbilanciamento istituzionale. Oggi il Consiglio Ue è gestito dai governi che decidono all’unanimità sulle materie di maggior interesse per i cittadini, come il fisco. La nostra proposta trasferisce i maggiori poteri al parlamento europeo, che rappresenta i cittadini e va più legittimato di governi che sono sempre più di minoranza. Parlamento e Commissione devono avere potere di iniziativa legislativa. Bisogna rendere più efficace l’azione».
E interventi pratici a vantaggio dell’Italia?
«Comincerei dai parametri per le banche e l’accesso al credito, che vanno scritti pensando che il nostro è un sistema al 95% di piccole imprese. Non possiamo accettare che si agisca come dicono i tedeschi e i francesi che hanno un sistema imprenditoriale differente. E questo vale anche per agroalimentare e pesca: basta con accordi che ci penalizzano e creano concorrenza sleale. Il mercato unico è una grande occasione se protetto e controllato negli accessi».
Tedeschi e francesi si fanno ascoltare più di noi.
«Il Bundenstag ha quasi 80 rappresentati a Bruxelles. La Camera italiana ne ha uno. Vorrei uno Stato che con tutte le sue istituzioni faccia il lobbista dei cittadini italiani».
Come pensate di cavarvela con l’asse franco-tedesco?
«La riforma del governo dell’Ue con i maggiori poteri al parlamento farà sì che l’asse sarà fra le forze politiche e non fra i paesi. È la grande occasione per far valere la forza dell’Italia».
Fate spesso riferimento al «nuovo» Macron. Potreste creare un qualcosa in Europa assieme a lui dopo l’alleanza con Farage?
«Ci siamo confrontati sull’immigrazione, gli abbiamo detto che non si può essere europeisti con le frontiere degli altri. Ci sono invece punti di contatto sulla riforma francese del Welfare. Noi vogliamo portare in Italia le buone pratiche degli altri, qualunque sia il governo che le origina».
Da Tsipras a Farage a Trump e ora anche a Macron, siete una forza «on demand»?
«Mi piace. Questo è proprio il punto. Le soluzioni efficaci non hanno nazionalità o colore politico. Non si parla più di destra o sinistra, di capitalismo o socialismo».
Però l’idea di una intesa a sinistra dopo il voto di primavera piace ai parlamentari M5S più dell’asse con la Lega.
«Per ora non parliamo con nessuno. A noi interessa precisare il metodo. Ma se riceveremo l’incarico, i parlamentari di tutti i partiti saranno messi davanti a una scelta: darci la fiducia, o andarsene a casa e si rivota».
Potreste allearvi con Macron dopo le europee del 2019?
«Dovremmo trovarci un gruppo. Ma non ci sono contatti con Macron né guardiamo a populisti, estremisti xenofobi o movimenti che ricordano la vecchia sinistra europea».
Ammetterà che la vostra posizione sull’Europa si è evoluta.
«Non è cambiata la nostra linea, ma le condizioni in seno all’Ue. Non ci sono più governi monolitici che ci schiacciavano, i grandi sono ridimensionati. L’Italia può farsi valere».
Minacciando il referendum sull’euro, per quanto consultivo?
«La consideriamo una extrema ratio. Mentre vedo ampi margini di contrattazione su deficit per favorire la crescita».
M5S ha detto che vorrebbe politiche espansive alla Trump. Coi nostri numeri, è difficile senza violare le regole Ue.
«Non voglio violarle. Voglio ricontrattarle, come di fatto hanno fatto Francia e Spagna. Investono nella famiglia perché hanno sforato il tetto del 3% per il deficit. Noi non metteremo tasse sulla casa o patrimoniali».
Torniamo al referendum. La vostra credibilità a Bruxelles sarà sempre limitata se tenete questa pistola sul tavolo.
«Questo è chiaro. Ma l’obiettivo non è rendere felici gli altri. E’ fare in modo che nell’ambito dell’Ue gli interessi dei diversi Paesi si ritrovino allo stesso tavolo. E’ un peso contrattuale».
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