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incenzo De Luca con il figlio Piero
Salerno, dagli atti su Piazza della Libertà nuovi stralci su crac Ifil e false tessere Pd.
SALERNO. Nuovi stralci. Tuttora coperti da riserbo nella Procura impegnata, non senza scontrarsi con difficoltà e muri di gomma, a penetrare il “sistema Salerno” di appalti e scambi. Segmenti ritenuti interessanti dell’inchiesta appena chiusa sulla variante da 8 milioni di piazza della Libertà – in cui risultano indagati il governatore Vincenzo De Luca (per falso in atto pubblico) e alcuni dei suoi collaboratori più “fidelizzati”, ora casualmente con lui in Regione – sono confluiti verso altre due rilevanti indagini condotte dalla Guardia di Finanza e coordinate dall’ufficio della Procura.
Ma il procuratore Corrado Lembo, raggiunto da Repubblica, si limita a osservare: “Abbiamo indagato con assoluta serenità, sottoponendoci alla valutazione del giudice. In questa indagine, portata avanti con non poche difficoltà, ci sono alcuni fatti consolidati, com’è ormai noto, e ci sono altri che chiedono ancora una valutazione. E su cui stiamo lavorando “.
Gli approfondimenti ulteriori si accompagnano, peraltro, al concreto rischio di un aggravamento della posizione del figlio del governatore, Piero De Luca. Il giovane professionista era già sotto inchiesta per appropriazione indebita da quando è esplosa l’inchiesta madre sul crac del pastificio Amato, in particolare per i suoi rapporti con Mario Del Mese, patron della società “Ifil C&D”, la società che ha ingoiato fondi per poco meno di un milione di euro, sempre in relazione al sistema appalti. Soldi di cui si sono perse le tracce. Ma dopo il fallimento della Ifil, l’ipotesi per De Luca jr diventa bancarotta fraudolenta, rafforzata da successive integrazioni di indagini.
Gli stralci riguardano dunque due procedimenti. Quello che verte sulle false tessere Pd, e su rapporti con esponenti in odore di camorra, di cui è titolare il pm Vincenzo Montemurro. E l’indagine guidata dal pm Vincenzo Senatore proprio sulla (ormai dichiarata) bancarotta della stessa “Ifil”, il cui patron di fatto è Del Mese. La “Ifil” è la famosa scatola vuota che ha fatturato 772mila euro ricevuti, per consulenze inesistenti, dal gruppo Esa Costruzioni dei fratelli Enrico ed Armando Esposito, aggiudicataria dei lavori di piazza della Libertà, ed è sospettata in origine di avere una clamorosa funzione – come da rogatoria avanzata a suo tempo dalla Procura.
Nel dettaglio: “Le emergenze in atti già mostrano come la specifica finalità della Ifil sia stata quella di fungere da collettore di tangenti in favore di organi dell’amministrazione del Comune di Salerno “. E ancora: “Peraltro la Ifil, titolare di rapporti di consulenza con soggetto privato fallito (la Amato re,ndr), nonché con soggetti che hanno avuto appalti per opere pubbliche, ha finanziato senza motivo, tra il 2010 e 2011, numerosi viaggi, sostenuti da soggetti formalmente estranei come Piero De Luca, verso e dalla città del Lussemburgo”. Per due volte, il Tribunale civile rigetta il fallimento per Ifil. Ma quando il pm Senatore ottiene il risultato in appello, l’accusa per De Luca junior si aggrava.
Va sottolineato tuttavia che i pm non hanno poi formalizzato – sullo sfondo del sistema appalti – né l’accusa di corruzione, né quella dell’eventuale voto di scambio che sarebbe stato relativo ai brogli delle primarie 2012, al cui progetto prendono parte, guarda caso -si evince dagli atti – i fratelli Esposito (Enrico era perfino consigliere comunale Pd) come a corrispondere una contropartita.
È lo stesso Gip di Salerno, chiamato a pronunciarsi sulle richieste dei sostituti Cantarella e Valenti titolari dell’inchiesta su Piazza della Libertà, a ribadire nella sua recente ordinanza che il Pm non “ha rinvenuto la prova o solo i gravi indizi di un pactum sceleris corruttivo o concussivo tra pubblici amministratori e imprese appaltatrici”; pur stigmatizzando comunque “la perpetrazione di condotte di disdicevole e disinibito utilizzo delle risorse pubbliche”.
È lo stesso gip che, nella doverosa dialettica processuale, rigetta 12 richieste di misura cautelari su 12 (8 in carcere, 4 ai domiciliari, chieste solo a carico di tecnici e imprenditori) dopo oltre un anno di valutazione dal deposito della Procura, quasi la “norma” dei tempi della giustizia italiana. Intanto, molti degli interrogativi legati al giro di denaro della Ifil restano senza risposta processuale. Gli esiti, almeno in parte, potrebbero arrivare a breve.
*larepubblica
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