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De Laurentiis: “Juve-Napoli come il Gladiatore, ma non sarà decisiva”

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alla sede della Filmauro, a due passi ma proprio due dal Quirinale, Aurelio De Laurentiis si gode la grande bellezza, Roma illuminata dal sole. Nel panorama c’è anche il suo Napoli capolista e la sfida di domani alla Juve.  

Presidente, la sua prima vera partita scudetto. Come la affronta?  

«Mancano ancora 13 giornate, 39 punti. A Torino non si deciderà il campionato». 

Fatta salva la matematica, come la immagina?  

«Provo un senso di grande solidarietà con Napoli e i napoletani che vivono questo momento con un sentimento straordinario. Qualcosa che non si provava più dai tempi di Maradona. E io mi sento come uno che ha fatto elementari, medie, liceo e Università in un lampo. Me li ricordo ancora gli sputi presi dai tifosi del Martina Franca quando il Napoli stava in serie C…». 

Per giocarsi lo scudetto, la Juve è il miglior o il peggior avversario?  

«La Juve è una società straordinaria, con una struttura collaudata. Che arriva da molto lontano. E che le permette ogni tanto anche di sbagliare qualcosa. Proprio per questo riuscire a batterla, non domani ma su un intero campionato, per noi sarebbe un fatto storico». 

Il Napoli ha due punti in più, la Juve il triplo del fatturato. Che cosa fa la differenza per lo scudetto?  

«Io non mi illudo, credo che sarà una lotta a più di due squadre fino all’ultimo. Significa che si può essere competitivi, almeno in Italia, al di là dei bilanci. Ma sarebbe anche ora di cambiare le leggi che governano il calcio se vogliamo adeguarci ai principali tornei europei». 

Che cosa non le piace?  

«Non c’è un progetto, non c’è una vision. Ogni anno si fa partire il Barnum senza guardare al futuro. La questione non è se far partecipare il Carpi o il Frosinone alla serie A come dice Lotito, ma proprio di avviare una vera e propria rivoluzione copernicana. Dove ora ci sono Barcellona, Real e Bayern una volta c’erano Milan, Inter e Juventus. Vede come ci siamo ridotti? Dobbiamo batterci per recuperare il tempo perduto». 

Con chi vorrebbe fare la rivoluzione?  

«Andrea Agnelli è preparato e ha tutto l’interesse a migliorare le sorti del calcio. Con Diego e Andrea Della Valle c’è molta sintonia, Urbano Cairo sa fare impresa. Inter e Roma? I proprietari sono all’estero, oggi parli con un loro bravissimo manager che magari domani non c’è più…». 

Federazione e Lega: basterà cambiare i vertici?  

«La federazione non è capace di tutelare i bravi, il caso Parma non ha insegnato nulla. In Lega anche oggi ci azzufferemo per la questione dei diritti tv. E aspettiamo ancora gli sviluppi del caso Antitrust che vede coinvolte Infront, Mediaset e Sky. Io dico: stabiliamo un business plan e poi scegliamo gli uomini». 

Bacchetta ad Aurelio De Laurentiis: tre cose che farebbe subito?  

«Cambiare la legge Melandri sui diritti tv; scriverne una nuova sugli stadi, basterebbero tre paginette e senza tutti i vincoli attuali; adottare una nuova tipologia di campionato internazionale a venti squadre. Tra campionato nazionale autogestito e commercializzato in proprio, attraverso una propria piattaforma, e campionato europeo a 20 squadre, potremmo arrivare a un fatturato vicino ai 10 miliardi».  

Chi metterebbe a governare il calcio?  

«Non le faccio un nome ma l’identikit: italiano, laureato negli Usa perché non faccia figure con la lingua se deve parlare a una platea internazionale e che abbia una grande conoscenza del fare impresa». 

In attesa, sembra che abbia centrato invece l’allenatore. Come le è venuta l’idea di scegliere Sarri?  

«L’ho scoperto quando ho preso gli schiaffi dall’Empoli, 2-2 al San Paolo e 4-2 al ritorno. Prima di lui però avevo già scelto Valdifiori». 

Perché è così legato a questo acquisto?  

«Nel cinema il regista è fondamentale. Ma nel calcio, né con Mazzarri né con Benitez ce l’ho mai avuto. Oggi di registi ne ho due, Jorginho e Valdifiori. Proprio Valdifiori è stato il tramite per arrivare a Sarri. Che è anche di sinistra, il che non guasta visto che nel cinema tutti i registi di successo sono di sinistra. Sa che con Benitez la squadra non si è mai allenata così tanto come con Sarri?». 

Perché con Benitez è finita?  

«Non guardo mai indietro». 

Che cosa la colpì di Sarri al primo incontro?  

«Mi disse che leggeva molto e io pensai: “se uno ha tempo di leggere ha una grande testa”. In più aveva lavorato in banca nel settore dei cambi: quindi possedeva un’elasticità mentale significativa. Ma non ero convinto, non volevo fare come con Benitez e decidere subito. Ci siamo rivisti, mi piaceva che non mi parlasse di mercato, ma di progetto».  

Il mercato lo decide lei?  

«In otto ore ho chiuso l’acquisto di Higuain in una saletta dell’aeroporto di Venezia. Nel cinema, al produttore danno l’Oscar: io non voglio fare il presidente passacarte». 

Higuain può diventare per lei quello che Maradona fu per Ferlaino?  

«Maradona è stato il più grande di sempre, più di Pelé. Higuain ha una mentalità vincente straordinaria che mette al servizio della squadra. Sa qual è la sua forza?». 

La rapidità in area?  

«No, la famiglia che gli sta intorno. Un gruppo eccezionale». 

Rimarrà o no a Napoli?  

«È arrivato che era un ragazzo, Se resta con noi altri tre anni avrà una consacrazione che difficilmente potrà trovare altrove. Può fare la storia come Maradona». 

Come ha fatto a spiegare a Koulibaly perché lo hanno insultato?  

«Dandogli un bacio a fine partita. Come facevo nella scorsa stagione quando veniva criticato». 

Presidente, giocatore o tifoso: potesse scegliere, come preferirebbe affrontare la Juve?  

«Da presidente-tifoso. Ma visto che mia moglie fa la tifosa, io mi devo ricordare di fare il presidente». 

Nella Juve tutti tranne Dybala sono abituati a certe sfide, nel Napoli no. Peserà?  

«Non credo. E comunque spero che Dybala non giochi…». 

Che partita si immagina?  

«All’inizio molto tattica. Poi, se prenderà il sopravvento la voglia di giocare, potrebbe diventare uno spettacolo pazzesco». 

Se Juve-Napoli fosse un film, a chi lo farebbe dirigere?  

«Me la immagino come un film storico. Come il Gladiatore: ecco Ridley Scott sarebbe perfetto».  

La Stampa

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