Una produzione CTB Centro Teatrale Bresciano – Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale, che si terrà dal 24 ottobre al 5 novembre al Teatro Sociale di Brescia.
I DUE GENTILUOMINI DI VERONA
di William Shakespeare
versione italiana e regia di Giorgio Sangati
scene Alberto Nonnato
costumi Gianluca Sbicca
luci Cesare Agoni
con
interpreti personaggi
Fausto Cabra PROTEO
Ivan Alovisio VALENTINO
Camilla Semino Favro GIULIA
Antonietta Bello SILVIA
Luciano Roman DUCA DI MILANO
Gabriele Falsetta SVELTO
Paolo Giangrasso LANCIOTTO
Ivan Olivieri TURIO
Giovanni Battista Storti ANTONIO / OSTE
Chiara Stoppa LUCETTA / BANDITO
Alessandro Mor EGLAMORE / BANDITO
Diego Facciotti PANTINO / BANDITO
e con la partecipazione staordinaria di Charlie
assistente alla regia Valeria de Santis
assistente volontario alla regia Simone Capoferri
arrangiamento originale canzone “Chi è Silvia” a cura di Domenico Calabrò
direttore tecnico Cesare Agoni
direttore di scena Michele Sabattoli
macchinista Nicola Pighetti
capo elettricista Sergio Martinelli
fonico Edoardo Chiaf
amministratrice di compagnia Gaia Ricci
ufficio comunicazione CT B Sabrina Oriani
foto di scena Serena Pea
scene realizzate nel laboratorio del CTB Centro Teatrale Bresciano
responsabile della costruzione Oscar Valter Vettore
costumi realizzati dalla sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
sarta Federico Ghidelli
acconciature e trucco Bruna Calvaresi
produzione
CTB Centro Teatrale Bresciano · Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale
NOTE DI REGIA
“
I due gentiluomini di Verona”, una delle prime opere del Bardo – se non la prima – è una commedia singolare, anomala sotto diversi punti di vista.
Un giovane Shakespeare, probabilmente arrivato da poco a Londra da Stratford, mette insieme – come in un collage – fonti e generi letterari diversi per dare vita a un modello drammaturgico rivoluzionario che cambierà la storia del teatro e di cui diverrà maestro: la commedia romantica.
L’ambientazione “italiana” suggerisce l’idea di una sorta di grand tour elisabettiano, di una ricognizione tra le rovine letterarie della cultura rinascimentale, ma è un’Italia reinventata, deformata, un parco divertimenti (o degli orrori) dalle atmosfere metafisiche: tra Verona e Milano c’è il mare e le foreste della pianura padana sono infestate dai banditi di Robin Hood.
È una commedia-laboratorio sperimentale, vitale, irruenta: il genio scalpita e mette alla prova personaggi, tematiche e relazioni che troveranno poi sviluppo autonomo nei testi successivi. Condensa al debutto, in un nucleo pulsante, esplosivo, molte delle sue più grandi intuizioni e inaugura uno sguardo sul mondo che non ha precedenti nella tradizione teatrale.
Per certi versi è una commedia acerba, instabile, irregolare, che procede per salti, (apparenti) incongruenze, bruschi cambi di direzione temporali e spaziali e, soprattutto, “morali”. A questa “acerbità” corrisponde, però, anche un’innegabile originalità, a suo modo avanguardistica, irriverente. Se lo spunto – il tema dell’amicizia virile – recupera un topos rinascimentale, il suo sguardo di giovane sul mondo dei giovani non fa sconti, non ha niente di convenzionale; come in un’autopsia, disseziona con cinismo sorprendente il concetto ormai anacronistico dell’Amor cortese, mettendo in luce i meccanismi di imitazione, invidia, emulazione e compensazione che lo governano, rivelando l’immaturità affettiva di chi non riesce a uscire dalla gabbia emotiva dell’adolescenza.
I protagonisti, infatti, sembrano appartenere a una generazione di “bamboccioni”: rimasti troppo a lungo a casa o trattenuti da padri che, a loro volta, si sono rifiutati di “liberarli”. Nel corso della commedia si inseguiranno, si sfideranno in una partita a scacchi decisamente oltre i limiti del regolamento, sperimentando sulla loro pelle – e nella loro mente – come funziona la realtà, cosa succede quando si esce dal mondo ovattato dell’infanzia, dell’amicizia, della provincia, per entrare in quello labirintico degli adulti, del desiderio, della retorica e del potere; capiranno cosa significa realmente diventare “gentiluomini” e “gentildonne”.
La commedia segue i personaggi nel proprio particolarissimo romanzo di formazione pre-psicologico: li accompagna da vicino, dall’interno quasi, senza pietà, nei loro percorsi mentali, nei cambi di rotta improvvisi, nelle loro debolezze, ambivalenze, velleità, violenze e perversioni, sorprendenti sì, ma per nulla gratuite o arbitrarie.
Il linguaggio come codice comunicativo dimostra tutta la sua falsità, la sua inadeguatezza di fronte alla lingua del corpo, l’ideale si sgretola di fronte al reale e la poesia, privata della sua rassicurante patina letteraria, ritrova se stessa nella violenza spiazzante e misteriosa dell’esistenza.
È un’opera tragicomica, spigolosa, sorprendente, ma come spigolosa e sorprendente può essere la vita e Shakespeare, già agli esordi (e forse con più coraggio che nei capolavori a venire), dimostra tutta la sua mirabile abilità nel portare in scena la realtà senza semplificazioni, senza etichette, senza stereotipi. L’instabilità si fa regola e rivela che la natura dell’uomo è contradditoria, proteiforme, come il nome di uno dei protagonisti, Proteo, a sua volta ispirato al dio greco, capace di cambiare sempre forma (e di rivelare agli altri la loro essenza).
Oggi, probabilmente più che in altri momenti storici e culturali, in un mondo che ha perso ogni equilibrio e armonia, abbiamo di nuovo gli strumenti per riscoprire e leggere in profondità quest’opera senza pregiudizi romantici.
Giorgio Sangati
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