Antonio Corbo su La Repubblica
Si doveva capire tutto, quella sera in tv. Cominciava per De Laurentiis e Sarri la resa dei conti. Ma sembrava impossibile: possono non amarsi presidente e allenatore che riportano il Napoli in Champions, che rivitalizzano quasi a costo zero una squadra incompleta dopo il faraonico biennio di Benitez? Ore 23.20 di sabato 14 maggio, si spegnevano le luci del San Paolo sui deliri di una immensa festa, con il Napoli che aveva battuto tutti i suoi record di reti e vittorie, con Higuain che aveva superato dopo 64 anni quello di Nordahl con il gol 36, fantastica quella sforbiciata volante, proprio alla Nordahl. Si capisce tutto ora, con De Laurentiis che conferma il suo allenatore facendo scattare una vecchia clausola: neanche una telefonata, due righe, una sillaba, niente. Solo ora si rileva la tensione segreta di quel duetto in tv. Ricordate? Il presidente dice che «Sarri fa diventare grande la squadra, pur venendo da un club con possibilità inferiori». Sarri amaro borbotta: «Ho capito, neanche stavolta mi fa gli acquisti ». Reazione brusca e irata: «No, te li compro, e sono c… tuoi se non li fai giocare tutti e 19». Chiude Sarri: ringrazia stampa, squadra, pubblico. «Noi siamo secondi, il pubblico è il vero campione d’Italia». Neanche un cenno al club. Da quella sera sono muti i telefoni di De Laurentiis e Sarri. Solo il gelo di una burocratica conferma. Tra i due il vuoto, forse peggio, perché il presidente è già sul mercato, senza coinvolgere l’allenatore, che ancora aspetta uno squillo per rinegoziare il contratto a cifre più alte degli attuali 700mila euro con 800mila di premi. E per strappare al club il diritto unilaterale di rinnovare l’accordo di anno in anno per i prossimi cinque. Lo scenario è desolante: tra i due manca l’intervento diplomatico per condurli dalla guerra fredda ad una pace solare. Non ci prova Andrea Chiavelli, l’eminenza grigia, lo stuntman delle clausole più ardite, non vi riesce Andrea Giuntoli, che parla spesso con Sarri ma non attenua l’intransigenza del presidente. Un odioso braccio di ferro. De Laurentiis si ritiene il genio e il motore che dalla Fallimentare portano il Napoli lassù, che preferisce spendere meno piuttosto che investire per incassare di più, che sa anche di aver chiuso nell’angolo l’allenatore, grazie al contratto disperato che Sarri firmò un anno fa, pur di allenare il Napoli, «il sogno della mia vita». De Laurentiis l’ha catturato, ormai. Ma l’allenatore non si sente più debole: il tifoso gli riconosce i meriti della Champions, la rivalutazione commerciale della squadra di un centinaio di milioni, l’esplosione di Higuain affascinato dal più moderno dei tecnici all’antica. Come finirà? Tre soluzioni. Vince De Laurentiis: sublima la favola bella e triste del tiranno avaro. Soccombe Sarri: si piega al contratto capestro, onora l’incauta firma del 2015, magari ringrazia il presidente che delibera un piccolo aumento. Si ribella l’allenatore, minaccia di non tornare, dice di sentirsi costretto alle dimissioni. Nella terza ipotesi è l’addio certo di Higuain al Napoli. Il buio sul trionfo di tutti. Possibile che nessuno faccia ragionare quei due?
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