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Castellammare di Stabia

Il coraggio del domani nella poesia di Maria Rosa Bertellini

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Copertina di Spiragli di luce, di Maria Rosa BertelliniNell’introdurre la nuova raccolta di poesie di Maria Rosa Bertellini dal titolo “Spiragli di luce” (ed. ab/arte), Andrea Barretta scrive di una confessione partecipativa dell’autrice tra poesie semplici e versi a rime incrociate nell’impianto di sonetti nell’ordine caro a Petrarca. Ma appunta anche il confine della metafora del tempo che passa fino alla pienezza di un itinerario esistenziale identificato in poesie che hanno sogni non ancora risolti e attese malinconiche.

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i Andrea Barretta

A volte capitano amicizie straordinarie nel senso che vivono oltre l’ordinario, ossia di un ritrovarsi lontani nella vicinanza, nell’allontanarsi e nell’avvicinarsi nel dirsi e nel sapere che si è comunque presenti nell’assenza che non la rovina. Con questo non ho voluto sfoggiare ossimori, ma solo l’essenza di un legame quarantennale con Maria Rosa Bertellini che non ha mai avuto bisogno di una grande frequentazione, perché quando c’incontriamo è come se ci fossimo lasciati un istante prima.

Concorde con Khalil Gibran quando afferma che “un amico lontano è a volte più vicino di qualcuno a portata di mano. È vero o no che la montagna ispira più riverenza e appare più chiara al viandante della valle che non all’abitante delle sue pendici?”. No, Maria ed io non siamo così distanti: entrambi viviamo a Brescia e le nostre case sono a un tiro di schioppo l’una dall’altra. Eppure la nostra “vicinanza” è data dalla poesia, fin dagli anni Ottanta durante la mia direzione dell’Associazione Arte Poesia confluita nella Faber, la federazione che univa varie realtà culturali bresciane di cui ero presidente in quegli anni e Maria una fedele assistente nell’organizzazione. Ecco, da allora i nostri contatti sono sempre stati improntati a una cordiale stima reciproca che oltrepassa e supera qualsiasi confine creato dai diversi impegni che per me si sono succeduti, e resta la condivisione di momenti importanti in cui ci si rende conto che nulla è cambiato quando a incontrarsi sono anime sensibili alla poesia.

Come adesso, nel tempo che è trascorso dalla cura e presentazione di “Nella sera che annega”, e ritrovarsi nel curare la sua  prima raccolta in forma antologica composta di poesie inedite, in una storiografia letteraria che proprio nel compendio di testi scelti fa conoscere la linea propositiva. Difatti, nelle pagine che seguono, sono punto di riferimento per interpretare  l’evoluzione della sua opera, laddove emergono eventi e comprensione dell’impegno nella lirica contemporanea, in versi  ispirati dai valori in pensieri emozionali ed esperienziali, quali la speranza, la fede, l’amore, l’amicizia, suddivisi in quattro  capitoli: stagioni e colori, luoghi e pensieri, eventi e riflessioni, affetti.

Sono “Spiragli di luce”, confessione innanzitutto partecipativa tra poesie semplici con i passerotti che cercano briciole sul  davanzale, e magiche notti fra luccichii di polvere d’argento che accendono il buio, a farci tornare tutti bambini prima di  inoltrarci in complessi componimenti a rime incrociate nell’impianto di sonetti con due terzine finali nell’ordine caro a  Petrarca,. Ma anche il confine della metafora del tempo che passa fino alla pienezza di un itinerario esistenziale   identificato in un “Paesaggio”, a raccontare del destino di un castello dove “appare l’arcaico paese, / come presepe steso accanto al fiume, /nel biancore di alberi centenari”.

Poesie che hanno sogni non ancora risolti ma senza attese malinconiche di dimensioni diverse rispetto a paesaggi  armoniosamente poetici assimilati a capacità pragmatiche nel comprendere la vita. C’è la forza delle emozioni nella misura di parole che creano parvenze cristallizzate in reminiscenze, “nel mistico silenzio della stanza” che cattura “un pensiero consueto / dilatando un sentore vago e inquieto, / mentre impietosa e lesta l’ora avanza” (In me non è mutato),  in sentimenti che persistono nutriti “dalla prima sera” e palpitanti perché alimentati “da sostanza vera / che non teme l’usura”. E’ l’ardente inclinazione a rendere la verità, ed è la tenace e continua confessione del bisogno di un equilibrio diverso ma efficace, quasi rispondendo a una sorta di burrascosa energia nel trasferire la pronuncia poetica in un campo letterario di quartine a rima raddoppiata, per ricongiungerci “negli angoli dell’antica piazzetta” agli “archi di luce e carta colorata” che “sorridono al millennio che s’affretta / a promettere vita rinnovata”.

Non possiamo non intravedere criteri che arrivano soprattutto dai suoi studi universitari, determinati dalla laurea in lingue e letterature straniere alla Bocconi di Milano conseguita nel 1965, e dagli anni come docente di lettere. E sono solo alcuni dei modi con i quali si è confrontata la poesia di Maria Rosa Bertellini, raffigurati in accordi di rara bellezza come per uno spartito che definisce canoni di stili letterari distribuiti in una raccolta d’impianto filologico nel rapporto fra testo e tradizione, fra oggettività condivise e libertà del verseggiare. In effetti, ha saputo coglierne l’eredità intellettuale, soprattutto se guardiamo ai particolari di archetipi nell’accezione filosofica di essenza sostanziale delle cose sensibili. Qui mi riferisco a versi sciolti con un disegno ritmato dalle esperienze del vers libre, spesso qui trattato nell’accentuazione dell’aspetto orfico, ossia della cifra evocativa intensamente lirica corrisposta nell’ideale costitutivo di disciplina estetica. Un modello di linguistica diacronica che mira all’identità umanistica in una dimensione fonetica o lessicale calata nella situazione critica che, ad esempio, contrapponeva Pasolini a Saba, e che ancora oggi non è del tutto esplicata finché la poesia, come nella conclusione di Garcia Lorca, non sarà conscia di non cercare seguaci ma amanti, perché ogni poesia è inesplicabile, affermava Borges, e “nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere”.

E’ in queste prime letture intrise di appunti che propongono l’idea poetica, scopriamo il mondo bertelliniano nello scorgere genuini ambienti dove le parole si distendono nella libertà di scansioni date non soltanto dagli accenti, dalla rima o dal numero di sillabe, ma dall’avanzare della musicalità che ne caratterizza i versi. Ma la nostra autrice non manca neanche di misurarsi con la soggettività di un autobiografismo tra punti d’inizio e istanti di cesura, “momenti grigi / cui nessuno sfugge”, o con regolarità meditative.

Credo sia una tesi dialettica il paradosso dell’edonismo di dispensare un ordine alle cose nell’andare a capo e tornare al piacere della centralità della lirica pura, e credo che questa pubblicazione sia un momento di rinuncia al pessimismo e un inno alla serenità. Questo, però, non aggiorna il suo criterio narrativo, né il rifiuto a soggiacere a motivi che non riconoscano la possibilità di mutamenti che spingono fuori dai soliti schemi, che corrono lungo la sua intera produzione. Tant’è che ora la poesia di Maria Rosa Bertellini s’è allontanata da quella impegnata socialmente degli anni Settanta del Novecento e rifugge il formalismo che la precedeva e in parte l’ha seguita; ora la sua poesia aspira all’affrancazione dell’anima dal corpo, e si basa su una scelta condizionata dall’età che giunge al riassunto dei modi di essere nell’esserci, in cui scrivere è per lei bisogno primario in una sorta di ricostruzione, di crestomazia come valore documentario di una vita.

Queste poesie si animano e vanno a stare in un luogo abitato dalla luce ancestrale che fino allora profanato dal buio  interrotto da raggi di sole che entrano dalla finestra della vita. Sarà energia fulgida nel riflesso di una presenza viva, ispiratrice del rimembrare voci e suoni degli incontri e dei momenti in cui cercare il senso del tacere o la distensione della parola che si fa silenzio. E proprio questa carica poetica resuscita una scena tra mura palpabili e al contempo inafferrabili, alle quali si delega l’oblio di un orizzonte da raggiungere in un paesaggio interiore.

L’aria compendia l’espressione degli affetti vissuti come valore, nella dicotomia del diario e dell’identità, che rilegge il  passato nel presente come futuro che non vuole dimenticare le emozioni vissute, perché la vita – precisa Gabriel Garcia Márquez – non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Allora sono la semplicità e la genuinità gli aspetti comuni rilevabili in versi che aggiungono la coscienza della possibilità di un contrappunto nelle difficoltà giornaliere, nella continua scoperta di rendere il cambiamento come rinnovamento per sentirsi parte del mondo in un racconto che è anche la nostra storia.

Con questo non voglio dire che Bertellini è indifferente al mondo. Non è così. Anche quando appunta ancora che “scivola il tempo / silenzioso e vorace / su tenebre e pleniluni”, ecco che bilancia la forza interiore per sondare la condizione umana nella sua sostanza, con l’appello “a consolare chi cede allo sconforto, / a inventare una fiaba / per far felice un bambino”. E fa notare le ambiguità della quotidianità, nel non ignorare “l’appello disperato delle madri, / le lacrime di creature innocenti, / la solitudine acuta dei vecchi”, intanto che si rasserena nell’ascoltare “il presente / cantare per noi / armonie di vita”; dunque restituisce alla spiritualità e al cuore la fisicità che trascende, e si addentra nella poesia che è la prova del vivere, e “se la tua vita arde”, spiega Leonard Cohen, “la poesia è la cenere”.

Non manca, pertanto, una delle forme che personalmente reputo la più bisognosa di cure e di attenzione, ossia la gratuità della poesia, intesa non come manifestazione commerciale ma come rivelazione di un dono, di volare alto nell’anelito di un oltre, in “un vento dolce / come grappolo succoso / di uva matura”. E’ ciò per cui adoperarsi per guardare avanti, esempio non solo per pensieri plurali ma per il compiacersi in riferimenti personali e personalizzanti, per il lasciarsi andare in un’astrazione universale che l’ambito letterario concede, e che aveva colto una figura appassionata della poesia bresciana, l’amico editore Enzo Bruno, nel decifrare “una voce di quelle che lasciano il segno nei versi sgorgati dall’anima che fanno riflettere, che trasmettono emozioni”, perché “non c’è mai il buio fitto, ma una pacatezza, una dolcezza, uno spazio di luce che genera un rivo di speranza, il coraggio di andare avanti”, appunto.

E’ l’abbandono, comunque, ciò che rievoca nel trascorrere di qualcosa che non dobbiamo perdere, per credere in una  contemporaneità che corre freneticamente ma che ci appartiene nella conclusione di episodi marginali pur di raggiungere  una conoscenza e una consapevolezza sempre più trasparente di noi stessi. La sua evoluzione stilistica, infatti, sia per la  metrica sia per la poetica, diviene strumento di versificazione quando percepisce e tramanda il risultato di significato e di significante tra versi piani, tronchi e sdruccioli, o nell’epizeusi per un palloncino che “spinge e lo solleva piano piano”. Poi la prammatica delle allitterazioni come per “Mi solleva se cado, / mi culla dolcemente” o di “Nel silenzio / si adunano i ricordi, / mi accarezzano, / mi avvolgono”. Così come tornano certi fonemi che conducono a effetti fonetici onomatopeici,  in “Carillon di campane al crepuscolo / si spande sulla via semi deserta, / fa eco al chioccolio della fontana”, e in “Il  vagito” nel “balbettio sonoro di un bambino”, mentre fanno eco forme come “la chiaria del cielo”, il “brusio di voli”, e il dipingere in un “tripudio di colori” la “fioritura di cieli e di ninfee” nei riflessi “di tramonto arancione e vele – crema / in cangiante fusione acqua – terra”.

Maria Rosa Bertellini con lo scrittore Andrea BarrettaEcco, Maria Rosa Bertellini pittura liriche che andrebbero sviscerate in una concretezza della rappresentazione visiva che  l’accomuna all’arte figurativa, congiunta ai dettati di estetica oggi contrapposti a una cultura schiacciata su se stessa, e colora versi fluidi come pigmenti sulla tela a creare piani che accrescono direzioni di sintesi per uscire dal margine  apologetico.

Così, la sua scrittura s’inserisce nella poesia contemporanea e cerca di dare risposte nel dibattito dell’interrogazione poetica avviato da molte antologie in mancanza di autori innovativi, e rimane decifrabile l’abbattimento degli elementi prevedibili che non portano ad alcun raccoglimento, a nessun riflesso introspettivo, nel momento in cui sembra accompagnarci in un porto sicuro, pagina dopo pagina.

Quello di essere “poeta” dà seguito a sensibilità diverse nella tendenza a nominalizzare anche i pensieri più difficili, perché  c’è l’obiettivo di comprendere e di mediare, perché ci sono la pratica corporeità del tangibile e un sano pragmatismo. In tal modo Maria Rosa Bertellini può imprimere ciò che la ragione rappresenta, e tenerne conto, nella straordinaria modernità di versi nei quali rivela anche le sue fragilità, languori e sussurri, nostalgie e passioni, senza nascondere la “Solitudine” che ognuno prova anche in “una vita vissuta”, e chiama a sentire “un brusio” che “fende l’aria / e diffonde nel cielo / un grido – preghiera”.

La conclusione è in tutto quanto contraddistingue un’altra maniera di percepire se stessi, nell’affinità che aggrega il lettore al poeta su un sentiero che per quanto possa essere buio alfine offre i suoi spiragli di luce, oltre le paure che nascondono la  bussola delle possibilità, … il coraggio del domani, che sia luminosa dinamica di trasmissione di valori diversi che non l’assenza.

Andrea Barretta

  • “Spiragli di luce”, di Maria Rosa Bertellini, pp. 128, ed. ab/arte, Brescia.

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