L
e compagnie di assicurazione hanno un grande massa di dati personali sui loro assicurati che utilizzeranno sempre più nell’offerta dei loro prodotti mirati a target specifici; è ora di regolamentare l’uso di questi ”big data” sia per difendere la privacy delle persone sia per non distorcere la libera concorrenza.
Donatella Porrini, Professore Associato di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze dell’Economia – Università del Salento -, analizza il problema e traccia un quadro netto della situazione con un occhio al problema nella privacy che big data apre e la voce.info ci rende disponibile il suo studio:
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Assicurarsi al tempo dei big data (Donatella Porrini)
Per avere successo in un mercato in continua evoluzione, le compagnie di assicurazione devono sfruttare i big data. Però il loro utilizzo deve essere regolamentato a livello istituzionale e commerciale. Per evitare intrusioni nella privacy e discriminazioni nei confronti di gruppi di individui.
Assicurazioni e rivoluzione tecnologica
Durante la recente presentazione della “Relazione sull’attività nel 2015 dell’istituto di vigilanza sulle assicurazioni (Ivass)”, il suo presidente Salvatore Rossi ha parlato della “rivoluzione tecnologica possibile” che potrebbe derivare dalla Instech, ossia dall’uso delle tecnologie nel mercato assicurativo.
La relazione ha messo in evidenza come da questa rivoluzione si attendano cambiamenti sostanziali, a partire dagli effetti della crescente disponibilità di informazioni sui comportamenti degli assicurati che consentiranno alle compagnie di definire meglio i prezzi e di disegnare prodotti più attraenti.
Nella presentazione c’è stato però solo un breve accenno al fatto che i big data potrebbero comportare per i cittadini rischi di varia natura e al conseguente dovere di regolatori e supervisori di riconoscerli, analizzarli e neutralizzarli.
I rischi
Ma quali sono questi rischi?
Prima di tutto, quelli connessi con la privacy dei clienti, visto che la raccolta dei dati, con l’avvento del digitale, si basa su strumenti decisamente potenti ed efficaci, che possono però non essere completamente percepiti dai sottoscrittori e dunque potenzialmente invasivi.
Oltre all’aspetto della privacy, si devono però considerare altri potenziali effetti negativi, come l’aumento della concentrazione del potere di mercato e la discriminazione dei clienti.
Sotto il primo profilo, le informazioni provenienti dagli assicurati e le nuove tecniche di elaborazione possono costituire delle vere e proprie barriere all’entrata a vantaggio delle imprese già operanti nel mercato rispetto a quelle che non siano in grado di competere in termini di raccolta e uso dei dati e che, di conseguenza, non riescano a effettuare un’adeguata pubblicità sfruttando il contatto diretto con i clienti. A questo si aggiunge il fatto che le compagnie operanti nel ramo auto, dove l’assicurazione è obbligatoria, possono trarre vantaggio competitivo dai dati dei clienti per offrire loro anche altri prodotti assicurativi e finanziari adatti alle loro caratteristiche individuali.
Nel caso di polizze non obbligatorie, le compagnie potrebbero sfruttare i big data anche per selezionare i clienti migliori, con l’effetto negativo di emarginare dal mercato i soggetti meno attraenti. È il problema del “cream skimming” che già caratterizza l’assicurazione sanitaria e per rimediare al quale sono stati previsti incentivi economici o coperture pubbliche per l’assicurazione dei soggetti più rischiosi. È facile prevedere che il problema sia destinato ad aggravarsi dal momento che sono disponibili sul web dati specifici sulla salute degli individui, spesso lasciati inconsapevolmente.
Questo ci porta al secondo punto: la possibilità che venga attuata una discriminazione.
In pratica, anche nel mercato assicurativo, così come avviene in tanti altri settori, le imprese possono incrociare i dati dei loro clienti con una serie di informazioni provenienti dai social media, dai network relazionali, dal mobile, dalla geolocalizzazione, che consentono di definire a livello di singolo individuo le caratteristiche della sua vita dal punto di vista spaziale, temporale, intellettuale e di realizzare il cosiddetto profilo comportamentale (behavioral profiling), utilizzabile a livello commerciale.
Per fare un esempio pratico, succede molto spesso che quando cerchiamo il prezzo di un volo aereo in internet, subito dopo riceviamo proposte di pacchetti di viaggio proprio per quella meta. Che dire se nel futuro, dopo una ricerca riguardante conseguenze e rimedi per una certa malattia, incominciassimo a ricevere proposte di polizze sanitarie o sulla vita adatte al nostro profilo di rischio?
Regolamentare l’utilizzo dei dati
Per avere successo ed essere competitive in un mercato assicurativo in continua evoluzione, è chiaro che le compagnie devono sfruttare i big data, ma appare necessario che il loro utilizzo venga regolamentato, non solo a livello istituzionale, ma anche a livello commerciale, per evitare conseguenze negative, in quanto discriminatorie nei confronti di gruppi di individui.
Le autorità devono vigilare essenzialmente in tre direzioni:
1) la raccolta dei dati non deve infrangere la privacy degli individui;
2) la classificazione dei rischi non deve trasformarsi in un freno alla concorrenza;
3) l’utilizzo di informazioni sulla vita personale non deve essere strumento di discriminazione.
La sfida a livello regolamentare, visto che la tutela della privacy e gli interventi in materia di concorrenza sono collegati tra loro, è che le Autorità riescano a collaborare non solo in Italia, ma anche a livello europeo, e con un coordinamento internazionale.
Ed è importante interrogarsi su questo tema perché è facile prevedere che nel prossimo futuro assisteremo a un rafforzamento del ruolo economico e sociale del settore assicurativo, in corrispondenza alla riduzione del welfare pubblico, in particolare per le polizze sanitarie e per i prodotti di previdenza complementare.
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