Apprensioni sull’atteggiamento apatico dei nostri politici nei confronti di quella che sarà la sfida centrale dei prossimi decenni: resistere ai robot e salvaguardare il mercato del lavoro
Nella post-modernità di cui tanto si riempiono la bocca sociologi e studiosi del terzo millennio c’è un aspetto macabro che mette in dubbio tutto ciò per cui l’umanità ha combattuto negli ultimi mille anni: lo scetticismo nei confronti delle metanarrazioni, “i grandi racconti” universalmente accettati.
A colmare il vuoto di certezze e credenze ecco spuntare teorie del complotto, più o meno fantasiose, sulle verità che riteniamo ambigue, o semplicemente rese “traballanti” da massicce campagne di disinformazione.
“Inventiamo una storia per nascondere ciò che ignoriamo o non vogliamo accettare. Architettiamo una nuova frottola intorno a pochi dati di realtà. Il nostro panico e la nostra sofferenza trovano lenimento solo nell’invenzione; e la chiamiamo storia” per citare lo scrittore britannico Julian Barnes, che ha spesso descritto i caratteri di quest’epoca. E c’è chi forza il termine medioevo per sottolineare le analogie con l’anno mille: ritornano antiche paure, ritorna l’analfabetismo in forme diverse; la secolarizzazione viene messa a dura prova ed, in generale, assistiamo ad una crisi dell’idea di progresso.
Ma le paure a loro volta non sono sempre negative: spesso ci permettono di anticipare i pericoli, ci aiutano a trovare le prime contromisure istintive e tengono il nostro cervello in allerta. Se da un lato abbiamo un Carlo Sibilia, sottosegretario agli Interni, che mette in dubbio l’allunaggio, una Lega che cavalca le tesi degli antivaccinisti, le bufale della teoria gender e del piano Kalergi, dall’altro lato c’è chi sottolinea i grossi sconvolgimenti di quest’epoca senza però trovarvi soluzioni, prediligendo la narrativa del complotto.
Ma c’è una sfida che complottisti e amanti dei rettiliani si sono lasciati sfuggire: l’invasione dei robot.
Nulla di così affascinante come quella descritta in un bel libro di fantascienza, ma che ha tutte le caratteristiche per essere altrettanto pericolosa.
Nel giro di quindici anni, il 38% dei posti di lavoro disponibili oggi negli Stati Uniti potrebbero essere presi dai robot. E il fenomeno riguarderà anche l’Europa e l’Asia, visto che in Germania l’automazione è avviata ad eliminare il 35% dei posti, in Gran Bretagna il 30%, e in Giappone il 21%. Almeno secondo i dati della PricewaterhouseCoopers, che hanno spiegato, ad esempio, perché Bill Gates il fondatore della più grande azienda d’informatica al mondo, la Microsoft, abbia suggerito di tassare i robot che portano via il lavoro agli esseri umani. A differenza del migrante che “ruba” un lavoro non qualificato, nel prossimo futuro i robot e le intelligenze artificiali saranno in grado di ricoprire il 50% delle attività che richiedono un sapere specifico andando ad intensificare la crisi del mercato del lavoro. Ma questa silenziosa invasione non è solo uno scenario futuribile: già oggi – se vogliamo continuare la metafora – assistiamo alle prime incursioni. Sulle auto che si guidano da sole, sui negozi fisici di Amazon e di altri colossi che non richiedono personale umano fino ad arrivare alle avanzatissime stampanti 3D capaci di riprodursi da sole non sembra esserci un serio dibattito nè in Europa, nè tanto meno in Italia.
Fievoli sussulti arrivano dai Radicali Italiani o dal recentissimo Manifesto del progetto progressista di Carlo Calenda, che da ex Ministro dello Sviluppo Economico ha potuto saggiare da vicino l’argomento. Tace invece il suo erede, Luigi di Maio, che in alcune dichiarazioni del 2017 aveva persino suggerito di sostituire l’organo legislativo con un “algoritmo”. Mentre il suo alleato di Governo, Matteo Salvini, nonostante il parere favorevole alla robot tax espresso anni fa è ancora fermo alla ruspa e alla clava.
Chiaramente non sarebbe giusto alimentare allarmismo per un fenomeno che secondo diversi esperti non avrà un impatto così apocalittico. Anzi, in alcuni studi è stato evidenziato che la robotica potrebbe creare addirittura nuove professioni. Ma ciò che preoccupa è il fatto che il fenomeno sia chiaramente sottostimato dalla politica e che, se lasciato lì a fermentare, potrebbe causare scenari dannosi per l’occupazione, con le multinazionali pronte a pregustarsi il risparmio sui salari che comporterebbe la sostituzione del personale umano con le macchine. D’altra parte, questo vuoto normativo e burocratico va affrontato in sinergia con gli altri paesi, altrimenti si rischierebbe la delocalizzazione in massa di grandi aziende in Stati non allineati alle leggi proposte. Insomma, in attesa che anche essi vengano sostituiti dai robot, i nostri politici hanno ancora il dovere di intervenire per coprire i vuoti legislativi e di “indirizzare” i fenomeni verso un lieto fine, proprio come in un buon romanzo di fantascienza.
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A cura di Mario Calabrese
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