Il retroscena dell’informativa Cerbero: Gli affiliati di Raffaele Di Somma già nel 2015 bramavano il potere sul rione Santa Caterina.
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otremmo definirla guerra fredda quella tra le due fazioni che si contendevano il rione di Santa Caterina.
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Un conflitto che ha visto diversi momenti di tensione e che più di una volta stava per sfociare in una faida.
Cerbero: la trappola per riprendersi Santa Caterina
Erano 2 gli schieramenti che si contendevano il monopolio del traffico di droga e delle estorsioni nel rione stabiese:
- da una parte i 2 gruppi dei D’Alessandro
- dall’altra, gli affiliati del boss Raffaele Di Somma, alias “o’ninnil”.
Il territorio è quello di Santa Caterina.
Territorio che in passato era pienamente sotto il controllo dei Di Somma ma che, a causa degli arresti del cutoliano Raffaele Di Somma e del figlio Vincenzo, è passato sotto l’influenza del sodalizio di Scanzano.
Il dente avvelenato è rimasto, un sentimento di vendetta che negli anni è stato coltivato nei vicoli del Centro Antico.
Rabbia che, nei prossimi mesi, potrebbe tramutarsi in una vera e propria guerra di Camorra surriscaldando, ulteriormente, un’estate che per il crimine organizzato stabiese potrebbe diventare incandescente.
Infatti, la scarcerazione del boss Raffaele Di Somma avvenuta lo scorso Marzo, potrebbe aver smosso i sottili equilibri nel Centro Antico ridisegnando le gerarchie del rione Santa Caterina.
Non a caso il Di Somma starebbe girando nelle strade del suo rione in compagnia di una scorta, temendo la vendetta dei vertici della Cupola di Scanzano.
Più di una volta, appunto, diversi affiliati al Di Somma hanno ammesso, in conversazioni intercettate dalla polizia giudiziaria e dai carabinieri, di aspettare proprio l’uscita dal carcere di Raffaele Di Somma per ripristinare la propria egemonia sul rione di Santa Caterina.
L’informativa Cerbero ci ha descritto l’avvenire della seconda generazione dei D’Alessandro.
Il clan, nel periodo tra il 2010 e il 2015, a causa delle detenzione in carcere di tutti gli esponenti di spicco, si è dovuto affidare all’esperienza di Teresa Martone, vedova del boss fondatore del clan Michele D’Alessandro (classe 45), che sotto il suo controllo indirizzava i 2 rampolli:
- Michele D’Alessandro, classe 78, figlio di Luigi D’Alessandro, alias “Gigginiello” (fratello di Michele);
- Michele D’Alessandro, classe 92, figlio di Luigi D’Alessandro detto Luigino (figlio del boss defunto Michele).
Rispettivamente capi di 2 organizzazioni differenti che operavano su Castellammare e dintorni senza pestarsi i piedi.
Quella gestita dal primo era più vicina a Luigi D’Alessandro (o’Gigginiell).
Quella del secondo era sotto l’influenza di Sergio Mosca, il colonnello di don Michele (classe 45) attualmente in carcere.
Nelle intercettazioni telefoniche tra Michele, classe 92, e il suo colonnello Gianfranco Ingenito, si delineano i rapporti tra i D’Alessandro e “quelli di Santa Caterina”.
Nelle intercettazioni effettuate in un auto usata dai D’Alessandro, si riconoscono le voci dell’Ingenito e di Michele D’Alessandro.
Questi, nei loro discorsi, nominavano spesso Vincenzo Di Palma, alias o’palummiell, e Giovanni Savarese, alias o’cecchiell.
I due sarebbero “coloro su cui cadeva la responsabilità della guida criminale del gruppo di Santa Caterina a causa dell’essenza dei Di Somma, padre e figlio, poiché detenuti.”
Gli inquirenti inoltre notarono un avvicinamento tra i Di Somma e il giovane rampollo del sodalizio di Scanzano.
Proprio in questo principio di alleanza che si nascondeva la trappola per colpire il cuore dei nuovi D’Alessandro.
Il piano era chiaro: godendo della fiducia del rampollo del clan sarebbe stato più semplice colpirlo e ripristinare l’egemonia dei Di Somma a Santa Caterina.
Un sospetto alimentato in una conversazione avvenuta tra uno spacciatore e il figlio di Luigino che, in confidenza, ha rivelato che da lì a poco C. avrebbe patito un proposito criminale nei suoi confronti.
Lo spacciatore raccontava che:
“C. e G. erano venuti a Castellammare per incontrarsi con esponenti di spicco del rione di Santa Caterina e pianificare un’aggressione ai danni del clan D’Alessandro”.
Il tutto, appunto, sarebbe avvenuto tramite uno stratagemma:
“accattivarsi prima le simpatie facendo loro credere di far parte tutti dello stesso sistema e poi, approfittando della fiducia guadagnata, li avrebbe combattuti finchè non sarebbe transitato sotto il loro dominio il territorio di Castellammare.”
QUESTI erano in attesa solo del placet di Raffale Di Somma.
La falsa amicizia sembra trovare un riscontro anche in un incontro a via Volte, a Gragnano, presso la casa di Apicella Rossano.
Il Di Palma si recò, armato, nell’abitazione dell’Apicella per l’acquisto di una partita di cocaina.
All’interno dell’appartamento erano presenti anche Gianfranco Ingenito e Michele D’Alessandro.
Mentre in precedenza tra il giovane rampollo e il Di Palma erano censurate numerose conversazioni dove Michele D’Alessandro era stato portato a spasso nelle vie di Santa Caterina, quasi in trionfo e da capo, tra i 2 nasceva uno screzio a causa di un’estorsione ad un cantiere edile.
La rabbia del Di Palma era causata da una non giusta spartizione dell’introito proveniente dall’estorsione.
Il Di Palma, infatti, pretendeva dal giovane D’Alessandro un “pensiero”.
Una dinamica non accettata nemmeno dall’Apicella che interpretava il fatto come “un’estorsione ai danni del giovane D’Alessandro”.
Da questo episodio potrebbe essere nata la rottura tra i 2 e il conseguente fallimento del piano architettato dagli affiliati ai Di Somma.
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A cura di – De Feo Michele / Redazione Campania
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