Il governo siciliano in carica da pochi mesi pare essersi dissolto. Sembrano andare in tal senso le recenti dichiarazioni di diversi suoi esponenti come anche del Presidente Musumeci.
I titoli eloquenti di diversi giornali online di questa ultima settimana.
“Maggioranza in tilt all’Ars, Musumeci all’opposizione: “Pronto al confronto ma solo sui temi“, oppure “Il centrodestra s’è squagliato. Cronaca di una fine annunciata” o “Sicilia, Musumeci senza maggioranza alla prova dei conti” e ancora “Ars, la maggioranza non ha i numeri: Diventerà Bellissima minaccia la crisi”, “Anche Musumeci (senza maggioranza) invita i suoi al dialogo con le opposizioni”, “Regione, Figuccia a Musumeci: “la maggioranza in aula c’è ma non si vede”, “Sicilia, Lupo (Pd): Ars paralizzata da crisi di maggioranza”, “Musumeci dichiara lo stato di crisi politica”, “Ars, i 5 Stelle: Sì al dialogo E Musumeci apre al confronto”.
Ammesso che di fondo non ci sia anche un problema di carenza di liquidità e quindi per la generale annosa politica un conflitto di come destinar(seli), non essendo neanche più possibile estorcere fiscalmente i siciliani salvo economicamente suicidarli o innescare una rivolta di chi lavora, produce ed è privato.
Qualche giorno addietro la Corte dei Conti, nelle 42 pagine della relazione sul Def dava un ritratto di questa Regione ormai in difficoltà enorme. “Dopo sette anni consecutivi di recessione, – scrivono le Sezioni riunite presiedute da Maurizio Graffeo – la Sicilia ha perso 15,3 punti percentuali di Pil reale (quasi il doppio della media italiana), nel 2015 il trend sembrava essersi invertito con un promettente +0,9%, in linea con il dato nazionale … ma … A dimostrazione della debolezza dell’economia siciliana – ribadisce la Corte dei conti – tuttavia le stime Istat per il 2016 al momento rilevano una nuova battuta d’arresto (- 0,1%), in controtendenza con il dato nazionale (+1%) e meridionale (+1,5%)”.
Ma anche noi cosiddetti adulti, quando la finiremo di dare ancora retta in politica a rafferme pletore di trasversali cantastorie, gonfiati, cambiacasacca, lucciole, profittatori, faccendini, faccendieri (e mi fermo qui), tutti con rispettivi eserciti di codazzi, mantenuti attraverso miriadi di artifici legislativi e finanziamenti pubblici a pioggia rimpinguati con l’estorsione fiscale dei concittadini.
A questo si aggiunga che il bisogno e il timore, ma anche l’opportunismo e il favoritismo, hanno stravolto nel tempo la società siciliana, rendendola sempre più dipendente e subordinata al sistema pubblico-politico. Il sottosviluppo è poi il guinzaglio con cui la politica tiene al palo anche quella maggioranza di siciliani che vorrebbero invece essere autonomi e indipendenti.
Sempre la Corte dei Conti aggiunge: “Sia per il 2019 che per il 2020, le previsioni programmatiche della Sicilia contenute nel documento in esame scendono ad un +0,6%, con un significativo scarto rispetto al dato nazionale (rispettivamente +1,5% e +1,3%)”.
E non siamo neanche più soli. Ci sono tra noi tanti comunitari e immigrati e stiamo pure attraversando un contesto mondiale di instabilità. Basterebbe anche solo osservare la guerra globale dei dazi in corso e lo scontro planetario inter etnico e religioso sempre più aspro.
Inoltre si sta innescando un meccanismo quasi insofferente, tipico delle epoche di carestia o crisi, per cui chi non rientra nel “clan” politico-sociale, diviene un quasi nemico se non anche un bersaglio allorché legittimamente critica gli sperperi, sprechi, ingordigia, mancanza di trasparenza, carente liceità, manciugghia, ecc.
Questo genere di Sicilia c’era alcuni decenni addietro, specialmente ai tempi della cosiddetta democristiana “corrente andreottiana”. La differenza è che mentre all’epoca ad essere prepotenti erano essenzialmente i vertici, oggi si assiste ad una parcellizzazione della prevaricazione e intolleranza, pure tra gli strati più cosiddetti bassi della società, per cui anche l’inetto si sente un picciotto se non persino un campiere quando è in un gruppo politico.
Come uscirne? Partiamo da Roma.
I Presidenti di Camera e Senato ci sono. Ma non basta. Poi ci sarà il Presidente del Consiglio, anche bene. Ma non basta. Saranno nominati i Ministri e Sottosegretari. Ma non basta. Se infatti dopo non si interviene seriamente e con onestà intellettuale su leggi e regolamenti per cambiare l’incancrenito e corrotto decennale sistema pubblico-politico italiano, non cambierà nulla. Se non avverrà nell’arco di metà legislatura questo cambiamento, non ci sarà differenza tra prima e dopo, tra precedenti raffermi e nuovi arrivati.
E in Sicilia occorre subito una maggioranza di Parlamentari intellettualmente onesti e risoluti per il cambiamento, che unitariamente abbiano la forza politica e anche il coraggio di rivoltare come un calzino questa Regione, ingessata ed economicamente al limite.
Se non parte infatti dall’alto un segnale forte di radicale cambiamento, legislativo, giuridico e burocratico , la società e l’economia siciliana continueranno a disfarsi, regredire ed avvizzirsi. E nessuno di solito azzecca la soglia di non ritorno socio-economica, ma di certo la Storia ci ha insegnato che c’è.
Perché allora rischiare il precipizio ?
La Sicilia è una Terra baciata dal Sole, dal Mare e dalla Natura, avrebbe tutto ciò che le occorre, tanto più che per il suo clima ha un consumo energetico complessivamente basso non soffrendo ad esempio il freddo intenso e godendo della frescura del mare di cui è circondata.
Pur nonostante, l’ipocrisia culturale e la corruzione interiore della politica, con il suo clientelismo, voto di scambio, nepotismo e certa mafiosità, ha infettato e sta lentamente uccidendo la Sicilia.
Fate tutti un passo indietro. Ravvedetevi fino a che siamo in tempo.
Di certo è anche irritante leggere che in Sicilia «Con stipendi bassi, la classe dirigente sarà sempre scarsa», quando poi a seguito dell’intervento a colpi di carte bollate dell’Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione) guidata da Raffaele Cantone che ha intimato all’Ars di rispettare le norme sulla trasparenza degli atti, il Parlamento regionale ha reso noti gli stipendi degli 11 superburocrati con remunerazioni di 240mila euro annui a decrescere.
Il centrodestra in Sicilia opera ancora come ha fatto il centrosinistra prima. Continua purtroppo il metodo conclamato dei soldi pubblici sparpagliati per caste, corporazioni, categorie e codazzi.
E ritengo che su una cosa aveva ragione Renzi (ma non ha saputo comunicarlo), ovverosia che il decentramento promulgato nel 2001 dall’allora governo di centrosinistra e poi confermato dal referendum sempre di quell’anno durante il governo di centrodestra, è il forzoso “pozzo senza fondo” delle Regioni e dei Comuni, poiché per legge, sentenze e regolamentazioni (le LORO e solo per LORO) sprecano, sperperano, s’ingozzano e spendono, senza controllo, potendo tartassare fiscalmente i cittadini anche fino a farli suicidare. In Sicilia in particolare, lo Statuto Autonomo nei decenni è giovato di tutta evidenza a LORO e solo per LORO.
Non si tiri però troppo la corda. In Italia non ci sono state mai rivolte. Ma l’avvilimento, il livore e la disperazione, il primo segnale lo hanno già dato alle ultime elezioni soprattutto nazionali, particolarmente in Sicilia.
Certo, ora staremo a vedere questi nuovi all’opera e se manterranno gli impegni e le regole che si sono dati e di cui hanno reso partecipi gli elettori, cui molti li hanno appunto votati per questo. Stiamo osservando e aspettando. Diversamente meglio ritornare subito a votare.
A
dduso Sebastiano
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