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Catch

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Ve lo ricordate il Catch?

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arò pure un nostalgico degli anni ‘80, ma non si può non ricordare il Catch. Più tardi l’America lo trasformò in Wrestling con le cronache di Dan Peterson sulle reti Fininvest, ma prima era giapponese, si chiamava Catch (“puroresu”, professional wrestling). Uno stile di lotta popolare che si è sviluppato nel tardo XIX secolo.

A rendere eroi personaggi che in Italia non si erano mai visti, le cronache di Tony Fusaro, Cristina Piras e il commento tecnico di Paolo Angeli in “Catch the Catch”, grazie alla I.T.B. (Italian Tv Broadcasting SRL) di Roma prima, EuroTv dopo, OdeonTv e Supersix infine, che lo importò dal Giappone.

“Catch”, il brano sigla del popolare programma televisivo, era cantata da “I Condors”, ovvero, i “Fratelli Balestra”, un gruppo musicale di arrangiatori, autori, coristi ed interpreti di sigle televisive di anime e colonne sonore.

Il più famoso dei lottatori è stato Inoki Kanij detto Antonio Inoki, che scelse proprio quel nome italiano in onore di un lottatore italo-americano degli anni ‘50, Antonio Rocca, segno particolare quel mento particolarmente prolungato. Nel 1972 fondò la New Japan Pro-Wrestling (NJPW) una federazione di puroresu giapponese. Nel 1976 a Tokyo affrontò perfino Muhammad Alì, in un incontro camuffato in pugilato, non fu spettacolare e finì pari. Nel 1989 si sposò per la terza volta e venne eletto nella Camera Alta del Parlamento giapponese, rieletto poi nel 2013. La sua carriera si concluse il 4 aprile 1998 davanti a 70mila persone con uno show intitolato ”The Inoki Final”.
Uno dei suoi avversari più noti era frutto della fantasia dei fumetti e dei cartoni animati, quel famoso “Uomo Tigre” che esisteva per davvero e si chiamava “Tiger Mask”, la maschera indossata da Satoru Sayama. Un famoso incontro disputatosi nel 1995 in Corea del Nord, in segno di pace verso il Giappone, vide la presenza di ben 150mila spettatori. Gli si contrapponeva l’altra maschera tigre del puroresu giapponese, Black Tiger, ovvero Mark Rocco, un wrestler di Manchester nato a Tenerife.
Spesso affrontava un famoso gigante buono, André René Roussimoff, detto André “The Giant” (224 cm per 245 Kg), scomparso poi nel 1993 nella sua Parigi per infarto mentre si trovava per il funerale del padre.
Vinceva sempre invece contro Dynamite Kid (Thomas Billington): wrestler inglese, insomma una vittima sacrificale che da qualche anno però è su una sedia a rotelle.

Tatsumi Fujinami: altro wrestler indimenticabile, il delfino di Antonio Inoki, che purtroppo non si è mai scrollato di dosso questa etichetta. “Il dragone”, come lo chiamava Fusaro, dal 1999 sta rivestendo l’incarico di presidente della NJPW, ma anche in questo caso si dice che in realtà, come quando era sul ring, le decisioni le prenda tutte Inoki.
Kengo Kimura: anche lui ha ottenuto molto meno di quello che avrebbe meritato. Ritiratosi nel 2003, recentemente è stato nominato responsabile dello scout per la New Japan. Tuttavia Kengo e Tatsumi vinsero in coppia il titolo mondiale.

Qualcuno portò sul ring anche il supereroe di una serie tv giapponese, Ultraman. E ancora tanti altri volti noti: Kenta Kobashi, Shohei “Giant” Baba, Masked Superstar e Abdullah The Butcher.

Un’altra cosa che rendeva il catch giapponese interessantissimo erano gli incontri femminili, ragazze che si menavano con urli assordanti, dallo sguardo ancor più cattivo degli uomini.
La più bella era Mimi Hagiwara, quella che alla fine vinceva sempre. La “farfallina bianca” come l’aveva soprannominata il buon Fusaro, per la leggerezza di ogni suo movimento. Oltre ad essere molto bella e ad essere indicata dai più come la wrestler giapponese più affascinante era molto brava anche come cantante. Proprio come una farfalla, purtroppo la sua carriera non fu di lunga durata e il suo abbandono fu definitivo nel 1983.

Infine dall’America giunse l’ultimo eroe, Hulk Hogan, riferimento non causale ai cartoni della Marvel per i suoi muscoli. Quel Terrence Eugene Bollea che entrava con le note di “Eye of the Tiger” dei Survivor, strappandosi la maglietta, con la mano all’orecchio per incitare i fan e che grazie al business del wrestling è diventato un uomo ricco e potente. Ma i numerosi problemi di salute, il divorzio chiesto dalla moglie Linda nel 2007, la diffusione di un sex tape nel 2012, la chiusura per fallimento del ristorante e il licenziamento dalla WWE (World Wrestling Federation)
nel 2015, ne hanno segnato l’inesorabile declino.

Ricordo però con molto dispiacere quel giorno in cui un politico buontempone che, comodamente seduto su una poltrona in commissione di vigilanza della Rai, fece una crociata contro questo sport. Disse: “Il Wrestling è da oscurare, vietarlo ai minori, vietare gli spettacoli in Italia e mai un ritorno alla tv in chiaro”, così è stato.

Ma già da alcuni anni quel politico noto con il soprannome di “er Pecora” se n’è andato, mentre il Wrestling, grazie alle voci di Chistrian Recalcati e Giacomo Valenti, è tornato, sì, ma alla pay-tv.

Per rivivere quelle emozioni e non solo: canale RicordiTv di Youtube, i dvd della MHE (Mondo Home Entertainment) con gli incontri del Catch commentati da Fusaro, i siti tuttowrestling.com, wethewrestling.net, worldofwrestling.it e il forum giapponeforum.com.

Ho vissuto entrambe le ondate di wrestling mania, dagli anni ottanta ad oggi, e non è violento, si capisce benissimo che è un gioco. È diseducativo per i bambini? E i calciatori? Molti hanno subito seri danni da questo sport? Come per tutti gli altri sport di questo mondo.
Qualche adolescente poteva avere un “nuovo” eroe, un eroe buono che combatte lealmente (i cattivi sleali vengono sempre fischiati e difficilmente vincono, tant’è che erano e sono diversi i divieti, come dare un pugno con il palmo chiuso, calci con la punta, ecc.).
Lotta senza esclusione di colpi, drammatizzata da tatuaggi, acconciature strane, divise orripilanti: equivale né più né meno ai miei cari Mazinga o Goldrake, è solo spettacolo, un circo itinerante, uno show. Una grottesca messa in scena. Il gioco fanciullesco della guerra trasferito nell’epoca dell’homo videns. Semmai il fatto grave è che fra gli adulti si trovi qualche infelice mal cresciuto, portato a epicizzare quei combattimenti. Ma quando ci si imbatte in simili tare psichiche, mica penseremo di cavarcela dando la colpa al wrestling. I bambini sono bambini, non deficienti.
Chi dice che i bambini non sono in grado di discernere la realtà dalla finzione? A quando il divieto ai minori di 18 anni di truculente fiabe? E di quelle raccapriccianti scene di violenza di cui sono pieni la Bibbia e il Vangelo? Forse per qualcuno c’è il timore che un giorno “quel” bambino possa avventarsi sulle parti basse ululando coi gomiti acuminati in postura “suplex”.

Vincenzo Vanacore

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