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Castellammare di Stabia

CATANIA: Trema la terra, ma tremano (di paura) anche le persone

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e popolazioni etnee da milioni di anni convivono con il loro vulcano, l’ Etna, che chiamano semplicemente “ ’a Muntagna”. La montagna per antonomasia, vista la sua straordinaria imponente mole di 3450 metri circa di altitudine. A guardarla dalla pianura sembra un grosso animale placidamente accovacciato, nei pressi del mare Ionio. Se ne sta tranquillo per lunghi mesi, anche se ogni giorno manda un pennacchio di fumo, che aiuta a vedere in che direzione tira il vento. Nei mesi estivi i suoi fianchi si colorano di un blu – violetto che contrasta con il turchese del cielo  mediterraneo. Ma in inverno veste una bianca livrea di candida neve che spesso arriva quasi in pianura. E così di bianco vestita, diventa imponente ed autorevole come una madre badessa. Tutti la guardiamo con riverenza e soggezione perché, in fondo, la padrona di tutto il vastissimo territorio è lei e soltanto lei.

Lei che con la supponenza della sua stazza si guarda intorno compiaciuta e che dialoga con le nubi che spesso le fanno corona sul suo cocuzzolo altissimo; ma anche fa l’occhiolino al mare che la osserva da lontano, da dove appare come una “colonna del cielo”. La badessa, da “saecula e saeculorum”, osserva con accondiscendenza il brulichio di città e paesi, di fiumi e di strade, di boschi e di vigneti che ospita generosamente sui suoi fianchi.
Fino a quando, però, non si stanca o non si infastidisce di qualcosa che le viene a noia. Ed allora decide che è il momento di modificare o sovvertire il piano regolatore dei suoi fianchi, dove fino a quel momento crescevano boschi e prosperavano paesi. Quando gli viene uno di questi ripensamenti con una sostanziosa colata di fuoco brucia boschi e ricopre paesi, strade fiumi e città.
Colpo di spugna e a capo. Catania ed il suo territorio hanno sperimentato decine – forse centinaia – di volte questo suo bizzarro, quanto imprevedibile comportamento. Tutti assistono sgomenti ai suoi voleri imperscrutabili. Aspettano che si quieti e poi, con pazienza e caparbietà ricominciano a ricostruire. In una competizione reciproca che spesso assume anche il sapore di una sfida.
Nel 1669, eruttò lava per un anno, trasformando la geografia del versante sud: cancellando fiumi (il Piscitello, l’Amenàno con i suoi 36 canali), laghi (il Nìcito), paesi, strade, città e spostando perfino la costa del mare, rubando chilometri al mare. Poi dopo quella sconfinata massa di lava che aveva svuotato le viscere della terra, la crosta terrestre, riassestandosi, subì un terribile terremoto, o meglio un cataclisma che distrusse tutto lo spicchio meridionale della Sicilia, dal pizzo della Montagna fino al mare africano, spingendosi fino a Modica e Scicli. Ma i catanesi e gli altri siciliani, non si scoraggiarono e non si arresero. Dalla ricostruzione di quei decenni nacque il
miracolo del barocco siciliano, che ha visto germogliare città fatte di pietra ricamata, come Noto o Modica, Ragusa Ibla o Scicli, e la stessa Catania.
Oggi sono passati 350 anni da quel terribile 11 marzo 1669 quando iniziò la terribile eruzione. Le genti etnee si stanno preparando a ricordare e rievocare e celebrare questo triste, tragico evento, con manifestazioni, cerimonie e pubblicazioni, che aiutassero a mantenere vivo il ricordo di quanto dolore e sacrificio costarono quegli eventi ai nostri Avi. Ma la badessa in questi giorni di Natale 2018 sta sparigliando. E spiazzando ancora una volta tutti. Non sappiamo con quali intenzioni. Speriamo siano solo “celebrative”, caricate solo a salve e che non si stia preparando per uno dei suoi apocalittici cambiamenti epocali del piano regolatore dei suoi territori. Dio non voglia!!

Carmelo TOSCANO

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