A
d ogni pioggia – che sia piovasco, acquazzone o nubifragio – tutte le strade etnee si trasformano in torrenti che confluiscono in un grande fiume che transita dalla centrale via Etnea, che con la sua naturale pendenza lo accompagna a sfociare nell’agognato mare.
Tutte le acque piovane si dirigono verso il mare. E quelle delle pendici meridionali del vulcano non fanno eccezione: dalla cima del cratere scorrono allegramente verso il mare. E prima di sfociare sono costrette ad attraversare la bella città.
In effetti, prima della devastante eruzione del 1669 lungo questa direzione scorreva in superficie un ragguardevole corso d’acqua, il fiume Amenano, conosciuto sin dall’antichità classica. Il corso del fiume venne definitivamente sepolto dalle lave durante l’eruzione del 1669.
L’attuale dissesto idrogeologico è frutto della cementificazione allegra e dissennata (strade ed abitazioni) lungo la naturale linea di impluvio del vecchio corso del fiume Anemano, cui abbiamo assistito nell’ultimo dopoguerra.
“Non è un caso se le aree cittadine in cui scorreva l’Amenano (Pescheria, piazza Alcalà, Piazza S. Francesco, villa Pacini, ecc.) oggi sono state invase dal ruscellamento delle acque che si sono riappropriate del loro originario percorso” spiega Fabio Tortorici, Consigliere del Consiglio Nazionale dei Geologi all’indomani del nubifragio che ha flagellato Catania.
Il ripetersi periodico di episodi come questo dovrebbe insegnare qualcosa. Questa catastrofe, infatti, mette in luce, da un lato, la fragilità di un contesto territoriale vulcanico attivo, complesso, dove il reticolo idrografico superficiale è stato più volte obliterato e modificato dalle colate laviche, e dall’altro come il sistema di difesa del suolo debba seguire nuove politiche ambientali volte alla rinaturalizzazione del territorio, – fa osservare Filippo Cappotto, Vice Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi.
Il “Canale di Gronda”, era stato pensato appunto per irreggimentare e smaltire le acque piovane verso il mare, costruendo un tunnel lungo nove chilometri nella zona nord della città, che convogliasse i vari collettori che scendono dai paesi etnei della corona pedemontana. Cercando di ovviare ai danni fatti dalla “spiccata antropizzazione e cementificazione dell’area pedemontana sud orientale etnea, che ha ridotto l’infiltrazione delle acque meteoriche nel sottosuolo”.
L’opera iniziata a Catania intorno al 1985, ad oggi non è stata ancora completata, nonostante i vari rifinanziamenti. Il Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico 2014-2020 aveva destinato a Catania ben 48 milioni di euro.
Il progetto si è incagliato ed i soldi non spesi perché “non si poteva più mandare a bando il progetto approntato perché era “definitivo” mentre la nuova legge – nel frattempo entrata in vigore – prevedeva che il progetto avrebbe dovuto essere “esecutivo”. Servivano, quindi altri finanziamenti per adeguare il progetto, da definitivo ad esecutivo” ebbe a dichiarare un assessore ai Lavori pubblici del Comune.
Domanda che ci facciamo e che rivolgiamo alla Civica Amministrazione etnea: – Ma con tutto il reggimento di ingegneri, architetti, e geometri, che si annidano comodamente nei vari Uffici Tecnici del Comune, non sarebbe stato possibile metterli tutti all’opera per approntare il nuovo progetto per come la Legge prescrive, trasformandolo da definitivo in esecutivo?
Si sarebbe potuto fare anche appello ai vari Ordini Professionali, facendo leva sul senso civico dei vari professionisti, che avrebbero potuto fornire gratuitamente la loro opera a favore della Città ed acquistandone benemerenza ed innegabile ritorno di immagine. Renzo Piano ed il Ponte di Genova docet!
No! si è preferito, come al solito, bussare a quattrini e rimandare.
Intanto la città vive ore di rabbia e di dolore per i danni subiti e lo spavento patito. Ma respira anche ore di angoscia per le previsioni meteo imminenti che non promettono nulla di buono.
Nessuno paga per i ritardi nelle opere pubbliche. Tutti invocano lo stato di calamità e bussano a cassa per l’emergenza, presidente Musumeci in testa. Ma poi di concreto e di duraturo non se ne conclude un bel niente. Fino al prossimo disastro. Che tutti sanno che arriverà. Ma tutti fanno finta di nulla. Poi ci penseremo. Insciallàh!
Ma fino a quando si potrà continuare con questo andazzo?
// Carmelo TOSCANO/ Redazione Lombardia
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