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Caserta, genero del boss Belforte chiedeva il pizzo ai negozi: arrestato

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aserta, il genero dell’ex boss Belforte, usava il boss pentito come uno spauracchio. «Se non mi dai i soldi, finisci in galera».  Quel cognome che era stato sinonimo di sangue e morte come una sorta di «braccio armato» della legge, veniva utilizzato per incutere ancora paura, e così costringevano alcuni commercianti di Marcianise a pagare il pizzo.

Da ieri è in carcere, a Voghera, il genero del boss, G. Alberico, e sua moglie, G. Belforte, è indagata in stato di libertà. Secondo il pool antimafia diretto dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio, sostituto Luigi Landolfi, mentre erano in località segreta, beneficiando da un punto di vista economico della protezione riservata ai parenti dei pentiti, i due coniugi si sono resi protagonisti di almeno due «viaggi lampo» a Marcianise. Una volta interrogata, lei, ha spiegato che erano andati sulla tomba della figlia. Ma le celle telefoniche agganciate dai loro cellulari nei due giorni «incriminati», nella primavera del 2016, e le intercettazioni a carico delle vittime, di poco successive alle loro visite nella città natale, hanno ricostruito un’altra storia.

La Dda ha chiesto e ottenuto la revoca della collaborazione perché ha mentito sulle informazioni relative alle finanze del clan e, quando il pm gli ha fatto notare di essere stato sbugiardato, ha anche tentato di aggredirlo con una stampella. Ma, mentre ancora era un pentito e sua figlia col suo nucleo familiari viveva a spese dello Stato con uno stipendio da 1400 euro, la coppia avrebbe lasciato la località protetta senza autorizzazione per riscuotere il pizzo di Pasqua del 2016.

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