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Castellammare di Stabia

“CAROL”. (Critica con trailer) Francesco Ciccio Capozzi

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<strong>New York, Natale 1952. Therese, giovane di belle speranze intellettuali, confusa sulle sue scelte di vita, sentimentali e non, ora precaria in un grande magazzino, incontra la bella, matura, infelice e distinta Carol. E’ travolgente amore a prima vista.

Il film (USA, 15) è tratto da un romanzo, del 52, della nota scrittrice americana Patricia Highsmith (1921-1995); costei ha avuto grande fortuna nel cinema. E’ più famosa per i suoi gialli che, come i report di “un’entomologa”, osservano “come dall’alto e con distacco” le ombre di cattiveria e di distruttività individuale e sociale, che si agitano nelle pieghe nascoste del sentire della cosiddetta “gente comune”. Però ha scritto anche opere come questa, in cui il mistery è solo di ricerca psicologica interiore: non c’è alcun elemento che non sia legato alle riflessioni sulle motivazioni delle due; e sulle loro implicazioni familiari, essendo Carol malmaritata e con una figlia, che anzi è minacciata di perdere. Da notare che il libro, fu pubblicato in quell’anno con un altro titolo, ma con lo pseudonimo di Claire Mogan. E’ evidente che gli editori posero problemi alla da poco affermata scrittrice di gialli per la pruderie della tematica dell’amore saffico. Ma il novel, molto ben scritto, continua ancor oggi ad avere successo, e la scrittrice lo ripubblicò col suo nome. Per la riuscita di questo film, è stato molto importante il lavoro della sceneggiatrice Phyllis Nagy, che, pur avendo all’attivo solo questo lavoro nel cinema, è nota per essere da tempo e con successo inserita e quotata nell’ambito tv. Il testo letterario , oltremodo introspettivo, è stato abilmente sceverato nei suoi nessi portanti. E’ stato essenzializzato sugli atti che portano in avanti la storia d’amore. In questo ha rispettato profondamente la sostanza narrativa del libro. Già i dialoghi letterari erano relativamente pochi: abbondavano invece quelle descrizioni “laterali” di contesto psicologico che, soprattutto a partire dalla sensibilità della giovane, davano il senso delle scelte di tutte due le donne; accompagnando il processo di “mise en abime”, ovvero dell’entrare nel profondo della passione. Il cui punto più alto è quel trafiggersi reciproco dello sguardo, pieno di passione, ma anche tenerezza e di completo e fiducioso abbandono nel darsi reciproco, nel corso della loro “prima notte di quiete”, quando portano a compimento totale il loro amore. Il regista, colto e ormai autore Todd Haynes, ha accompagnato questo percorso con una delicatezza espositiva straordinaria. Ha potuto svolgere un finissimo lavoro di analisi comportamentale, grazie anche al contributo fondamentale delle due attrici protagoniste: la esile, fresca, dubbiosa di sé, ma combattiva Rooney Mara e la esperta e consapevole di mondo e di vita, affascinante, generosa Cate Blanchett: la prima è un’attrice completa, premiata a Cannes 15; ma che ci ha già colpito nei panni “selvaggi” di Lisbeth di “Millennium” (ed. USA, 11) e altri film in camaleontiche sembianze. La Blanchett, australiana, è ormai una star di rilievo internazionale, candidata al Golden Globe 16. Ma la qualità della regia è anche nell’aver ricostruito una New York anni 50 di ineccepibile verità: che però è “falsa”, perché gli esterni sono tutti on location a Cincinnati. In questa scenografia, essenziale, ma che ha l’esattezza calviniana di un panorama dell’anima, ha avuto la collaborazione tecnico-artistica di una grande scenografa, Judy Beckler; e perfino i costumi hanno la concisa espressività dell’essere dei personaggi, curati da Sandy Powell. Che ha fatto ricorso con risparmiosa efficacia creativa, alla verità di abiti vintage. Un altro importante collaboratore, anzi il più importante, è il direttore della foto Edward Lachman. Questi è uno dei più apprezzabili e sperimentali fotografi americani: ha lavorato anche col cinema europeo e W. Wenders in particolare. Ha dispiegato una luce che da una parte “accarezzava” le attrici; ma dall’altra ha creato quella sorta di umbratilità polverosa che immaginiamo nelle foto di quegli anni. Ha ricreato una vera e propria atmosfera storica. Su questo compiuto scenario il regista ha messo in essere una versione moderna e originale del cinema di Douglas Sirk (il grande regista di mélò anni 50 e 60), come ha spesso dichiarato. Non è un copiare: ma mettere in scena una cifra originale di ricerca e approfondimenti sulle motivazioni profonde dei sentimenti, utilizzando un sentire che comunica aldilà del tempo.

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