Sulle unioni civili pubblichiamo la testimonianza di una lettrice, che preferisce firmarsi con il solo nome, genitrice di una bambina con due mamme
C
arissimi politici, uomini e donne che state per votare la proposta di legge sulle unioni civili, mi rivolgo a voi con parole semplici e trasparenti.
A voi che non sapete se far passare la legge approvando la cosiddetta stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio naturale del partner. Inizio a scrivere d’impulso dopo che la nostra piccola (non più tanto piccola, ha otto anni) si è rivolta alla mia compagna chiamandola come sempre «mamma» per mostrarle un disegno. Si sa, a volte, gli impulsi prendono forma nei momenti più inaspettati…
Non desidero che le mie parole siano polemiche o provocatorie, ma piuttosto mi auguro che stimolino a una comunicazione.
Prima di noi ci sono state ad esempio le famiglie con un bambino portatore di handicap. Ci sono anche adesso ma, quando io andavo a scuola, non c’era la possibilità di far frequentare le scuole pubbliche a un bambino con una disabilità. Si diventava quindi una famiglia di serie B, con un figlio non riconosciuto pienamente dalla società, perché non visto. Era un altro tipo di non riconoscimento, è vero, ma pur sempre un’assenza di riconoscimento dell’umanità che ci attraversa perché esseri umani, al di là di tutto.
Prima ancora ci sono stati i neri, che non potevano salire sullo stesso autobus dei bianchi, e così via. Qual è la difficoltà? È difficile pensare che i bambini che vivono all’interno di una coppia omosessuale siano stati concepiti dalla natura di questo incontro tra due persone? Perché, se io non avessi incontrato la mia attuale compagna, non avrei probabilmente mai concepito la nostra bimba. Allora voglio raccontarvi come ci si sente all’idea di un affido speciale fino ai 18 anni. Ci si sente offesi, calpestati, violati nell’intimità ancor più che non riconosciuti. Allora si preferisce rimanere di serie B, non essere riconosciuti nemmeno come nucleo familiare.
Non vi racconto invece della nostra intimità, non ho bisogno di convincere qualcuno che nostra figlia è una bambina come tante altre, che la nostra è una famiglia come tante altre. E così, pur non volendo farvi entrare nella nostra intimità (perché anche questo può essere in certi casi un «violare»), vi dirò solo che, secondo me, può esserci sempre una normalità.
Ci può essere normalità con un figlio diversamente abile, in un legame affettivo omosessuale, con due madri, con due padri, con due nonni, con una cultura «altra», con odori diversi, con profumi diversi, con una storia che non è la mia.Negli altri posso incontrarmi, e questa preziosa opportunità la perdiamo ogni volta che pensiamo di considerare gli altri di una diversità inconciliabile con noi, con diversi doveri, diversi diritti.
Invece i bambini sono liberi da queste barriere. Io e la mia compagna, con la nostra bimba, che già da qualche anno ci chiede perché non possiamo sposarci, non usufruiremo di una legge a metà, più calunniosa (perdonatemi l’intemperanza) di una non legge.
Con perseveranza,
Simona
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