Elena Bucci e Marco Sgrosso
Al Teatro Santa Chiara di Brescia , in una prima nazionale, Elena Bucci e Marco Sgrosso hanno presentato “La canzone di Giasone e Medea”, la loro ultima produzione nella quale si interrogano, con grande successo, sul mito di Medea e di Giasone, tragedia euripidea, proseguendo così il cammino iniziato lo scorso anno con le “Storie di Giasone e Medea”. Cammino che ora li vede in scena, ancora una volta, con uno spettacolo vivo e in movimento, reinterpretato con una lettura ampia e variegata che attraversa 2000 anni di storia nei quali nulla sembra mutato se rapportato ad un presente di immigrazione ancora carico di interrogativi non risolti nei quali ora prevalgono sentimenti di Vendetta e Tradimento, ora di Orgoglio e Saggezza dove, alla fine, ci si ritrova a pensare che nessuno ha ragione e nessuno ha torto.
Da un lato Medea, straniera in terra straniera, sposa ingannata e madre assassina, vittima o forse strega crudele, (ruolo per nulla lontano dalla condizione in cui si trovano molte donne oggi, come anche tanti immigrati).
Dall’altro Giasone che, nella sua complessità e nelle sue contraddizioni, si mostra opportunista, indegno egoista o forse padre saggio (ruolo anch’esso non lontano da quello che ancor oggi in tanti vivono nella lotta del sopravvivere).
U
na condizione, quindi, non solo di pura tragedia euripidea nella quale ancora oggi è facile cadere cedendo ad una follia che porta solo lutti e dolori per tutti (ed il pensiero, ancora una volta, non può non andare alle follie ed ai lutti attuali generati da follie non meno distruttive) .
Una presenza quasi costante, poi, è il coro che spia, commenta e scandisce le azioni e le parole dei due amanti nemici:
“Passato, e per sempre, è il tempo della notte, di incanti e sortilegi. Tutto ora accade al limpido raggio della luce, il bene, il male, ed è giusto… Sei stata tu, sono stato io? Non so, è successo…”
Interessante e significativa anche la scelta di inserire, nel punto cruciale dello spettacolo, un inciso musicale che tanto ricorda le canzoni ed i balli di pizzica (tarantella /taranta) con le quali, al sud, si cantava ed ancor oggi si canta, per l’appunto, il dolore e la sofferenza delle donne, gli amori ed i tradimenti ma anche le sofferenze ed il dolore del lavoro e della non considerazione, se non del respingimento pregiudiziale (e qui torna il parallelo alla condizione dell’immigrato di tutti i tempi ed in tutti i luoghi che perdura ancora oggi anche da noi)
Concludendo, “La canzone di Giasone e Medea” è uno spettacolo che vale la pena vedere e che si consiglia di seguire e gustare con attenzione ben guidati dalla bravura di Elena Bucci e Marco Sgrosso che, giova ricordarlo, hanno fatto parte della compagnia di Leo de Berardinis* dal quale si staccarono nel 1992 fondando una loro compagnia “le belle bandiere” per percorrere una loro strada che, in 24 anni di vita artistica, li ha sempre premiati in tutte le opere che hanno messo in scena sempre ben accolte dal pubblico e dalla critica, e questa sera ne abbiamo avuto una ulteriore conferma pur usufruendo di un’acustica in molti tratti non proprio “felice”; ma questo è un problema tecnico al quale, di sicuro, si porrà rimedio per le repliche che si avranno fino al 30 aprile.
IL MITO
MEDEA È uno dei personaggi più celebri e controversi della mitologia greca. Il suo nome in greco significa “astuzie, scaltrezze”, infatti la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini.
Quando Giasone arriva nella Colchide insieme agli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro, capace di guarire le ferite, custodito da un feroce e terribile drago a conto di Eete, lei se ne innamora perdutamente. E pur di aiutarlo a raggiungere il suo scopo giunge a uccidere il fratello Apsirto, spargendone i poveri resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla nave Argo insieme a Giasone, divenuto suo sposo. Il padre, così, trovandosi costretto a raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungere la spedizione, e gli Argonauti tornano a Jolco con il Vello d’Oro. Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva promesso in precedenza, in cambio del Vello: Medea allora sfrutta le proprie abilità magiche e con l’inganno si rende protagonista di nuove efferatezze per aiutare l’amato. Convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un “pharmakòn”, dopo averlo fatto a pezzi e bollito, che lo avrebbe ringiovanito completamente: dimostra la validità della sua arte riportando un caprone alla condizione di agnello, dopo averlo sminuzzato e bollito con erbe magiche. Le figlie ingenue si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre, tra atroci sofferenze: Acasto, figlio di Pelia, pietosamente seppellisce quei poveri resti e bandisce Medea e Giasone da Iolco, costringendoli a rifugiarsi a Corinto, dove si sposeranno.
(*Leo de Berardinis, indimenticato attore e regista che finì in coma il 16 giugno 2001 a seguito di un errore dell’anestesista durante un intervento di chirurgia plastica e, sette anni dopo, morì a Roma nel 2008)
vivicentro.it-nord-terza-pagina / Ottima la prima de “La canzone di Giasone e Medea” con Elena Bucci e Marco Sgrosso (Cristina Adriana Botis)
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