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Bocciato il piano per il futuro di Alitalia, aperta la via al fallimento

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I dipendenti respingono con una valanga di “no” il piano per il futuro di Alitalia che ora va verso l’amministrazione straordinaria, con Etihad che punterebbe a vendere a Lufthansa.

Referendum Alitalia, valanga di “no”: i lavoratori bocciano il piano industriale

Oggi il cda chiederà l’amministrazione straordinaria. I sindacati: riaprire la trattativa. I costi della messa in liquidazione graveranno sulla collettività: oltre 1 miliardo di euro

ROMA – La maggioranza dei lavoratori di Alitalia ha bocciato l’intesa per il salvataggio della compagnia. Il futuro «orribile» che ora spetta al vettore non è più una semplice suggestione, ma è diventata pura realtà. La gran parte dei dipendenti della compagnia ha infatti detto No all’intesa sul taglio al costo del lavoro e ieri in tarda serata è emersa una vittoria schiacciante. Oltre due terzi dei dipendenti, secondo alcune stime a scrutinio ancora in corso, ha rigettato il pre-accordo firmato tra sindacati e azienda e ora per Alitalia si aprono le porte dell’amministrazione controllata e della liquidazione, con costi per la collettività stimati in un miliardo di euro.

I

eri durante l’attesa il premier Paolo Gentiloni ha incontrato a palazzo Chigi i ministri Calenda, Delrio e Poletti per esaminare la critica situazione della compagnia. Al governo infatti si rivolgerà oggi il consiglio di amministrazione dell’azienda, in programma a Fiumicino per avviare la richiesta di amministrazione straordinaria. Con l’esito di questo voto gli azionisti della compagnia fanno un passo indietro e lasciano le chiavi dell’azienda in mano all’esecutivo per la nomina di un commissario. Con la vittoria del Sì infatti i soci avevano garantito un impegno finanziario da due miliardi di euro, di cui 900 milioni di nuova finanza. Un intervento consistente, che però adesso Etihad, il socio di peso di Abu Dhabi, e le banche azioniste e creditrici Intesa Sanpaolo e Unicredit non vorranno più sostenere.

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Nei giorni del voto si è presentato alle urne l’87% dei lavoratori, 10.101 sugli 11.602 aventi diritto. Una partecipazione molto alta, soprattutto per un’azienda i cui dipendenti non sono abituati a esprimere preferenze su accordi sindacali. Gli inviti al «senso di responsabilità» arrivati dal premier Gentiloni, dai ministri Calenda e Delrio, dai sindacati confederali e dal presidente in pectore Luigi Gubitosi non hanno toccato i dipendenti. Neppure la prospettiva che non esista un piano B ha impensierito più di tanto. Tra i lavoratori serpeggiano tristezza e rabbia per la situazione dell’azienda, che da mesi perde oltre un milione di euro al giorno.

I piloti e gli assistenti di volo, categoria che sarebbe stata più colpita dall’accordo con un taglio dello stipendio dell’8% e dei riposi annuali, hanno votato compatti per il No, oltre il 90% secondo alcune fonti. Nel personale di terra invece, per cui erano previsti 980 esuberi, c’è stata una frattura: un terzo avrebbe rigettato l’intesa. I sindacati di categoria Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e Ugl auspicano di «cercare sino all’ultimo ogni soluzione possibile per evitare decisioni che sarebbero traumatiche e non più modificabili». C’è chi invece spinge per la liquidazione, come Stefano Parisi, leader di Energie per l’Italia.

Il No è stato più che altro un voto di protesta contro la gestione voluta da Etihad, entrata in Alitalia nel 2014. Ma i problemi nella compagnia sono nati già a cavallo del 2000 con l’agguerrita concorrenza delle neonate «low cost» e si sono aggravati nel 2008 quando saltò la trattativa per la vendita di Alitalia ad Air France. Scherzi del destino, accadeva esattamente nove anni fa, il 24 aprile del 2008. Da lì è iniziata la storia di un’Alitalia totalmente privata che ha superato due crisi e la terza, quella che oggi sta vivendo, potrà ora definitivamente affossarla.

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lastampa/Referendum Alitalia, valanga di “no”: i lavoratori bocciano il piano industriale NICOLA LILLO

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