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“BATMAN v SUPERMAN: DAWN OF JUSTICE” (Critica Patricia Santarossa) TRAILER

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Batman è stanco e invecchiato. Spaventato, come tutti i cittadini di Gotham City, delle imprese di Superman, che per salvare Metropolis, l’ha quasi distrutta, riprende il mantello per affrontarlo. Ma c’è il giovane Alex Luthor…

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i fronte all’impazzare sugli schermi e al botteghino dei personaggi dell’Universo Espanso della Marvel Comics, diventando essa stessa una Major hollywoodiana, la sua principale concorrente, la DC comics, che tra l’altro è nata e ha cominciato prima di lei, escludendo i televisivi, a mettere sullo schermo i suoi personaggi, (“Superman” con Christopher Reeve è del 78), non poteva stare alla finestra. Doveva anch’essa tornare a misurarsi con lo schermo. Però, per farlo, doveva affrontare la modernità: doveva uscire da quell’aura classicheggiante, sia nel tono narrativo che soprattutto stilistico, che, avendone caratterizzato il successo negli anni 40 e fino agli anni 60, era stata completamente sterilizzata e resa un pezzo da museo, dall’allegra, chiassosa e iconoclasta aggressività dello stile Marvel . Certo, non era facile reinventare un universo fondato sull’aristocratica autoinvestitura, da parte di alcuni tizi in tutina, della missione di salvatori del mondo, che ne faceva una coorte di presunti integerrimi, esemplari e infaticabili eroi a tutto tondo. Ma bisogna considerare, ad onta di ciò che affermano a riguardo sbuffanti critici del cinema e del disegno, che questi eroi sono spessissimo denotati da conflitti molto complessi: però impliciti; chiari agli autori, ma non sempre al lettore. Semanticamente, a dirla con Umberto Eco, si trattava di fare un’autopoiesi di ritorno: dare vita a quelle articolazioni interne che, pur parte dei personaggi, sono non approfondite; ma solo accennate e/o semplicemente trascurate; studiarne le implicazioni ed esplorarne le conseguenze narrative. Del resto, essi sono collettivamente il nuovo Olimpo: però come gli dei di quello antico, si sono impressi così profondamente nell’immaginario di numerose generazioni perché sono dotati di intima e variegata ricchezza e complessità. Ma ecco che, dopo vari tentativi, uscì un fumetto in un formato da Albo d’Oro, un Comic Book da librerie specializzate, staccato, cioè, dalla serialità periodica delle pubblicazioni da edicole e delle strisce sui quotidiani, nel 1986, “Il ritorno del Cavaliere Oscuro” di Frank Miller, un disegnatore ma anche soggettista  americano, molto dotato. A lui si deve, in quello che è considerato unanimemente una delle pietre miliari della Letteratura Disegnata, il “rovesciamento” del personaggio Batman. Bruce Wayne, al suo fondo, è uno tormentato dalla truce eliminazione dei suoi genitori e dalla vendetta conseguente. Ciò porta implicazioni psicologiche enormi. Bob Kane , in primis, ma anche Jerry Robinson e Bill Finger, i suoi creatori nel 1940, ne erano ben consapevoli: e lo ricordavano sempre. Ma fu Miller a esplicitarne e svilupparne narrativamente e graficamente, in chiave più minacciosamente dark, i contenuti ossessivi, quasi patologici, impliciti. E da qui è nata la Batman Renaissance…Prima con Tim Burton, che firmò i due pregevoli Batman (89 e 92) della nuova serie; ma soprattutto, dopo le mezze botte di Joel Schumacher e la prolungata pausa che ne derivò, con Christopher Nolan che realizzò la trilogia capolavoro del Cavaliere Oscuro (05, 08, 12). Del resto Nolan, è produttore esecutivo di questo film (USA, 16): lui ha collaborato col regista Zack Snyder, cui lo lega una sostanziale identità di vedute tematiche e stilistiche. Snyder è stato lanciato da “300” (07)un grande film tratto da un Comic Book, anch’esso di Frank Miller: ed è quest’ultimo il nume tutelare dell’operazione, anche perché anch’essa ispirata ad un precedente Comic Book. Il regista e i suoi esperti e navigati sceneggiatori, Davd S. Goyer e Chris Terrio, hanno esplicitato in chiave distopica e apocalittica le premesse dei personaggi. Batman è pessimista: lo è sempre stato; ma ora lo è diventato ulteriormente perché è lui stesso “incarognito” e amareggiato dall’irriconoscenza e preferisce l’oblio, il silenzio e subire lo scorrere del tempo. E non si fida di un “Custode” dell’umanità che nessun altro può “custodire”: essendo i suoi poteri invincibili; e vuole andare a “vedere”, pur essendo ormai vecchio. Ben Affleck è quasi doloroso nella sua umanità. Superman è, invece, l’incarnazione del Salvatore che viene dal regno della morte: la sequenza del riconoscimento fattogli dai salvati in Messico, quindi in ambiente cattolico, nel “Dia de los Muertos”, è impressionante. Ma si sente anche umano: non un dio. Anzi: lui stesso di questa onnipotenza ha quasi timore; perché lo sovrasta, non lo fa essere persona –cosa che cui lui aspirerebbe, per gli affetti e la famiglia-, ma simbolo. Ma è anch’egli preda di fantasmi della memoria: non di Jor El, il padre “dio”, Russell Crowe, che, in “L’Uomo dacciaio” (13), pure da lui diretto, l’ha inviato sulla Terra per salvarlo/salvarci; ma del padre agricoltore, quello umano, Kevin Costner, che lo incita a sviluppare questo tipo di identità: anche Superman schizzato, perché diviso in due? In realtà prevale l’equilibrio tra le due componenti: ma è un faticoso processo di ricomposizione, che avviene sulla base di dolorose esperienze. L’attore Henry Cavill è convincente all’interno di questo non lineare perimetro. Anche perché, oh!, tutti, ma proprio tutti, posseggono frammenti, di Kryptonite, in teoria molta rara…, l’unica materia letale per lui. Gli autori del film coinvolgono e sconvolgono tutti questi elementi: ponendone, felicemente, lo sviluppo delle dinamiche all’interno dei fini maligni di quell’altro disturbato psicologico che è Alex Luthor, il cattivo, il più grande e motivazionalmente ricco competitor di Superman, il bravo e beffardo Jesse Eisemberg. I suoi 151 minuti di durata devono dipanare e mettere a fuoco questi conflitti. Essi sono attraversati da un gioco di rimpalli e scontri che, nel mettere in luce, anzi in una dimensione di perenne penombra, dato il tipo di illuminazione scelto dal Direttore della foto Larry Fong, la quantità enorme e la grande qualità degli effetti speciali, non assorbono o negano le nature degli scontri messi in essere. In più, è presentata una new entry: Wonder Woman, che è caratterizzata, non solo fisicamente, ma anche come persona, la tostona ma elegante Gal Gadot; ce n’è pure un altro, Aquaman, ma è appena accennato: insieme ad altri comporranno la Justice League: la risposta DC ai marvelliani “Avengers”. E’ un colossale film d’azione : ma non è liberatorio; lo stile adottato, nonostante le apparenze “fracassone”, è molto controllato. Ha il tenore di un apologo illustrato sulla necessità di riflettere sempre e solo sul livello di “umanità” delle soluzioni che ci prospettano per porre rimedio ai malanni del mondo. C’induce a sperare che noi non dobbiamo mai avere bisogno di eroi per salvarci.

Patricia Santarossa

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