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Castellammare di Stabia

Per Banche e Finanza serve una riforma di sistema (Diana Marcopulopulos)

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ra il quasi lontano Febbraio 2016 e già Fisac e Cgil lanciavano avvertimenti sui pericoli di interventi non coordinati e radicali nel mondo delle Banche e della Finanza al posto di un’azione univoca e decisa che ne riformi il sistema. Oggi ci siamo: la scelta non è più facoltativa ma è divenuta obbligatoria e questo è l’argomento trattato da Franco Bruni nel suo articolo pubblicato da la Stampa.

Ve lo proponiamo:

Serve una riforma di sistema FRANCO BRUNI

I valori di Borsa delle banche italiane, come e più di quelle di altri Paesi, subiscono disordini speculativi e soffrono di forme inopportune di comunicazione dei test di solidità condotti dalle autorità europee. Il governo è impegnato in importanti riforme bancarie e in complessi interventi per gli istituti in difficoltà.

La solidità della maggioranza delle banche è fuori discussione ma vi sono debolezze che, anche se concentrate in alcune di esse, richiedono interventi di sistema. Se le autorità lo negano sono poco credibili quando, giustamente, sostengono che i problemi sono anche all’estero e che l’Unione europea dovrebbe aiutare in misura maggiore.

Rispetto alle imprese industriali o commerciali le banche hanno un bilancio finanziato con molte meno azioni e più debiti. Ciò è giusto e naturale perché il loro mestiere è proprio quello di indebitarsi per fare prestiti. Inoltre i loro debiti sono di tipo particolare, come i conti correnti usati come mezzi di pagamento, e sono suddivisi fra moltissimi creditori e quindi nel loro insieme sono molto stabili. La crisi di questi anni ha però evidenziato ciò che molti economisti dicevano da tempo: che il capitale delle banche è comunque troppo scarso e può andar tutto perduto se una parte anche non grandissima dei loro crediti non viene ripagata. Molti pensano che le banche, un po’ in tutto il mondo, dovrebbero più che raddoppiare il rapporto fra patrimonio e crediti. Per convincere i mercati a comprare azioni delle banche bisogna promettere buoni rendimenti e rischi contenuti. Invece i rischi dell’economia crescono e la profittabilità bancaria scende, perché c’è più concorrenza, le nuove tecnologie sono care e sono alti i costi del controllo dei rischi imposto da regole di vigilanza sempre più severe e complesse.

Per far fronte alla carenza di capitale le banche hanno due tentazioni. La prima è far meno crediti: ma con meno finanziamenti l’economia va peggio e mette a rischio anche i prestiti più solidi. La seconda è fare impieghi molto più rischiosi dai quali sperare rendimenti più alti: ma ciò può destabilizzare l’intero sistema economico. C’è una terza via? Sì: procedere a poco a poco, ma con speditezza strategica, a rivedere il modo con cui si fa l’attività bancaria, riducendo i costi, il personale, gli sportelli, acquisendo tecnologie più moderne, imparando ad analizzare e gestire meglio i rischi, modernizzando i servizi e i prodotti offerti a imprese e famiglie; man mano che tutto ciò migliora profitti e solidità della banca, collocare nuove azioni irrobustendo il bilancio. E’ una strada lunga che richiede un buon coordinamento delle autorità, riforme fiscali e normative, denaro pubblico che aiuti la ristrutturazione del settore senza distorcere la concorrenza e dispensare favori politici, una situazione economica generale che non sia continuamente a rischio di crisi. Ci vuole inoltre più capitale anche nelle imprese che dalle banche ricevono prestiti, così che questi siano meno rischiosi. Per un tempo considerevole i proprietari delle banche debbono saper tenere i loro utili investiti nella ristrutturazione ed esser disposti a diluire il loro controllo quando serve che entrino nuovi azionisti o si facciano fusioni che riducono il loro potere.

Consigli di amministrazione e management bancari devono includere solo persone specchiate e competenti, che vanno espulse appena perdono credibilità.

Tutto ciò non riguarda solo l’Italia. Con accenti diversi il rafforzamento del capitale delle banche incontra difficoltà dappertutto. Ma alcune sono maggiori da noi che altrove. Per rimediare alle debolezze delle banche italiane non giovano le resistenze poste dalla miopia di alcuni interessi privati e politici, le rigidità del Paese, le inadempienze e le inadeguatezze di alcuni comparti delle sue burocrazie. Ancor meno giova che chi governa minimizzi il problema, salvo poi lamentarsi che l’Europa non lo prende a suo carico. E molto nuoce che le parti politiche strumentalizzino la questione per meglio litigare fra loro anziché trovarvi una ragione in più per convergere nel riformare il Paese.

Twitter@francobruni7

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