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Castellammare di Stabia

Azzurri: una caduta ed una figuraccia (solo) anticipata

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li azzurri sbagliano l’esame più importante: a San Siro finisce 0-0 e a far festa sono gli scandinavi. Buffon dà l’addio alla maglia azzurra in lacrime e ora si rende necessaria una rifondazione del calcio italiano. “Possiamo provare a consolarci pensando, anzi sapendo che in Russia avremmo comunque fatto una brutta fine. Ma adesso, fa male, brucia proprio da morire” commenta Gigi Garanzini.

Una caduta (quasi) mai vista, l’Italia torna indietro di sessant’anni

Questa eliminazione tra i peggiori risultati della nostra Nazionale

C’è di peggio nella vita. Ma nel suo genere non è facile da mandar giù. È un salto all’indietro di sessant’anni, anche allora l’Italia veniva da due eliminazioni brutali nella prima fase a gironi. Brasile ’50 e Svizzera ’54, come questa Italia arriva da Sudafrica ’10 e Brasile ’14. Oggi è la Svezia, una squadraccia di rara modestia, allora fu l’Irlanda del Nord, 2-1 agli azzurri di Foni pur infarciti di oriundi, tre grandi giocatori, Montuori, Ghiggia e Da Costa, e un fenomeno al tramonto, Schiaffino. Un po’ come se oggi, a colpi di improbabili antenati, avessimo buttato in campo Dybala, Icardi e chissà chi altro ancora. Possiamo provare a consolarci pensando, anzi sapendo che in Russia avremmo comunque fatto una brutta fine. Ma adesso, fa male, brucia proprio da morire. Perché se il cronometro dice che si sono giocati 98 minuti, 48 più 50, vivendoli uno dopo l’altro ci son sembrati il doppio, il triplo, un’interminabile apnea senza lieto fine. Allora almeno, in quel pomeriggio del 15 gennaio del ’58, arrivarono subito i gol degli irlandesi, e dopo l’espulsione di Ghiggia a mezz’ora dalla fine non mancò il tempo di farsene una ragione.

Stavolta, a trenta secondi dalla fine, quando Florenzi ha baciato il pallone prima di battere l’ultimo corner, con Buffon in area a saltare, eravamo ancora lì a sperare nel miracolo, nel supplementare della catarsi. Invece Buffon, il solito, vero capitano che ha sentito ancora una volta il dovere di metterci per primo la faccia, resterà scolpito nella memoria di tutti per le sue lacrime in diretta a fine partita. Maronna, che magone. Maronna, in napoletano, perché nessuno degli azzurri in campo stasera merita la benché minima censura: ma l’unico attaccante italiano attualmente di vera caratura internazionale continua a chiamarsi Insigne. E nemmeno un minuto ha giocato, accidenti a Ventura e prima ancora a chi gli ha messo in mano un giocattolo chiamato Nazionale.

Povera Italia. Nella sua attuale pochezza, ha comunque messo in campo tutto quello che aveva, anche di più, e davvero non si può dire che non ci abbia provato. Giocando col cuore in gola per la prima mezz’ora, a discapito di creatività e precisione, poi con una fiammata prolungata che ha prodotto tre palle gol negli ultimi cinque minuti, grazie a Immobile e Florenzi. Lì la squadra avrebbe strameritato di passare in vantaggio, dopo uno strano avvio in cui l’arbitro spagnolo ha prima negato un probabile rigore a Parolo e poi per andar pari, con gli interessi, un altro paio agli svedesi per falli di mano di Darmian e Barzagli. Il momento migliore è arrivato quando Jorginho, messi a fuoco avversari e soprattutto compagni, ha cominciato a dettare i tempi e a trovare spazi profondi per Immobile: così è maturata l’occasione più nitida, salvata da un’uscita anche fortunata del portiere svedese.

Forcing che è continuato in una ripresa in cui la Svezia si è chiusa, se possibile, anche di più. Gli azzurri non hanno mai smesso di provarci, Florenzi ha sfiorato il palo, Ventura ha buttato nella mischia punte e mezzepunte, El Shaarawy alla fine ha costretto il portiere svedese alla vera prodezza. Insomma, e per l’appunto, tutti meno che Insigne, che o non stava bene o avrà detto al ct che cosa pensava di lui e delle sue formazioni. Un mistero, uno dei tanti. Non mancherà, purtroppo, il tempo per chiarirli.

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