Terzo zero a zero di fila per la Juve Stabia, che al Partenio di Avellino resiste ai tentativi dei lupi senza però pungere
PODIO
Medaglia d’oro: a Marco Caldore, solita diga difensiva. Se la Juve Stabia vanta la seconda difesa del torneo, il merito è certamente collettivo ma spicca il contributo del roccioso difensore col 24 sulla schiena, baluardo e leader del reparto. Dà sicurezza ai compagni, insicurezze agli attaccanti irpini, il tutto senza vacillare in alcun momento della gara.
Medaglia d’argento: a Mariano Guarracino, che trova la maglia da titolare nella gara più complessa che ci possa essere. Corsa, coraggio e malizia nella prestazione dell’ex capitano delle giovanili stabiesi, che corre e lotta senza alcun timore reverenziale. Il 17 fa da elastico tra fase offensiva e di ripiegamento, non consentendo a Tito di godersi le sue consuete sgroppate offensive.
Medaglia di bronzo: a Luca Pandolfi, a cui manca sempre un centimetro per completare l’opera. Il jolly dell’attacco della Juve Stabia non fa mancare generosità e voglia di spaccare il mondo ma sul più bello finisce sempre col perdersi. La sensazione è che il tanto anelato ritorno al gol, negatogli da Pane, possa finalmente sbloccarlo. La sua uscita dal campo depotenzia la squadra.
CONTROPODIO
Medaglia d’oro: a Christian Santos, evanescente ma non solo per colpa sua. Ancora una gara da predica nel deserto per il 99, servito con palloni che non fanno la gioia di un attaccante d’area. Se la punta è lui, allora va cambiato il modo con cui viene servito, per costanza e zona di campo. Se ciò non riesce si valutino altre soluzioni, anche quella di un attacco “leggero”.
Medaglia d’argento: a Manuel Ricci, che cerca la posizione in cui brillare senza però uscire dall’ombra. E’ uno degli elementi con maggiore esperienza e, probabilmente, carisma ma queste peculiarità ancora non gli hanno fatto fare il cambio di passo in termini di continuità ed incisività.
Medaglia di bronzo: a Luca Berardocco, che dà ordine, forse anche “troppo”. L’ex Carrarese gestisce bene la palla non andando mai in situazioni di pericolo ma la flemma con cui lo fa gli impedisce di rischiare la giocata non immediata, quella che può tramutarsi in occasione pericolosa. Osa poco ma anche i compagni non lo aiutano.