C’è un antico detto che recita: Non far sapere al contadino quant’è buono il formaggio con le pere.
Quest’adagio lo conosciamo tutti e nasce dalla storia contadina di un tempo, quando i rapporti fra padrone e contadino erano di totale soggezione per cui, a quest’ultimo, venivano sottratti tutti i prodotti migliori che andavano per la mensa del proprietario.
Il “contadino” alla fine, l’ha finalmente capita ed allora ecco che oggi, chissà, forse, può darsi, si è giunti al paradosso che aumentano i senza lavoro e mancano i lavoratori.
Com’è possibile?
P
rovo a ragionarci sopra e, se mi seguirete nel ragionamento, forse, chissà, magari, può darsi che alla fine si concordi nell’analisi. Proviamoci!
Di anni da allora ne son passati, i contadini sono diventati sempre più un’immagine per rappresentare l’uomo, la società e quindi, pian piano si son fatti padroni del loro terreno (vita), piccolo o grande che fosse, e hanno alimentato un altro adagio non meno conosciuto da tutti: contadini (e montanini), scarpe grosse e cervelli fini, il che testimonia l’evoluzione della “specie homo sapiens” che, a sua volta, ha ben appreso come tenere per se tutto il meglio e dare all’altro (Stato, Società civile, Comunità) tutto lo scarto a partire dal pese di danni reali o presunti che fossero chiedendo sempre e comunque ”sussidi”.
Ed ecco che allora:
- piove? Giù a lamentare i danni della stessa e quindi a chiedere aiuti statali.
- C’è il sole? E mica va bene per cui, ecco che si chiedono aiuti statali per la siccità.
Insomma, le scarpe sono diventate magari meno grosse, ma i cervelli sempre più fini sfociando in un ultimo adagio che mi sovviene per questo quadretto:
Utili privati e perdite socializzate!
E questa è la società in cui ci troviamo immersi in questo periodo.
Le “scarpe” di tantissimi sono diventate sempre meno grosse ed i “cervelli” sempre più fini sorvolando con nonchalance su quella che man mano è diventata la massa portante dell’intero stato.
Non più contadini di una volta, ma massa lavoro che, non essendo più come questi ultimi, continuano a ritrovarsi senza nemmeno le scarpe e con cervelli allo stato brado, visto che sono ancora tutti lì con il cappello in mano a venerare quello che un tempo era definito il “bel padrone dalle brache bianche” e, per di più, impegnati a lottare e a fregarsi tra di loro ritenendosi ciascuno superiore o meglio dell’altro.
Un esempio? Prendiamo gli scioperi!
Se “lui” sciopera è qualcosa di sacrosanto e si aspetta la solidarietà di tutti ma, quando a scioperare sono gli altri, poniamo i tranvieri, macchinisti, impiegati di uffici statali o meno ma sempre utili al “pubblico”, autisti e finanche magari camerieri, baristi ecc ecc, ecco che allora tutti quelli delle altre categorie sono i primi a biasimarli (se va bene visto che qualcuno è giunto anche ad atti violenti).
Stessa cosa per il lavoro cosiddetto festivo.
Finché riguarda se stessi ecco che si alzano scudi di ogni tipo a difesa di diritti (reali o presunti) di ogni tipo quali, solo per citarne uno, quello della famiglia!
Eppure, anche qui, queste stesse persone, nel dì di festa intoccabile perché “tengono famiglia” ed altre giustificazioni del genere, con la stessa vanno tranquillamente al bar, al ristorante, al cinema, magari in tram, metro, bus e mica si chiedono per quale motivo loro devono avere il diritto di farlo sempre e comunque e gli altri, quelli che sono lì a servirli, o che consentono loro di viaggiare, NO!
Non parliamo poi del personale degli Ospedali, dei Pronto Soccorso, delle Case di cura o di Assistenza.
Anche per loro non vale alcun scudo (diritto) dagli altri ritenuto intoccabile (per se, ovviamente) ed anzi si pretende che siano sempre lì pronti, capaci e solerti ad esaudire ogni loro bisogno altrimenti c’è anche chi poi perde la pazienza e sono giù botte da orbi (e sempre più, se va bene).
Ah, avendo io lavorato in gioventù all’Italsider di Taranto mi sovviene un’altra categoria:
i turnisti delle aziende, acciaierie o meno che siano.
Anche per questi NON esiste domenica, ora anche sabato e a breve magari anche venerdì, e nemmeno Pasqua, Natale, Capodanno o Epifania. Macché. Sono lì a “sgobbare” veramente in un ambiente non certo salubre e magari la notte di Capodanno si godono si dei grandi fuochi, ma sono quelli delle colate d’acciaio mica fuochi d’artificio.
Conclusione di questa lunga premessa:
alla fin fine, traslando, siamo tutti come il Marchese del Grillo tratteggiato da Alberto Sordi: io so io e gli altri sono gli altri, e che cavolo!
Ed è in questo stato d’essere e di pensare in modo dislessico della “massa” che permangono assunti quali quello che il “capitale”, (il “capitalista”, parola che si dice desueta ma che mai come ora ha avuto senso e valore), è quello che comanda e detta legge, mentre gli altri, la massa lavoro, deve sempre stare lì ad “elemosinare” una pera migliore, magari anche un po’ di formaggio, perché è il primo che da loro di che vivere.
Cosa superficialmente vera ma, se ci si fermasse a ben guardare e ad analizzare il tutto, si noterebbe che, senza la massa dei “lavoratori” (dagli operai ai colletti bianchi) che consente all’immarcescibile “bel padron dalle brache bianche” di non solo mantenere il proprio capitale, ma di accrescerlo in proporzioni per niente proporzionali tanto che, alla fin fine, ci si ritrova anche con la statistica a certificare che, sebbene sia lui a mangiare, ad esempio, un pollo intero mentre il suo “lavoratore” digiuna, alla fine si può dire che hanno mangiato mezzo pollo a testa.
Quando e se si arriverà a far capire agli “altri” che i “soldi” i “capitali” non si mangiano ma permettono, questo sì, di comprare quanto gli altri producono anche per loro, allora si giungerebbe a ben equilibrare le cose senza più “padroni dalle braghe bianche” con i loro diritti a prescindere, e gli altri con i loro doveri, anch’essi a prescindere.
Dite che esagero?
Credetemi, lo vorrei tanto ma, così non è, e se appena appena vi porrete ad analizzare il tutto per quello che di fatto è, sono certo che cambierete parere ed allora, se magari tutti lo facessero, dall’una e dall’altra parte, chissà che non si faccia finalmente quel balzo in avanti nella “civiltà” e si dia vera contezza alla superbia con la quale la nostra genia si è autodefinita “homo sapiens” senza minimamente badare a quanto di “sapiens” ci fosse in ciascuno.
Un esempio per tutti?
Lo possiamo vedere nell’assurdo che sta tenendo “scena” in questo periodo e cioè:
IL PROBLEMA DEI LAVORATORI CHE MANCANO
L’Istat ci dice che, a causa della pandemia, si sono persi 800.000 posti di lavoro ma, nel contempo, ecco che si certifica, e si lamenta, la mancanza di ben 230.000 “lavoratori”.
Com’è possibile? Ci troviamo di fronte ad un’altra iperbole del tipo di quelle su da me accennate o forse, dico forse, ad un’inizio della presa di coscienza di cui sempre sopra a chiusura del lungo preambolo?
Francamente non lo so’ ne mi compete saperlo, men che meno certificarlo.
Fatto sta che, con l’inizio dell’estate ed i primi prodromi di una pandemia che allenta la morsa, ecco esplodere il cosiddetto “problema degli stagionali” che, con le nuove conquiste appena acquisite “dagli altri”, quelli senza le brache bianche, hanno fatto partire i lai, e le invettive, dei primi contro, uno per tutti, il Reddito di Cittadinanza dando al stura ad una valanga di lamentele (spesso accuse per altro indegne visto magari da chi provengono: una per tutti la Signora Cordero, in Politica Santanché, proprietaria, tra l’altro, di ristoranti, bar, discoteche e quant’altro, lidi balneari inclusi) contro i giovani sussidiati che non hanno voglia di lavorare.
E già.
Il problema sta sempre negli altri e, come sempre, quello degli altri è soverchieria, mentre la parte loro è più che dovuta, legittima.
Insomma, e la parafrasi della ben nota scusante del razzista:
“Razzista io? Ma proprio per niente! E’ lui che è negro”
che, parafrasato diventa:
“Sfruttatore io? Ma proprio per niente! E’ lui che non ha voglia di lavorare e si accontenta del Reddito di Cittadinanza”
Insomma, loro hanno diritto di mantenere paghe basse che consenta buoni guadagni dal loro capitale per cui mica ci si soffermano a pensare che magari sono le loro paghe ad essere poco più di elemosine e che se, sempre puta caso, si aumentassero fino ad arrivare ad almeno una quasi decenza, l’equilibrio sarebbe raggiunto e con esso l’equità visto che, parimenti a loro, anche chi presta lavoro ha, in esso, la propria ricchezza che è altrettanto giusto tutelare e far si che renda il “giusto”.
Sì, va bene, per far questo magari i “brache, ma anche gonne, bianche” dovranno rinunciare, che so, o all’ostrica o allo champagne come stuzzichino, o magari aspettare l’anno dopo per cambiare barca, o ….
Tanti “O”, insomma. “O” che però sono ben lontani dagli “O” di chi lavora per vivere e che spesso sono:
O il primo O il secondo; O il pranzo O la cena.
E questo è, checché se ne dica o si voglia provare a dire.
La questione è semplice e direi atavica.
E’ l’ingordigia di chi ritiene di poter avere sempre di più dando sempre di meno agli altri per cui, quando questi altri osano lamentarsi, ribellarsi, giù ad infierire dando loro finanche del parassita che non ha voglia di far nulla.
Ed ora, questi, hanno nel mirino anche un altro bersaglio: il Reddito di Cittadinanza che sostituisce, per molti versi, e tanti lavori, le briciole che essi hanno sempre distribuito a chi creava la loro ricchezza e che ancora vorrebbero continuare ad elargire ricevendone lavoro e gratitudine.
Ma quello da loro additato è, di fatto, un falso problema (se non proprio un mero pretesto) che altrove hanno già ben compreso per cui, ad esempio negli Stati Uniti, ecco che le catene della ristorazione stanno aumentando le paghe orarie per attirare personale.
Dopo le denunce di carenze di personale nel turismo e nella ristorazione, Grastronomika, come segnala Corona Economy, “ha raccolto un elenco di motivazioni incrociate: il lavoro in cucina in sala è spesso non tutelato e pagato male , poi ci sono turni volatili in base al coprifuoco e al meteo, i fuorisede che con la dad hanno lasciato le grandi città universitarie, quelli che con si sono spostati verso settori meno in crisi, ma anche i tanti professionisti che – con i locali chiusi in Italia – si sono trasferiti in Paesi come Qatar ed Emirati Arabi dove lo stop è stato meno prolungato e gli stipendi sono più alti.
Ci sono poi, continua l’indagine, ragioni anche strutturali. A cominciare da quella demografica, con il calo del numero di giovani che inizia a farsi sentire, e dai deficit della formazione professionale.
Ed ancora: lo spostamento verso altri comparti in crescita – come la grande distribuzione e la logistica – e la fuga verso l’estero di molti giovani per trovare condizioni migliori .
E infine c’è l’alto costo del lavoro che incentiva il ricorso al nero.”
Il reddito di cittadinanza è uno dei fattori, insomma. E, come ha scritto Francesco Riccardi su Avvenire, ha certo avuto l’effetto di fissare una sorta di “salario minimo” ante-litteram:
«Un minimo sotto al quale non si accetta di lavorare. Le paghe da miseria, i 400 euro al mese, i 3 o 4 euro l’ora che in una parte dei servizi erano e sono la norma non vengono più accettati».
E qui mi fermo.
Credo che aggiungere altro serva a ben poco dato che, chi vuo ragionare ed intendere ha già ben chiaro il quadro mentre, per gli altri, anche continuare a scrivere sino a surclassare la famosa Enciclopedia Treccani (quella grande) a poco servirebbe, anzi a nulla, per cui chiudo con uno dei miei soliti mantra ma sì, bando alla tirchieria come direbbe Totò, ve li offro tutti e tre: tre per uno visto che, nell’insieme, ben delineino il tutto completandosi l’un con l’altro:
Aumentano i senza lavoro e mancano lavoratori: com’è possibile? / Stanislao Barretta/ Redazione