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arbiere di Siviglia – In un’atmosfera trasognante, tra il fantastico ed il fiabesco creato dalla geniale regia di Hugo de Ana, si è dipanata la vicenda della bella Rosina che andrà in sposa all’aitante Conte d’Almaviva schivando, aggirando e gabbando i maneggi dei due vecchi trafficoni.
Il Barbiere viene, generalmente, considerata un’opera buffa. Ma, in effetti, le cose non stanno così. Sotto questa patina di vicenda mondana e frivola vengono adombrate diverse problematiche, facili da dipanare. La prima impressione che lo spettatore coglie è l’invadenza del conflitto generazionale, che ha sempre contrapposto vecchi e giovani. Nel nostro caso due vecchi, avari e brontoloni, don Bartolo ed il socio Basilio, vogliono mettere le mani su una giovane pulzella e sul suo consistente patrimonio. Ma, oltre la scontata vicenda amorosa a lieto fine, il vero snodo della vicenda è il personaggio del barbiere Figaro, un protagonista non più di estrazione aristocratica; ma un borghese che si è fatto da sé raggiungendo una ragguardevole posizione sociale ma soprattutto economica, frutto del suo ingegno e della sua laboriosità. La sua filosofia è in quella dichiarazione che egli fa all’aristocratico Almaviva, nella celebre aria “l’idea di quel metallo… vengan danari, al resto son qua io”. Figaro incarna perfettamente il borghese che pensa ad ingrandire il suo benessere economico, contrapposto ai vecchi aristocratici che dilapidano patrimoni per coltivare il lusso ed il loro prestigio sociale. L’opera venne scritta e rappresentata nel 1816 e quindi i germi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese erano ancora in forte fermento.
L’allestimento areniano, pur non eludendo il messaggio “anticonformista” del libretto di Cesare Sterbini, seguendo le fantasmagoriche melodie di Rossini, ha realizzato uno spettacolo godevolissimo grazie alla già sperimentata regia di Hugo de Ana, che si occupa anche di costumi (eccellenti nei colori ben contrastati, impeccabili nella fattura settecentesca) e di scene (realizzate con delle quinte a mo’ di siepi, aggraziate da grandi rose e mega-farfalle colorate). Ci vuole poco per ritrovarsi in un mondo fiabesco che predispone l’animo alla distensione ed al godimento estetico.
L’ouverture del Barbiere è sempre magnetica con i suoi vari “crescendo” e l’orchestra della Fondazione, diretta abilmente dal giovane maestro veronese Andrea Battistoni, ha reso efficacemente il brano nelle sue varie sfumature, melodiche e di percussioni. La coreografia sovrapposta all’esecuzione, forse perché insolita, crediamo che abbia distolto dall’ascolto; anche perché i ballerini erano troppi, costretti alle loro evoluzioni in spazi ristretti e spesso il rumore del loro calpestio non riusciva gradito. Piccolo neo, a nostro avviso.
Per il resto tutti i protagonisti hanno ben meritato.
Il tenore Dmitry Korchak, con questo Barbiere, al suo debutto areniano, ha reso un Conte d’Almaviva convincente sia teatralmente sia dal punto di vista canoro.
L’emergente soprano Ruth Iniesta ha reso una Rosina peperina, in scena spigliatissima e vocalmente più che accattivante.
Il baritono Mario Cassi ha dato vita ad un Figaro esuberante, appropriato e dal canto fluente che ti cattura amabilmente.
Il baritono Nicola Alaimo ha impersonato un Don Bartolo giocherellone con una abilità vocale e di dizione di tutto rispetto.
Spassoso il don Basilio del basso Romano del Zovo.
Più che convincente il soprano Manuela Custer nel ruolo di Berta, meritando lunghi applausi nella sua “aria da zitella” del 2° atto.
Bene anche il resto dei comprimari: il basso Nicolò Ceriani nel suo doppio ruolo e Gocha Abuladze che impersona Un Ufficiale.
Il Coro diretto da Vito Lombardi, sempre ottimo. Bene il Corpo di Ballo coordinato da Gaetano Petrosino ed i Tecnici dell’Arena di Verona, compresi mimi e acrobati.
Gran finale a sorpresa con esibizione di un castello di fuoco a base di giochi pirotecnici che ben si accorda con lo spirito della fantasmagorica musica rossiniana.
Filippo Filippi, illustre critico e musicista vicentino, già nel 1864 definiva la musica di Rossini “gaia, ridente, spensierata”; l’allestimento areniano, anche in questa sua ultima rappresentazione di agosto 2018, non ha smentito quel felice giudizio, ma lo ha ulteriormente confermato.
Carmelo Toscano
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