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AMEDEO GUILLET, IL “COMANDANTE DIAVOLO” CHE NON SI ARRESE

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Personaggio d’altri tempi, abile cavaliere, eroe di guerra e fine diplomatico,  Amedeo Guillet coniugò virtù sportive e militari con alto senso dell’amor di Patria.

I

l barone Amedeo Guillet, nobile figura di italiano d’altri tempi che ha sempre improntato la sua vita all’ideale di amor patrio è morto a Roma il 16 giugno 2010, all’età di 101 anni. Discendente di una famiglia della nobiltà savoiarda originaria di S. Pierre d’Albigny (attuale Dipartimento francese della Savoie), nasce a Piacenza il 7 febbraio 1909. Il padre è Ufficiale dei Carabinieri, ferito e decorato al valor militare sul Podgora, epopea della Benemerita nella Grande Guerra; la madre è di facoltosa ed antica famiglia di Capua (già Napoli, ora Caserta).

La vita di Amedeo Guillet è ricca di vicende leggendarie che hanno dell’inverosimile e che hanno fatto di lui un personaggio speciale nelle guerre cui ha partecipato, in modo attivo, nel decennio 1935/1945.

Nel 1928 entra nell’Accademia Militare di Modena e nel 1931, sottotenente di Cavalleria, è destinato al 13° Reggimento Cavalleggeri di Monferrato. Per il rango occupato dalla famiglia nell’alta società e per la sua eminente abilità in campo ippico ha accesso finanche a Casa Savoia (è tra gli amici più intimi della principessa Jolanda, abile cavallerizza). Fra gli amici di famiglia annovera, fra gli altri, il Duca d’Aosta, futuro viceré dell’Africa Orientale Italiana, e Italo Balbo, Governatore della Libia. Selezionato per la squadra che partecipa alle Olimpiadi di Berlino del 1936, interviene, nella primavera del 1935, ad uno stage ippico presso la rinomata scuola di equitazione di Orkenyi (Budapest). Frequenta così una famiglia della nobiltà magiara legandosi affettivamente ad una ragazza tanto che darà al suo cavallo preferito il nome del padre, Sandor.
Al profilarsi dell’impresa etiopica si fa raccomandare dallo zio Amedeo, all’epoca Generale d’Armata, pluridecorato della Grande Guerra, per essere assegnato ad un reparto mobilitato, convinto della missione civilizzatrice dell’impresa tendente al riscatto sociale di quelle popolazioni ferme a concetti arcaici.

Nel 1935 viene quindi assegnato ad un reparto di Cavalleria indigena in Libia, i famosi Spahi (strutturati in sezione cammellata ed a cavallo). Impara la lingua araba per meglio familiarizzare col personale.

Destinato in Eritrea, il suo reparto, all’alba del 3 ottobre, attraversa la frontiera con l’Etiopia e la sera stessa ha il battesimo del fuoco: al comando di uno squadrone di 80 cavalieri, con una carica travolgente, sgombera una collina occupata dal nemico. La mattina del Natale, sull’Amba Selaclacà, nel corso di una carica, viene ferito alla mano sinistra da un proiettile ed è costretto anche a cimentarsi in una colluttazione a terra riuscendo a neutralizzare l’aggressore.
Dopo le battaglie dell’Amba Aradam e l’inseguimento dell’Armata di Ras Immirù, il suo Reparto giunge alle porte di Gondar, ma gli Spahi devono cedere il passo, per ragioni politiche, alla Colonna Starace, segretario del partito fascista, che entra trionfalmente nell’antica capitale etiopica alla testa delle sue Camicie Nere.
È il ten. Guillet che nella primavera 1937, in occasione della visita in Libia di Mussolini, è prescelto per addestrare i cavalli per la parata dei gerarchi. Sarà in quell’occasione che il Duce si autoproclamerà protettore dell’Islam sfoderando una spada in una plateale cerimonia.
Partecipa alla guerra civile spagnola prima al comando di un reparto carri e poi in un Reparto di Cavalleria marocchina distinguendosi sul fronte di Santander e su quello aragonese ma sarà costretto al rimpatrio a seguito di un forte attacco di malaria. Nel corso del conflitto sarà decorato con due medaglie d’argento al V.M. e quattro decorazioni spagnole.
Nel 1938 il gen. Frusci, suo comandante in Spagna, Governatore della regione Amhara, ottiene il trasferimento del Guillet in Etiopia per affidargli il comando del 14° Gruppo Squadroni Amhara, reparto di cavalleria indigena. Compito del Reparto, di stanza ad Amba Ghiorghis, a circa 80 km. dal capoluogo, è il controllo dell’area fra Asmara e Gondar, infestata dagli shifta, un po’ briganti e un po’ patrioti. La tutela dell’ordine e della legalità in quell’area sortisce benefici effetti sulle popolazioni instaurando così un rapporto di fiducia con le comunità locali. Nel Semien conosce la figlia di un capo villaggio, la bellissima Kadija, che lo seguirà per tutto il periodo dell’avventura africana partecipando, al suo fianco, anche alle operazioni belliche. Il Reparto deve più volte affrontare le formazioni ribelli delle regioni del Semien e del Beghemeder. Guillet acquisirà il massimo rispetto dei suoi soldati quando, con un’azione ardita, due volte disarcionato da cavalli colpiti a morte, riuscirà a sgominare la banda di Ras Tessemmà non solo riportando la sicurezza nell’area ma ottenendo anche l’arruolamento di una quarantina di prigionieri affascinati dalla sua autorità e dal suo carisma. Nasce così la leggenda del Cummundar-as-Sheitan (Comandante Diavolo), osannato dai suoi soldati.
Quando la Colonia è alquanto pacificata si profila all’orizzonte politico internazionale lo spettro della seconda guerra mondiale. Il Duca d’Aosta, viceré e comandante in capo in Africa Orientale, dispone di costituire, sull’ossatura del 14° Gruppo Squadroni, una formazione autonoma che assumerà la denominazione di Gruppo Bande Amhara a cavallo. Il comando sarà affidato, nonostante le ritrosie dello Stato Maggiore trattandosi di Ufficiale inferiore, allo stesso Guillet ed avrà, di fatto, l’organico di un reggimento con 8 Ufficiali, 800 Cavalieri, 400 fanti yemeniti e 200 cammellati oltre ai servizi logistici.

Scoppiata la guerra, dopo sterili successi italiani (occupazione di Cassala nel Sudan e della Somalia francese e inglese) la controffensiva britannica si concretizza in tutta la sua potenza. Il 19 gennaio ‘41 la Sudan Defence Force, dotata di mezzi corazzati, inizia l’attacco verso le posizioni italiane a sud di Cassala. A Guillet viene ordinato di trattenere il nemico almeno per un giorno, lungo la strada che dalla
piana di Aicotà porta a Barentù per coprire la ritirata di un contingente di diecimila soldati verso Cherù ed Agordat dove è predisposta una nuova linea di difesa. La mattina del 21 gennaio Guillet con la sua Banda attacca di sorpresa, nella piana di Aicotà, lo schieramento britannico alle spalle colpendo autoblindo e carri armati con bombe a mano e i soldati anglo-indiani a colpi di scimitarra. Il disorientamento della truppa nemica è totale. Esaurita la carica, il ten. Togni, vice comandante della Banda, per evitare
l’accerchiamento del grosso del Reparto, con mirabile coraggio, si immola in una carica disperata, con 30 Cavalieri indigeni offertisi volontari, consentendo in tal modo l’ordinato ripiegamento della Banda che potrà sferrare così una seconda carica risolutiva. Dei 30 ardimentosi solo due si salveranno. Il ten. Togni, centrato da una raffica di mitraglia, cade col suo cavallo su un carro Mathilda: sarà decorato con Medaglia d’Oro al V.M.- I Britannici, ammirati da tanto ardimento, gli tributeranno gli onori militari. È l’ultima
carica di Cavalleria in terra africana!
Il Reparto di Guillet, che intanto ha subito la perdita di circa 250 uomini, si coprirà di gloria ancora sul monte Cochen ad Agordat ove combatterà per circa quaranta ore con fasi alterne per contendere la posizione ai fanti indiani fino a quando non perviene l’ordine di ripiegamento su Cheren dove giunge il 2 febbraio dopo una cavalcata di 96 km.- Cheren è una piazzaforte con eccellenti difese naturali e gli attacchi britannici si susseguono per mesi. Il Gruppo Bande di Guillet, con un organico ridotto a circa 400 uomini, è appiedato e difende il delicato settore della gola di Dongolass. Il 27 marzo, caduta Cheren, altro ripiegamento verso Asmara, la capitale eritrea. Ma c’è ancora gloria per Guillet. Promosso nel frattempo capitano per meriti di guerra (la promozione era bloccata perché ancora scapolo!), il Gruppo Bande è affiancato ai Granatieri di Savoia a Ad Teclesan dove, il 29 marzo, interrompe, con trenta uomini, una puntata di mezzi corazzati a colpi di bombe Molotov. Il giorno 30, in altro aspro combattimento, è ferito ad un piede.
Guillet, isolato dal grosso delle truppe, resta con un centinaio di uomini. Riesce, nella notte, a dileguarsi raggiungendo un villaggio amico. Asmara è ormai in mani inglesi ma lui, per non subire l’umiliazione della prigionia, indossa abiti arabi ed assume il nome di Ahmed Abdullah al Redai fingendosi yemenita.
Per evitare la cattura del materiale e delle cavalcature le distribuisce agli amici eritrei.

Il 27 novembre ’41, con la caduta di Gondar, cessa ogni attività delle truppe italiane in Africa Orientale.

Guillet, con un’ottantina di uomini rimasti con lui, pianifica un’intensa attività di guerriglia, realizzando olpi di mano ed atti di sabotaggio, protetto e sostenuto da vari capi tribù della zona facendo leva sui loro sentimenti antietiopici. Sfugge così per 14 mesi alla caccia spietata dell’Intelligence britannica guidata dal Magg. Max Harari. Per la sua cattura è promessa una lauta ricompensa ma nessuno lo tradirà.
In uno degli ultimi scontri con soldati sudanesi perde il suo cavallo Sandor. Il cavallo di Guillet sarà consegnato al Magg. Harari quale trofeo di guerra.
Dopo alcuni mesi i postumi della ferita al piede, per l’impossibilità di idonee medicazioni e cure, lo costringono all’inattività per cui si rifugia in una fattoria italiana nella valle eritrea del Dorfu dove, per due volte, rischia la cattura. Quindi, per evitare problemi anche ai suoi ospitanti, decide di sciogliere definitivamente il gruppo, staccarsi anche dalla giovane Kadija, e dirigersi, col fido Dafaillah, suo attendente, verso Massaua con l’obiettivo di raggiungere lo Yemen per poi proseguire per l’Italia.
Per procurarsi il denaro farà, sempre fingendosi arabo, lo scaricatore al porto e il venditore ambulante d’acqua. Dopo varie peripezie riesce a raggiungere lo Yemen beffando l’Autorità portuale inglese che gli rilascia un regolare permesso. Giunto nel porto di Hodeida, Guillet dichiara di essere Ufficiale italiano ma, non creduto, viene incarcerato e gli vengono applicati i ceppi alle caviglie. La situazione cambia quando, affascinato dai racconti di guerra di Guillet, il funzionario del porto ne fa partecipe l’imam di San’a che lo fa portare nella capitale e gli affida l’addestramento della sua Guardia rifiutando la richiesta di consegna da parte inglese.
L’obiettivo del Guillet, però, resta sempre il ritorno in Italia per cui, saputo che una nave della Croce Rossa, la motonave Giulio Cesare, sarebbe giunta a Massaua per riportare in Patria donne, bambini, ammalati e feriti gravi italiani, lasciato lo Yemen, rientra in Eritrea e, confondendosi con gli scaricatori, riesce a nascondersi sulla nave che dopo 51 giorni di navigazione, il 2 settembre 1943, approda a Taranto.
Guillet non si dirige verso Capua, residenza della famiglia, ma, dopo tre giorni di disagevole viaggio, ligio alla sua etica di militare, si presenta a Roma dove illustra allo Stato Maggiore un piano per un ritorno in Eritrea. Riferisce del malumore della popolazione per la loro sottomissione all’Etiopia, terreno fertile per una rivolta contro gli Inglesi. Indica un aeroporto abbandonato nel Tigrè ove attuare l’aviosbarco. La fattibilità del piano è avvalorata dall’impresa effettuata nel maggio 1942 dal col. Pilota Amedeo Parisi che, da un aereo munito di serbatoi supplementari, aveva lanciato su Asmara numerosi volantini per testimoniare agli Eritrei che l’Italia non li aveva dimenticati.

L’armistizio dell’8 settembre fa sfumare il piano e Guillet, ormai maggiore, fedele al suo giuramento, dopo un rocambolesco viaggio e l’attraversamento della linea del fronte sul Volturno, raggiunge il Quartier Generale a Brindisi dove sarà ricevuto dal Re e da Badoglio. Nella circostanza, per le sue epiche imprese africane, il Re lo fregia della Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia, massima onorificenza
militare.

Dopo aver assolto ai suoi compiti di militare, finalmente incontra i familiari ed il 21 settembre ’44 sposa a Napoli la sua cugina Bice.
Nell’ottobre del ’45 il magg. Harari, capo dell’Intelligence britannica in Eritrea, incontra Guillet nella sua casa di Roma. Nasce una solida amicizia e, nel congedarsi, l’Inglese lascia un pacchetto: è lo zoccolo di Sandor, il cavallo bianco tanto caro a Guillet.

Durante la guerra di liberazione, inquadrato nel S.I.M., riesce a recuperare importanti documenti ed il tesoro del Negus presso una formazione partigiana che ne era venuta in possesso. Ritorna in Eritrea nel dicembre 1945 con una delegazione del Ministero degli Esteri per problemi riguardanti la comunità italiana. Ha così la possibilità di incontrare i suoi vecchi soldati e gli amici che lo avevano aiutato nella clandestinità. Rivede anche la bella Kadija, compagna di tante peripezie, alla quale consegna un prezioso monile, dono personale dalla moglie.

Sebbene promosso, ancora giovane, colonnello, rassegna le dimissioni dall’Esercito a seguito della scelta repubblicana nel referendum istituzionale del giugno ’46 venendo poi rimproverato da Re Umberto II perché la Patria è al di sopra delle Istituzioni. Intraprende però, previo concorso, la carriera diplomatica.

Anche in Diplomazia Guillet si fa apprezzare per le sue doti umane e professionali. La sua prima destinazione è Il Cairo dove gli sarà preziosa l’amicizia del suo ex persecutore in Eritrea, magg. Harari, e si adopera, mediante colloqui segreti con Nasser e Dayan, per favorire rapporti israelo-palestinesi. Già da militare, in qualità di capo della sezione per gli affari arabi del S.I.M., aveva contattato membri dell’organizzazione ebraica Irgun esiliati dagli Inglesi in Eritrea, per progettare la cattura del Gran Muftì di Gerusalemme, ferocemente ostile alla creazione dello Stato di Israele.

Sarà Ambasciatore anche in Giordania, nello Yemen (dove assumerà come autista Dafaillah, il fedele attendente delle avventure africane), in Marocco e in India.

Nel 1971 è testimone di un cruento tentativo di colpo di stato in Marocco nel corso dei festeggiamenti per il genetliaco di Re Hassan e, grazie alla sua mai sopita abilità militare, riesce a porre in salvo alcuni Ambasciatori durante lo scontro a fuoco. Per l’occasione sarà insignito di un’onorificenza decretata dal Presidente della Repubblica tedesca.

Nonostante il tempo trascorso, in Eritrea la leggenda del Cummandar as Shaitan viene tramandata tanto che, quando nell’estate del 1999 il Presidente eritreo è in visita ufficiale in Italia, chiede di conoscere Amedeo Guillet e lo invita nel Paese dove sarà accolto con onori ed esaltanti manifestazioni. Nel marzo 2000 Guillet visita i luoghi delle tante attività belliche di cui era stato protagonista. Al cimitero di Asmara, dove riposano le spoglie di soldati italiani e coloniali all’ombra del Tricolore, incontra vecchi Ascari fieri di essere appartenuti all’Esercito italiano. L’apice della commozione lo rivive nel cimitero di Cheren dove riposano le spoglie del caro amico Renato Togni che ad Aicotà si era immolato per salvare il Reparto.

Il 2 novembre 2000 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferisce la Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia. Presidente onorario dell’Associazione Arma di Cavalleria, è stato uno dei militari più decorati: Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, Gran Croce dell’Ordine Militare d’Italia, due promozioni per merito di guerra, 5 medaglie d’argento al V.M., una di bronzo e 4 croci di guerra al V.M. e 4 Croci di guerra spagnole al V.M.

Con Amedeo Guillet scompare un personaggio mitico dell’ultima guerra, un ardimentoso che seppe accattivarsi la stima e la fiducia dei suoi uomini che lo seguirono anche in una lotta senza speranza, ammirati dalla sua personalità, dal suo coraggio, dalla sua umanità. Il Suo indiscusso carisma riesce a tenere uniti combattenti di varie etnie e religioni che Gli restano fedeli pur senza prospettive di personali
vantaggi ma solo per un’etica che oggi si stenta a comprendere. Guillet è, in definitiva, un personaggio speciale, educato in un sacrale senso del dovere, determinato nel perseguire l’esclusivo interesse della Patria.

Per la sua sensibilità e nobiltà d’animo seppe anteporre la legge morale a quella materiale disattendendo le inique leggi antiebraiche: in Libia insegnò segretamente storia e matematica a ragazzi ebrei espulsi dalle scuole italiane e si adoperò per far loro sostenere gli esami di diploma e consentire l’accesso, seppur ad un’Università estera. Inoltre, mentre dall’Esercito venivano espulsi i militari di religione ebraica, forte della sua autonomia, arruolò nella Sua Banda elementi della storica tribù etiope di religione ebraica, i Falascià, fino allora discriminati per la loro appartenenza religiosa.

Col Comandante Diavolo scompare l’ultimo Cavaliere d’altri tempi d’Italia. La Sua vita può sembrare la trama di un film d’avventura eppure è stato un personaggio reale la cui memoria incute rispetto ed ammirazione, fulgido esempio di un epico, superbo ed eroico servitore della Patria sia in armi che in pace.

Le Sue spoglie sono state inumate, nella tomba di famiglia, nel Cimitero di Capua.
Diede tanto all’Italia ma l’Italia deve tanto a Lui.

Giuseppe Vollono
luglio 2010

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