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Castellammare di Stabia

Al Teatro Cat di Castellammare, la presentazione del libro “La Primavera cade a Novembre” di A. Mascolo

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 Angelo Mascolo è l’autore del libro “La Primavera cade a Novembre”, ambientato nella Castellammare del 1947

Castellammare di Stabia, presso la Cooperativa di Teatro Cat, si è tenuta la presentazione del libro di Angelo Mascolo, “La Primavera cade a Novembre”. Si tratta di un giallo ambientato nella Castellammare del 1947, il cui protagonista, il Commissario Annone, è alla ricerca del colpevole dell’omicidio di un pugile. In questo libro si intrecciano le storie di più personaggi, come quella della moglie di Vito Annone, Teresa, che dovrà convivere con la “colpa” di non poter mai essere madre.

Ad aprire le danze lo storico stabiese Pierluigi Fiorenza, che ha introdotto il lavoro di Mascolo, facendo notare come una Castellammare post secondo dopoguerra, non risulti essere così lontana dall’attuale, un pò abbandonata a se stessa, un pò corrotta, poco apprezzata e piena di ricchezze inestimabili di cui nessuno o quasi, ha interesse. Alcuni pezzi del libro, sono stati accuratamente scelti e letti dalla Professoressa Raffaella Del Sorbo, il tutto accompagnato dalle foto della Stabia dell’epoca, gentilmente offerti dall’archivio del Professore Plaitano.

La Redazione di ViViCentro.it ha avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con l’autore, Angelo Mascolo:

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro, in riferimento al genere, e come è nata l’ispirazione per scrivere “La Primavera cade a Novembre”?

Mi sono ispirato alla collaborazione e al lavoro con Giuseppe Plaitano che cura l’archivio di Castellammare, fatto di foto della città che vanno dall’800 agli anni ’40. Venendo queste foto d’epoca, questi scorci, mi sono accorto che era una città dalla quale  cavare una vicenda romanzata. Ho scelto come genere, un giallo perchè lo trovo un genere che non è un genere e che ti permette di svincolarti e raccontare tante cose e di indagare la condizione degli uomini e delle cose:  dalla vicenda dell’omicidio, al dramma di Teresa. E’ uno dei miei generi preferiti nella fattispecie. 

Da chi sei stato ispirato per la scrittura dei tuoi personaggi, in particolar modo il Commissario Annone e sua moglie Teresa?

Mi interessava raccontare un personaggio diverso dal classico commissario che ci hanno restituito i vari gialli. Da Montalbano in giù abbiamo avuto commissari o belli e dannati o, come il Ricciardi di De Giovanni, al centro di un triangolo amoroso, mentre il mio non è tipicizzato, è un commissario normale con una moglie, che sogna una famiglia e fa il suo dovere. Un personaggio normale, volevo raccontare un personaggio comune e semplice, e questa forse è stata la cosa più complicata, raccontare la normalità.

Per quanto riguarda la moglie, Teresa, è un personaggio che vive negli anni ’40 ma che la sua problematica è attuale a quella di una qualsiasi donna che vive in questo periodo o in qualsiasi altro momento storico. Ho cercato di raccontare il dramma della non maternità, questa discesa all’inferno, raccontando la frustrazione di chi si sente donna a metà. Essere madre secondo me, anche in un periodo come il nostro dove la donna punta all’indipendenza e alla carriera, è una vocazione, e quando questa vocazione non c’è o non può concretizzarsi, si soffre, soffre la donna e la coppia. 

Hai scelto di ambientare il tuo libro negli anni ’47, in pieno secondo dopo guerra, e per giunta a Castellammare di Stabia. Cosa ti ha spinto a scegliere questo periodo storico e questa ambientazione?

Ho scelto Castellammare perchè per me rappresenta l’emblema di quella parte dell’Italia non raccontata, non solo in questi anni, ma in generale è un grande centro del nostro meridione dimenticato, per i cantieri, il movimento operaio. Parlare di questa città significa parlare della parte contadina e operaia che sta cercando di venir fuori da una situazione incredibile, post secondo conflitto mondiale, un pò come può. 

Si nota una certa continuità storica tra gli avvenimenti che racconti e la Castellammare attuale

Basta guardare la città oggi e notare che esistono ancora delle macerie, come al centro storico, abbandonato a se stesso; macerie sociali come l’assalto avvenuto pochi giorni fa al centro occupazione e questo vuol dire che c’è miseria, arretratezza. Cosa c’è di diverso tra le file fatte al centro di occupazione e quelle fatte per il pane alla fine degli anni ’40? Per me non c’è nulla di diverso. E questo vuol dire che la politica ha fallito o quanto meno l’idea di città è venuta meno.

Secondo te quali caratteristiche dovrebbe avere uno scrittore per dirsi tale, a parte forse la grande creatività e l’essere una buona penna?

Q

uesta è una domanda che mi pongo anche io. Non esistono patenti o abilitazioni. Banalmente potrei partire con il dire che c’è bisogno di avere qualcosa da raccontare, e poi credo che il talento da solo non basta, serve l’ostinazione, la forza uguale e contraria che ti spinge ogni volta a scrivere, a strappare pagine e riscriverle ancora per ristrapparle un’altra volta. Non c’è talento che non premi l’ostinazione. Non si diventa scrittori e non si nasce, ci si ostina! E poi essere scrittori secondo me, implica farsi una domanda. “Conviene mettere le mani dentro di se? Si ha il coraggio di farlo?”.

 

a cura di Vincenza Lourdes Varone

RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

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