L’affondamento della corazzata Wien è il primo, grande successo italiano sul mare nel corso del primo conflitto mondiale.
Notte tra il 9 e il 10 dicembre 1917. Ha luogo un clamoroso forzamento dei porti austro-ungarici a opera della Regia Marina durante la Grande Guerra. I MAS 9 (comandante il tenente di vascello Luigi Rizzo) e 13 (Capo timoniere 1ª cl. Andrea Ferrarini), scortati fin sotto Trieste dalle torpediniere 9 e 11 PN, penetrano nel Vallone di Muggia. I siluri del MAS 9 affondano la corazzata costiera Wien. Nonostante la reazione avversaria, le due piccole, vittoriose siluranti rientrano indenni a Venezia.
L’affondamento della corazzata Wien è il primo, grande successo italiano sul mare nel corso del primo conflitto mondiale, conseguito dopo anni di sforzi tenaci derivanti dall’applicazione del principio strategico della cosiddetta “Battaglia in Porto” (quella che oggi definiamo “Guerra Asimmetrica”), ossia la conduzione di azioni militari occulte e fulminee forzando, in questo caso, le basi avversarie con siluranti e mezzi insidiosi. Un tipo di guerra reinventato dall’Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, due volte Capo di Stato Maggiore della Marina nel 1915 e nel 1917-1919 e artefice della Vittoria sul mare durante la Grande Guerra.
L
’azione, ben pianificata, è abilmente valorizzata in Italia e all’estero, così da sottolineare ancor meglio l’inversione di tendenza nella Nazione dopo la crisi di Caporetto e la dura, prima vittoria sul Piave.
L’impresa di Trieste, predisposta da Rizzo sin dalla primavera di quel stesso anno e avvallata da Thaon di Revel (il quale non esita a verificare di persona la “scena” del forzamento del porto triestino in una notte del settembre 1917, spingendosi a bordo di un motoscafo a poche centinaia di metri dalle ostruzioni nel corso della redazione finale del piano di Rizzo), aveva il preciso obiettivo di alleggerire la pressione austro-ungarica contro Venezia. La città lagunare rappresentava, infatti, la maggiore e più avanzata base del teatro navale italiano in Alto Adriatico, quella che teneva sotto scacco Pola, la principale base austroungarica che distava a sole 70 miglia dalla laguna. Inoltre Venezia proteggeva il lato a mare dell’Esercito italiano e contribuiva con i caccia, le torpediniere, i MAS, i pontoni armati, i sommergibili e gli idrovolanti del maggiore idroscalo del mondo ad attaccare costantemente l’ala a mare dell’Esercito asburgico.
La Marina Italiana, dopo avere arrestato a Cortellazzo, il 16 novembre 1917, l’offensiva nemica, impedendo così ai tedeschi e agli austriaci di arrivare a Venezia e di vincere, sull’onda di Caporetto, la guerra italiana ed europea, torna così all’offensiva avendo quale obiettivo le corazzate Wien e Budapest. Quelle stesse corazzate che, pur respinte a Cortellazzo grazie all’epica resistenza dei marinai della batteria costiera 001 comandata dal tenente di Vascello Bruno Bordigioni e dal successivo intervento dei MAS, delle corazzate, delle siluranti e degli idrovolanti italiani, continuavano a rappresentare, a tutti gli effetti, una costante minaccia potenziale per il fronte a mare italiano.
Ma torniamo alla notte di Trieste. I MAS erano dotati di speciali cesoie idropneumatiche montate a prora allo scopo di tagliare le ostruzioni poste a protezione del porto. Durante le esercitazioni quell’apparato, macchinoso ma silenzioso, aveva funzionato. Quella notte, invece, no. La diversa consistenza dei cavi austro-ungarici faceva infatti sì che le mandibole di quelle cesoie masticassero, anziché tranciare, i cavi. Ci vollero così 55 minuti di lento ruminare in luogo del fulmineo “ciak” programmato originariamente. Cinquantacinque minuti bestiali durante i quali una vedetta o una delle sentinelle che camminavano su e giù lungo la diga foranea nel tentativo di scaldarsi, avrebbero potuto dare l’allarme. Ma i nostri uomini riuscirono, alla fine, a superare le ostruzioni. Neppure il dopo fu facile. I tempi erano saltati clamorosamente a causa di quel ritardo imprevisto. Furono necessari ulteriori 40 minuti per individuare i bersagli muovendosi silenziosamente e lentissimamente nell’oscurità del porto con la propulsione smistata sui motori elettrici delle siluranti e quindi accertarsi che le corazzate nemiche non fossero protette da reti parasiluri. Per fare questo i MAS si spinsero quasi a toccare le navi da battaglia austro-ungariche per poi tornare indietro e portarsi nel cerchio di lancio a una distanza tale da attivare le teste dei siluri.
Il seguito è storia nota; altre eclatanti vittorie sul mare vennero conseguite dalla Marina italiana nel corso di quel conflitto: dall’affondamento della corazzata Szent István (italianizzata in Santo Stefano), avvenuto il 10 giugno 1918 sempre ad opera di Luigi Rizzo e della Viribus Unitis, quest’ultimo avvenuto a Pola la notte fra il 31 ottobre e il 1 novembre 1918, ad opera di Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci (anch’essi, come Rizzo, furono insigniti della massima onorificenza al Valor Militare). La storia di una grande Marina è una serie ininterrotta di atti, in pace e in guerra, di grande valore e rappresenta una parte importante del patrimonio e dell’identità di un popolo, tanto più che ne evidenzia, inevitabilmente, la cultura, le memorie e le tradizioni perpetrate nei secoli. Caratteri sempre uguali che si traducono, nel nostro caso, in coraggio, fantasia, tenacia e nella tendenza ad aiutare la fortuna, quando è necessario. Sempre, beninteso, con lo stile della “grande silenziosa” nell’ambito di un rapporto particolarissimo con il popolo tutto. Niente retorica, da una parte e dall’altra, ma la serena certezza di poter contare l’uno sull’altro nel momento del bisogno. Insomma: per capire il presente e guardare al futuro è necessario conoscere, a fondo, il passato.
Giosué Allegrini
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