Quella giornata dell’ 11 settembre ha cambiato le nostre vite, non siamo ancora riusciti a vederne il tramonto
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HE NOSTALGIA di quel tempo in cui ci permettevamo di sperare, in cui era lecito coltivare illusioni e pensare che il mondo potesse progredire. Un mondo più facile, in cui le tecnologie promettevano inclusione e non nuove e ulteriori differenze, in cui la globalizzazione combatteva povertà storiche e apriva alle contaminazioni, in cui si viaggiava in modo facile e sempre meno costoso. Un mondo che oggi è un ricordo sbiadito, che quasi abbiamo pudore a riportare alla mente.
Affermare che tutto è finito in una mattina di tarda estate può sembrare eccessivo, ma non è falso. Molti fenomeni sarebbero emersi ugualmente, ma probabilmente con una velocità diversa e con meno cattiveria. Ogni cosa invece è stata contagiata da ansie, paure e dalla fine delle certezze. Ci sono momenti di rottura che improvvisamente illuminano la scena e ci richiamano a vedere con freddezza la realtà . Il nostro mondo stava già rallentando, l’uscita dalla povertà di intere regioni del pianeta significava meno benessere per noi, l’irrompere sulla scena di nuove potenze indicava un nostro declino e i terrorismi, già presenti e sperimentati, avrebbero conquistato la prima pagina delle nostre agende quotidiane.
Ognuno di noi, a patto che oggi abbia compiuto i 25 anni, sa dov’era quel giorno, ma per me più importante è la sensazione che conservo del momento in cui arrivai a New York, tre giorni dopo gli attentati. Riuscii ad atterrare appena riaprirono lo spazio aereo e nel momento in cui tutti quelli che non avevano necessità di restare in città scapparono. Ricordo la Quinta strada deserta, senza un turista, l’albergo in cui io e altri due colleghi eravamo gli unici ospiti, l’aria densa che puzzava di bruciato e le cornamuse che per settimane suonarono nella cattedrale di San Patrizio ai funerali dei vigili del fuoco e dei poliziotti irlandesi.
Quella sensazione ha incrinato per sempre il senso di invincibilità che aveva per me l’isola di Manhattan, si è sovrapposta all’emozione della prima volta che vidi il suo skyline al tramonto e pensai che allora esisteva davvero lo sfondo di tutti quei film che avevo amato.
Poi vennero le difficoltà e le umiliazioni a cui siamo ancora oggi costretti, le file agli aeroporti, le montagne di accendini e di bottigliette d’acqua, il sospetto con cui si guarda al vicino e al mondo.
Quella giornata ha cambiato le nostre vite, ma non siamo ancora riusciti a vederne il tramonto, per dire finalmente addio a questo eterno 11 settembre.
repubblica/11 settembre, 15 anni dopo MARIO CALABRESI
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