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ACCADDE OGGI 3 Maggio 2005: strage di P.za Fontana; tutti assolti

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ACCADDE OGGI 3 Maggio 2005. Dopo 35 anni, la Corte di Cassazione assolve tutti gli imputati della Strage di Piazza Fontana e condanna al pagamento delle spese processuali i parenti delle vittime e le parti civili

Piazza Fontana. Le indagini e i processi

Bomba_piazza_fontanaLa storia processuale di piazza Fontana dura complessivamente 36 anni, e si articola in tre processi.

Dopo molti anni di indagini lungo piste investigative diverse e tra loro contraddittorie, le tre istruttorie (la prima basata sulla “pista anarchica” o “rossa”, la seconda basata sulla “pista nera” dei neonazisti veneti, la terza scaturita dall’inchiesta sul Sid, il servizio segreto dell’epoca) confluiscono nel primo processo (il cosiddetto “processo di Catanzaro”).

La Cassazione ha stabilito infatti che debba essere celebrato nel capoluogo calabrese.

Giannettini_FredaIl dibattimento si apre nel 1977 e condanna in primo grado per strage i terroristi neri Freda e Ventura con il collaboratore del Sid Guido Giannettini, e gli ufficiali dei servizi Gianadelio Maletti e Antonio Labruna per azioni finalizzate a depistare le indagini.

Nei successivi gradi di giudizio, tuttavia, Freda, Ventura e Giannettini assolti; passa in giudicato, seppure attenuata, la condanna agli ufficiali del Sid.

Il secondo processo (il cosiddetto “processo Catanzaro bis”), scaturito dalla quarta istruttoria, vede imputati i neofascisti Stefano Delle Chiaie e Massimiliano Fachini, e si conclude senza alcuna condanna nel 1991.

Nel frattempo, però, la ripresa delle indagini sulla destra eversiva porta ad aprire una quinta istruttoria, da cui scaturisce il terzo processo (il “processo di Milano” o “processo a Ordine Nuovo”), che si celebra finalmente a Milano.

Alla sbarra, questa volta, ci sono esponenti dell’organizzazione eversiva di estrema destra Ordine Nuovo (ON). Dopo la condanna per strage in primo grado di Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, tuttavia, il giudizio d’appello, confermato dalla Cassazione nel 2005, manda tutti assolti.

Ordine nuovoLa sentenza, però, stabilisce che la strage di piazza Fontana è riconducibile alla struttura veneta di Ordine nuovo, in particolare risulta accertato il coinvolgimento del collaboratore di giustizia reo confesso Carlo Digilio e, seppure sotto un profilo meramente storico, quello di Franco Freda e Giovanni Ventura (non più processabili perché assolti in via definitiva).

Le prime indagini e le tre istruttorie

Subito dopo la strage, le indagini si avviano, in parallelo, a Milano e Roma, e procedono di fatto a senso unico verso gli ambienti anarchici e della sinistra extraparlamentare.

Pietro Valpreda, strage di Piazza FontanaIl principale imputato della cosiddetta “pista anarchica” o “pista rossa”, tenacemente perseguita dagli uffici politici di Milano e Roma (che rispondono all’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno), è il ballerino anarchico Pietro Valpreda, insieme ad altri compagni del circolo “22 marzo”.

Arrestato a Milano la mattina del 15 dicembre, poco prima dell’inizio dei funerali delle vittime della strage nel Duomo della città, Valpreda è incriminato grazie al riconoscimento del tassista Cornelio Rolandi, che afferma di averlo trasportato nei pressi di piazza Fontana poco prima del massacro.

(il riconoscimento sarà invalidato poiché a Rolandi era stata mostrata preventivamente una fotografia del Valpreda, indicato come la persona che avrebbe dovuto riconoscere).

Vittima innocente e ingiustamente calunniata delle prime indagini contro gli anarchici è il ferroviere Giuseppe Pinelli:

convocato in Questura per essere interrogato dalla polizia sin dalla sera del 12 dicembre, la notte tra il 15 e il 16 dicembre muore precipitando dalla finestra dell’ufficio del commissario Luigi Calabresi della Questura di Milano, ove era trattenuto in stato di fermo oltre il termine massimo consentito per legge.

A fine dicembre l’inchiesta è assegnata alla Procura di Roma; nonostante il delitto più grave sia accaduto a Milano, il conflitto di competenza sollevato dalla difesa di Pietro Valpreda e di altri anarchici è rigettato.

Da questa prima istruttoria (sentenza istruttoria del Tribunale di Roma, 20 marzo 1971) scaturisce il dibattimento che si apre presso il Tribunale di Roma nel febbraio 1972 ma si arresta quasi subito: la Corte, infatti, in contrasto con e indicazioni precedenti, stabilisce che la competenza non spetti a Roma.

Gli atti relativi al “processo Valpreda” (principali imputati gli anarchici) vengono rimandati a Milano, dove, nel frattempo, sono approdati, dal Veneto, gli atti relativi alla seconda istruttoria sulla cosiddetta “pista nera”, ossia di terrorismo neofascista, nata dalle dichiarazioni del testimone d’accusa Gudo Lorenzon, amico di gioventù del Ventura, i cui principali imputati Franco Freda, Giovanni Ventura, Marco Pozzan e Guido Giannettini, giornalista di estrema destra che risultava collegato al Sid (tuttavia, quando il giudice istruttore di Milano, Gerardo D’Ambrosio, chiederà informazioni al Sid riguardo a questo personaggio, gli verrà opposto il segreto politico-militare).

Il “processo Valpreda” a Milano ci resta pochissimo: nell’estate del 1972 il Procuratore Generale della Repubblica chiede che venga trasferito altrove per motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto.

La Cassazione, il 13 ottobre 1972, dispone la rimessione degli atti del processo basato sulla prima istruttoria al Tribunale di Catanzaro, ossia a oltre 1000 chilometri dal giudice naturale.

A Milano prosegue solo la seconda istruttoria, che si conclude con la sentenza istruttoria del 18 marzo 1974 che rinvia a giudizio per gli imputati neofascisti, mentre dallo stralcio di alcune posizioni (tra cui quella del collaboratore del Sid Giannettini) ha origine la terza istruttoria.

Subito dopo anche gli atti relativi alle indagini su Freda, Ventura e i loro camerati vengono trasmessi per competenza a Catanzaro. Lo stesso destino tocca, circa un anno dopo, alla terza istruttoria, ovvero l’inchiesta sul Sid: a concluderla sarà il giudice istruttore Gianfranco Migliaccio, la sentenza istruttoria del Tribunale di Catanzaro del 31 luglio 1976.

La Cassazione ritiene infatti che, tutti gli imputati per il medesimo fatto debbano essere giudicati dalla stessa Corte d’Assise.

A Catanzaro, dunque, la Corte d’Assise si trova a giudicare contemporaneamente gli imputati della “pista anarchica”, quelli della “pista nera” e gli ufficiali appartenenti ai servizi segreti.

Il processo di Catanzaro

Dopo le poche udienze celebrate a Roma nel 1972 e altre due “false partenze” (rispettivamente nel 1974 e ‘75), il dibattimento del processo di Catanzaro per la strage di piazza Fontana e reati connessi, in cui sono confluite tutte e tre le istruttorie, si apre davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro il 18 gennaio 1977.

Nel dicembre di quell’anno, la stessa Corte processa per direttissima il generale Saverio Malizia, Sostituto Procuratore Generale presso il Tribunale Supremo Militare nonché consulente giuridico del Ministro della Difesa, per aver “affermato il falso e taciuto il vero” (art. 372 c.p.) nel corso del processo per la strage di piazza Fontana sulle modalità dell’opposizione del segreto politico-militare agli inquirenti, poiché

“molteplici elementi […] inducevano a ritenere che il generale Malizia non dicesse il vero nell’escludere ogni interferenza delle sedi politiche sulla questione Giannettini e nel negare la parte che egli stesso vi aveva avuto”.

Malizia è dichiarato colpevole con sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro del 1 dicembre 1977. Il processo per gli attentati del 12 dicembre si conclude invece dopo circa due anni, con la sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro del 23 febbraio 1979 che condanna per strage Freda e Ventura, il giornalista e informatore del Sid Giannettini, mentre assolve per insufficienza di prove Valpreda (condannato, insieme a Mario Merlino e altri, per il solo reato di associazione per delinquere in relazione alla partecipazione al gruppo anarchico romano “22 marzo”).

Freda e Ventura sono condannati anche per gli attentati della primavera-estate del ’69 (incluse le bombe collocate a Milano il 25 aprile, per cui erano già stati processati e assolti, tra il 1971 e il ‘76, alcuni anarchici, collegati a Valpreda).

Il giudizio della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, il 20 aprile 1981, ribalta le condanne per strage di Freda, Ventura e Giannettini in assoluzioni per insufficienza di prove.

Freda e Ventura sono condannati solo per associazione sovversiva e per gli altri attentati del 1969 (esclusi quelli del 12 dicembre).

La condanna per questi fatti è confermata in via definitiva dalla sentenza di Cassazione del 10 giugno 1982, che però annulla con rinvio a nuovo giudizio per il reato di strage continuata – cioè per piazza Fontana e gli altri attentati del 12 dicembre – le assoluzioni di Freda e Ventura, ma anche di Valpreda e del suo coimputato Mario Merlino (neofascista di Avanguardia nazionale infiltratosi nel gruppo “22 marzo”).

Annullate anche le assoluzioni in appello degli ufficiali del Sid Gianadelio Maletti e Antonio Labruna, (nel 1979, in primo grado, erano stati condannati per i reati di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento, reati consumati tra il 1973 e il ’74 per aiutare il neofascista Marco Pozzan, indagato in relazione alla strage, a “esfiltrare”, ossia fuggire all’estero), e l’assoluzione del maresciallo Gaetano Tanzilli del Sid, per il delitto di falsa testimonianza:

“per avere, deponendo quale teste innanzi al Giudice Istruttore di Milano il 29 febbraio 1974 e innanzi al Giudice Istruttore di Catanzaro il 29 luglio 1975, negato, contrariamente al vero, di avere appreso da Stefano Serpieri [informatore del Sid] tutte le notizie riportate nell’appunto del 16 dicembre 1969 [una nota riservata del Sid relativa alla strage consegnata agli inquirenti di Milano]”.

La Corte d’Assise d’Appello di Bari, con sentenza del 1 agosto 1985, assolve Freda e Ventura dal delitto di strage per insufficienza di prove.

Confermata pure l’assoluzione di Valpreda e di Merlino, sempre per insufficienza di prove; assolto Tanzilli per non aver commesso il fatto; confermata invece la condanna per falso ideologico di Labruna e Maletti: il ruolo giocato da uomini del Sid nel depistaggio dell’inchiesta, dunque, è suggellato da due condanne definitive.

La sentenza di Bari è infatti confermata dal giudizio di Cassazione del 27 gennaio 1987.

Il processo Catanzaro-bis

Mentre si conclude il primo processo, si sviluppano però le indagini della quarta istruttoria, affidata al giudice istruttore di Catanzaro Emilio Ledonne.

La stessa sentenza d’Assise d’Appello dell’81 invitava infatti ad approfondire la posizione del leader dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale, figura carismatica nel mondo della destra radicale.

Latitante dal 1970, Delle Chiaie era già stato coinvolto nella prima istruttoria, ma solo in modo marginale, in relazione agli attentati romani del 12 dicembre; risultava essere come uno dei registi dell’opera di infiltrazione di elementi di estrema destra nell’ambiente anarchico, ed emergono nuovi elementi a suo carico dalle dichiarazioni di alcuni “pentiti” di destra.

Particolarmente inquietanti i “numerosi elementi processuali che attribuiscono a Delle Chiaie anche il ruolo si agente del Servizio Affari riservati”.

A partire dal giugno 1982, inoltre, Delle Chiaie è indagato anche in relazione alla strage di Bologna.

Insieme a lui è imputato per strage Massimiliano Fachini, già consigliere comunale del Msi a Padova e membro di Ordine nuovo (anche lui indagato e assolto anche per la strage di Bologna).

La quarta istruttoria indaga inoltre il possibile coinvolgimento della loggia massonica P2 nella strage di piazza Fontana, poiché nelle liste di affiliati ritrovate il 17 marzo 1981 figuravano anche i nomi degli ufficiali del Sid Maletti e Labruna, condannati nel primo processo per aver ostacolato le indagini.

Delle Chiaie e Fachini sono rinviati a giudizio dalla sentenza istruttoria del Tribunale di Catanzaro del 30 luglio 1986.

Il secondo processo, detto “Catanzaro-bis”, assolve entrambi gli imputati per non aver commesso il fatto con sentenza del 20 febbraio 1989, confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro il 5 luglio 1991.

Il processo di Milano (processo a Ordine Nuovo)

Nel frattempo, a Milano, il giudice istruttore Guido Salvini è tornato a indagare su “una serie di reati associativi ascritti a militanti di gruppi eversivi di destra” (sentenze istruttorie del Tribunale di Milano del 18 marzo 1995 e del 3 febbraio 1998).

Le dichiarazioni rese tra il 1993 e il 1994 al giudice istruttore dal collaboratore di giustizia Carlo Digilio (che era stato un “quadro coperto” dell’organizzazione Ordine Nuovo, in veste di armiere ed esperto di esplosivi) delineano nuovi elementi di responsabilità riguardo alla strage di piazza Fontana.

Il 12 luglio 1995 la Procura della Repubblica di Milano iscrive Delfo Zorzi nel registro degli indagati: da quella data sono iniziate le indagini per il delitto di strage nei confronti degli ordinovisti Carlo Digilio, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, leader della Fenice, organizzazione milanese collegata a On.

I giudici milanesi puntualizzano che:

“l’accusa formulata a carico dei quattro odierni imputati di strage si fonda sull’assunto che costoro abbiano agito in concorso con Freda e Ventura, cioè i due principali imputati del primo processo di Catanzaro”,

sebbene questi ultimi non siano più processabili in virtù del principio “ne bis in idem”, poiché la Cassazione 1987 li ha assolti in via definitiva dal reato di strage.

Questa volta il processo si può finalmente celebrare nella sua sede naturale, a Milano: una sentenza della Corte di Cassazione del 5 dicembre 1996 dichiara infatti cessata la competenza del Tribunale di Catanzaro.

La sentenza della Corte d’Assise di Milano del 30 giugno 2001 condanna Maggi, Zorzi e Rognoni all’ergastolo per la strage e dichiara invece il non doversi procedere contro l’armiere Digilio, che resta l’unico autore giuridicamente riconosciuto della strage, ma con il reato prescritto, grazie alle attenuanti per la collaborazione.

Tale giudizio è riformato dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello del 12 marzo 2004: questa assolve Maggi e Zorzi dal reato di strage ex art. 530 secondo comma c.p.p.

(“Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”: la formula che ha sostituito la vecchia insufficienza di prove), assolve Rognoni per non aver commesso il fatto.

Le assoluzioni sono confermate dalla Cassazione il 3 maggio 2005.

Tra le ragioni delle assoluzioni vi era il fatto che nel giudizio d’Appello il pentito Digilio non era stato ritenuto sufficientemente credibile, quanto alle accuse portate ai coimputati.

Ironia della sorte, dopo la conclusione del terzo processo, le indagini svolte in relazione al terzo processo per la strage di piazza Loggia a Brescia porteranno alla luce alcuni importanti riscontri materiali ai racconti di Digilio e ai suoi rapporti con Ventura (materia su cui si soffermano le motivazioni del giudizio di rinvio nell’ultimo processo bresciano presso la Corte d’Assise d’Appello di Milano, sentenza del 22 luglio 2015).

Con le assoluzioni, tuttavia, la sentenza di Cassazione del 2005 conferma anche le considerazioni svolte dai giudici d’appello nel 2004:

“ritiene il Collegio di dover, in definitiva, condividere l’approdo cui la Corte di Assise di Milano, peraltro in termini più impliciti che espliciti, è pervenuta in ordine alla responsabilità di Freda Franco e Ventura Giovanni per i fatti del 12.12.1969, pur avvertendo che tale conclusione, oltre a non poter provocare, per le ragioni più volte esposte, effetti giuridici di sorta nei confronti di costoro, irrevocabilmente assolti dalla Corte di Assise di Appello di Bari, è il frutto di un giudizio formulato senza potere disporre dell’intero materiale probatorio utilizzato a Catanzaro e Bari.

Ciononostante, il Collegio non si può sottrarre, proprio perché l’ipotesi accusatoria è stata enunziata nella forma del ‘concorso con Freda Franco e Ventura Giovanni’, al compito di verificare anzitutto se costoro debbano ritenersi, ai soli fini che qui interessano, responsabili della strage di piazza Fontana e degli altri attentati commessi lo stesso giorno.

Orbene, in tale prospettiva il giudizio non può che essere uno: il complesso indiziario costituito dalle risultanze esaminate […] fornisce a tale quesito una risposta positiva”.

Sul punto, la Corte di Cassazione si premura di precisare il quadro giuridico in cui s’iscrive una simile valutazione sul ruolo svolto da Freda e Ventura nell’organizzazione della strage di piazza Fontana:

“qualora il giudicato sia stato d’assoluzione [come per Freda e Ventura], il giudice del separato procedimento instaurato a carico del concorrente nel medesimo reato [la strage del 12 dicembre] può sottoporre a rivalutazione il comportamento dell’assolto, all’unico fine – fermo il divieto del ne bis in idem a tutela della posizione di costui – di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilità dell’imputato da giudicare”.

E la Cassazione conclude:

“sul punto specifico delle responsabilità individuali” – di Freda e Ventura – “sia pure in chiave meramente ‘storica’ e di valutazione incidentale, l’approdo dei giudici di secondo grado [della Corte d’Assise di Milano, nel 2004] non si è discostato di molto dai risultati della indagine condotta in primo grado”

– e, vale la pena sottolinearlo, dagli esiti della sentenza di primo grado del primo processo di Catanzaro – secondo cui Freda e Ventura hanno partecipato all’organizzazione della strage di piazza Fontana e degli altri attentati del 12 dicembre.

(testo a cura di Benedetta Tobagi / archivio flamigni) / Redazione

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