VERONA, Vedova allegra: raffinato spettacolo belle époque (C. Toscano)

VERONA, Vedova allegra: raffinato spettacolo belle époque (Recensione di Carmelo Toscano) La spensieratezza della Belle Époque...

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VERONA, Vedova allegra: raffinato spettacolo belle époque (Recensione di Carmelo Toscano)

La spensieratezza della Belle Époque viennese ci è stata fatta rivivere dalle intramontabili atmosfere oniriche de La vedova allegra (Die lustige Witwe) per la musica di Franz Lehár. È ritenuta, a ragione, la regina delle operette. Rappresentata per la prima volta nel 1905, in questo dicembre compie ben 112 anni! E non li dimostra, per la sua freschezza ed il suo brio irresistibile.

È spettacolo ammaliante al limite del frivolo, per la trama e per l’intreccio contenutistico. Ma è solo apparenza: viene rappresentato, infatti, uno Stato (l’immaginario Pontevedro) che rischia il collasso economico, ed il matrimonio della “nostra” vedova assume l’importanza proprio di un affare di stato, dove a prevalere è l’etica della necessità. Infatti, la diplomazia per raggiungere uno scopo non bada tanto ai mezzi usati, ma ai fini da raggiungere, in vista di un bene superiore, del quale tutti possono beneficiare.

L’allestimento veronese è riuscito a ricreare la magica atmosfera fin de siècle mitteleuropeo, sia negli apparati scenici che nei costumi. Il fascino irresistibile della musica di Lehár ha completato la suggestione teatrale, come una potente macchina del tempo. Così catapultati nella Mitteleuropa dell’epoca, ci siamo ritrovati in una Parigi vista con gli occhiali trasfiguranti di un musicista della provincia magiara che guarda la capitale francese come la città del futuro, tutta sfavillio di luci, di eleganza e di mondanità. E in questa sfavillante ville lumière l’ambasciata del piccolo stato pontevedrino, con la sua brillante azione diplomatico-sentimentale, riuscirà a mettere in sicurezza le pericolanti finanze della patria lontana.

L’opera si snoda in tre atti nei quali si intrecciano recitativi e musica fantasmagorica a base di valzer, marce, arie melodiche, cantabili o accorate di lirismo.

La protagonista Hanna Glawari è impersonata da Mihaela Marcu, soprano rumeno che padroneggia la scena con classe e canta con professionale equilibrio.

Enrico Maria Marabelli (Conte Danilo) calca la scena con professionale compostezza, dando poco spazio all’aspetto guascone del personaggio; ma canta in modo ineccepibile.

La Valencienne di Lucrezia Drei, possiede il brio dell’eterna ragazza con una spigliatezza acrobatica in scena non comune per un soprano e canta in modo incantevole, avvantaggiata dalla sua freschezza vocale ed anagrafica.

Francesco Marsiglia (Camille de Rossillon), seppur non possieda le physique du rôle del viveur seduttore, canta con consumata perizia vocale.

Bravo Giovanni Romeo nei panni del Barone Zeta, sia nel canto che nella recitazione, da autentico protagonista.

Marisa Laurito nei panni di un Njegus al femminile è una figura ibrida che nelle movenze di scena a tratti ricorda la Mamy (Hattie Mcdaniel) di Via col vento ed a tratti un’attrice del teatro partenopeo; risulta, però, gradevole al pubblico che le riserva consensi ed applausi in più momenti.

Buone le performance del cast dei comprimari ed artisti di fianco: Francesco Paolo Vultaggio (Cascada), Stefano Consolini (Raoul de St-Brioche), Daniele Piscopo (Bogdanowitsch) Serena Muscariello (Sylviane) Andrea Cortese (Kromow) Lara Rotili (Olga) Nicola Ebau (Pritschitsch) Francesca Paola Geretto (Praskowia).

Imponente e corposo il coro preparato da Vito Lombardi.

Le scene Ivan Stefanutti ispirate ad un classico realismo erano perfette, così come i costumi splendidi di William Orlandi erano perfetti nei loro incantevoli colori pastello.

Buona la prestazione dell’orchestra diretta dal debuttante a Verona maestro Sergio Alapont, che ha lasciato più spazio possibile al canto.

Federico Bertolani ha ripreso con garbo la regia e la coreografia più che collaudate di Gino Landi, che tanti successi ha mietuto in anni passati tra il pubblico scaligero.

Complessivamente spettacolo raffinato nelle scenografie, coreografie, costumi e canto, con qualche cedimento verso il “televisivo” sia nei dialoghi della signorina Negus che nei numeri circensi degli acrobati (peraltro bravissimi).

Pubblico partecipe, molto catturato dalla spettacolarità virtuosistica e dalle gag comiche ma pure attento ed in grado di omaggiare la bellezza del canto.

Carmelo Toscano

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