TORNA IL TEATRO DELLA COMPAGNIA ALEGRIA CON UN TESTO SCRITTO E DIRETTO DA GIULIA CONTE: CAFE SOCIETY – here’s to you George F.-
PROTAGONISTI I GIGANTI AMERICANI DEL BLUES E JAZZ DA CHET BAKER A NINA SIMONE IN UNO SPETTACOLO CHE FONDE MUSICA E PAROLE DALLA FORTE CONNOTAZIONE SOCIALE.
A
volte, per trovare il coraggio di andare avanti nella vita, bisogna voltarsi indietro e ripartire da un passato, che sia personale o meno poco importa; a volte è necessario scendere giù in fondo per capire quanto sia importante risalire; a volte bisogna raschiare il barile per trovare il senso.
Questo è quello che ha fatto Giulia Conte con “CAFE SOCIETY – here’s to you George F.-”, l’ultima fatica dell’attrice, autrice e regista stabiese che si sta faticosamente e meritatamente guadagnando un posto di spicco nella lunga lista di artisti ai quali l’ammaliante ma complicata cittadina sul mare ha dato i natali. Giulia Conte anche durante la quarantena imposta dall’emergenza sanitaria in corso, non si è fermata, raccogliendo intorno a se la compagnia in una associazione culturale, ALEGRIA, composta da varie altre figure di professionisti accomunati dal desiderio di mantenere alto il livello della creatività artistica.
La compagnia Alegria ha presentato ieri, sui social, il primo evento della stagione estiva.
Il 18 luglio alle ore 21, al Teatro del Centro Pastorale S. Maria Rosanova di Sant’Antonio Abate con gli Alegria troveremo una macchina del tempo che ci trasporterà al CAFE SOCIETY di Harlem per vivere emozioni ancora più forti con musica e parole, ancora una volta insieme, ad alternarsi, fondersi e creare vere e proprie magie. Quelle magie che sono diventate leggende, un viaggio tra quattro miti del blues e jazz americani a partire dagli anni ’30, a partire da nomi come Robert Leroy Johnson che forse pochi tra voi ricorderanno o riconosceranno, eppure è una delle massime leggende del Blues, un cantautore chitarrista la cui musica è stata la base della formazione di nomi come Bob Dylan, Eric Clapton, Jimi Hendrix, i Rolling Stones e Led Zeppelin. Il genio maledetto di Crossroads e Sweet Home Chicago, uno di cui si dice che “se Eric Clapton è il Dio, Robert Johnson è il Diavolo” … e il diavolo, si racconta, lui stesso racconta, sembra lo abbia incontrato per davvero e ci abbia pure fatto un patto, non a caso è anche il primo della lista del famoso Club dei 27… volete saperne di più vero?
Non avrete il tempo di riprendervi dalle emozioni di una storia che sarete subito assorbiti dalla successiva … Chet Baker, l’unico bianco del quartetto, la sua voce è una carezza dell’anima, fragile e commovente, dal romanticismo spietato, Baker è il trombettista cantante Re del Cool jazz, il jazz dei bianchi, la voce bianca di rottura in un periodo in cui probabilmente i jazzisti bianchi erano davvero pochi ma anch’egli è un genio maledetto, la sua è una storia di fughe, di droghe, di galera …
Billie Holiday, Lady Day, la voce calda di una delle più grandi cantanti jazz e blues, che passa dal bordello di Harlem all’olimpo del jazz senza mai perdere la connotazione principale che l’ha accompagnata sin da piccola, lei è una “colored”, una di colore e pertanto da tale viene sempre trattata. Troverà il modo di dire la sua. La dirà e ne pagherà le amare conseguenze, la dirà in una canzone che qualcuno ha definito “novella Marsigliese” della rabbia degli sfruttati negli stati del Sud, ma la canzone chi l’ha scritta? Un afroamericano penserete voi … no! La canzone in realtà è una poesia, composta da un ebreo newyorkese e comunista, Abel Meeropol, parla di strani raccolti, Strange fruit, parla degli assassinii dei negri per mano dei bianchi. Ma vi rendete conto della magia di questa combinazione? Un ebreo comunista che scrive un testo di denuncia delle crudeltà razziste … chissà se avrebbe mai potuto immaginare Meeropol quali e quanti frutti amari avrebbe ancora visto la sua di gente da li a pochi anni.
Nina Simone è l’ultima del gruppo Alegria, la più longeva, quella che ha attraversato più di una epoca, ha brillato, è scomparsa ed è ricomparsa negli anni ’80. La sua è la voce della protesta per eccellenza ma è anche l’altra faccia della medaglia, una voce scomoda, violenta, una donna con problematiche profonde, una che ad un certo punto ha preso una pistola e si è messa a sparare sulla folla, perché non siamo tutti uguali, non siamo tutti buoni e non dobbiamo avere remore a mostrare anche il lato cattivo delle persone, perché c’è, esiste.
La stesura finale di CAFE SOCIETY arriva in un periodo in cui la problematica razziale negli USA raggiunge uno dei suoi ciclici momenti di alta tensione, lo spettacolo reca quindi un sottotitolo che è una dedica – here’s to you George F. – ancora una volta, quindi, la musica diventa il tramite per affermare che noi non ci stiamo a certe cose, che non siamo tutti uguali e che il fatto che vi siano delle diversità non deve permettere a chi si sente dalla parte del più forte, di perpetrare gesti come quello che ha portato alla morte di George Floyd, che è solo l’ultima vittima della serie di sacrifici umani imposti dai bianchi a danno dei neri da secoli.
Effi Briest
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