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Sospensione idrica nel comune di Gragnano 2 e 3 Agosto

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La Gori ha comunicato la sospensione dell’erogazione idrica nel comune di Gragnano per il prossimo martedì 2 agosto 2016 dalle 11:00 alle 18:00.

Il motivo è dovuto a lavori programmati di manutenzione della rete idrica.

Queste le vie interessate:

  • VIA LOGRADO,
  • VIA SAN LEONE,
  • VIA VECCHIA SAN LEONE,
  • VIA NUOVA SAN LEONE,
  • VIA AGEROLA,
  • VIA CROCE (ABBASSAMENTI DI PRESSIONE),
  • VIA MARIANNA SPAGNUOLO (ABBASSAMENTI DI PRESSIONE),
  • PIAZZA SAN LEONE (ABBASSAMENTI DI PRESSIONE),
  • VIA SAN VITO (ABBASSAMENTI DI PRESSIONE).
La sospensione è prorogata anche a mercoledì 3 agosto 2016 dalle ore 00:00 alle ore 04:00
  • FRAZIONE AURANO,
  • FRAZIONE CASTELLO.
La Mission della Gori

GORI è il soggetto gestore del Servizio Idrico Integrato dell’Ambito Distrettuale Sarnese-Vesuviano della Campania ed ha come principale obiettivo quello di rendere efficiente, efficace ed economica la gestione della risorsa acqua.

L’azienda mira a garantire all’utenza l’erogazione di acqua potabile, la cui qualità è assicurata da continui controlli, ed un servizio adeguato ad un moderno Paese europeo, anche attraverso la realizzazione di investimenti volti al miglioramento delle infrastrutture e riguardanti soprattutto l’innovazione tecnologica, con la costante attenzione alla salvaguardia dell’ambiente.

“CapitaleMessina pone a l’Assessore Ialacqua alcune semplici domande sulla gestione dei rifiuti”

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Lettera a vivicentroMessina, 28-07-2016  In questa shakespeariana “Estate del nostro scontento”, in mezzo a tonnellate di rifiuti, noi di CapitaleMessina, vediamo o probabilmente crediamo di vedere cose che l’amministrazione non vede, e ci sembra ormai fuori tempo massimo la costituzione della “task force” per la soluzione dell’emergenza, che include Sindaco, assessore, dirigenti comunali, commissario di Messinambiente. Manca solo il Mago Silvan per fare sparire i rifiuti.

E’ innegabile che la città paghi innanzitutto le conseguenze di una politica regionale assolutamente dissennata che ha accumulato errori su errori e non ha avuto la capacità di proporre un piano di gestione dei rifiuti efficace, col conseguente indecoroso spettacolo al quale stiamo assistendo.

L’amministrazione comunale, però, aggiunge a ciò una peculiare incapacità a trovare soluzioni pragmatiche a qualsiasi problematica si presenti, rimandando sempre a principi in teoria validissimi, ma inapplicabili nella condizione di strutturale depressione nella quale versa la città, col risultato che da noi l’emergenza rifiuti è quasi sempre la regola ed a prescindere dalla crisi di questi giorni la città è sempre più sporca.

Ed è sulla gestione “ordinaria” dello smaltimento dei rifiuti che vorremmo porre alcune semplici domande all’assessore al ramo Ialacqua, sperando di non urtare la sua “precaria” suscettibilità:

Se a novembre, secondo i programmi dell’assessorato, si dovesse riuscire a raggiungere la soglia del 45% di raccolta differenziata, è Lei consapevole che il restante 55% pari a circa 66.700 tonnellate andrà comunque in discarica, in eredità  i nostri figli?

Lei parla di una raccolta di organico in città pari a circa il 42%, differente dalla media del 25% che viene generalmente attribuita alla specifica frazione. Il dato com’è calcolato? E’ per caso derivato dal risultato di un’esperienza locale (in uno o più quartieri), in una specifica stagione dell’anno?

La città risulta assolutamente sporca. Al di là dei cassonetti stracolmi è evidente che in molte zone non passa uno “spazzino” con ramazza e paletta da anni. E’ possibile conoscere la reale dotazione di personale e di mezzi destinati alla raccolta dei rifiuti, alla pulizia delle strade e alla gestione del verde pubblico? E se tali risorse sono superiori o inferiori rispetto a quelle di città comparabili alla nostra per numero di abitanti e superficie.

A prima vista, sembra che in città i cassonetti siano pochi e mal distribuiti.

Sarebbe possibile sapere quanti cassonetti effettivamente ci sono in città, magari divisi per tipologie, se ce ne sono di diverse?

Dalle esperienze di raccolta differenziata comunicate trionfalmente dal duo Ciacci&Rossi è stato ricavato un utile reale? In definitiva potrebbe Lei dirci quanto è stato ricavato dalla vendita delle diverse frazioni di rifiuti raccolti nelle precedenti  esperienze di raccolta differenziata? Quanto costa all’amministrazione il compostaggio compreso di trasporto? Dove viene trasportato l’organico?

Aspettiamo le risposte ai quesiti da noi formulati, fiduciosi del fatto che questa Amministrazione in coerenza con i principi che la ispira non voglia negare ai cittadini il diritto alla informazione consapevole ed alla trasparenza.

“Documento a cura del prof. Giovanni Randazzo”

De Guzman, l’agente: “Valutiamo offerte, col Chievo un sondaggio”

Futuro De Guzman

L’agente di De Guzman, Fabio Parisi, ha rilasciato qualche parola ai microfoni di Radio Crc: “Attualmente sta facendo allenamento differenziato dovuto a quel piccolo infortunio, è quasi pronto, qualora il Napoli dovesse decidere di non confermarlo cercheremo subito una soluzione. So che il Chievo ha manifestato interesse per l’acquisizione del cartellino di Jonathan, il Napoli ha risposto che probabilmente lo lasceranno partire, ma è stato solo un sondaggio, non c’è un accordo, né un’offerta. Siamo in attesa di conoscere il suo futuro, non abbiamo preferenze, valuteremo tutto”.

Maggio, l’agente: “Christian può rimanere, ha parlato con Sarri”

Briaschi su Maggio

Ai microfoni di radio Kiss Kiss Napoli, l’agente di Maggio, Massimo Briaschi, ha dichiarato: “Abbiamo parlato con la società e c’è la possibilità che Christian rimanga a Napoli, con grande voglia di fare bene. Christian ha già parlato con Sarri, le condizioni per rimanere per il calciatore ci sono tutte. Deciderà Sarri insieme alla società se poi questo si potrà realizzare. Offerta dagli Stati Uniti? Poteva essere una soluzione ma ci sono delle complicazioni come i tetti d’ingaggio”.

Gabbiadini, l’agente: “Manolo vuole restare, inferiore a nessuno”

Gabbiadini, parola all’agente

Silvio Pagliari, agente di Manolo Gabbiadini, ai microfoni di Radio Crc, ha dichiarato: “Con De Laurentiis c’è stato un bel confronto, era il momento dopo tanto tempo. Lo ribadisco: Manolo è pronto a prendere l’eredità di un mostro sacro come Higuain che ha fatto cose straordinarie. Ora è arrivato un momento in cui devi dimostrare di essere all’altezza e Manolo è convinto, non si sente inferiore ai nomi accostati. Per minutaggio è il più prolifico della serie A. Due anni fa fece 20 gol in una stagione, l’anno scorso ha giocato poco ma ha il miglior rapporto minuti/gol. Nazionale? Certo, è un obiettivo ritornarci, ci ha lasciato anche mezza caviglia lì. Secondo me può fare bene, benissimo quest’anno, anche perché si dà poca importanza al lavoro di Sarri che fa un calcio spumeggiante. Non diamo solo meriti al grande campione Higuain, ma è stato anche finalizzatore del lavoro di Sarri. Abbiamo fatto capire il nostro pensiero alla proprietà, non ci tiriamo indietro, ringraziamo anche i tifosi che apprezzano le persone serie come Manolo. Ruolo? Non lo so, dopo 10 anni faccio fatica a capirlo, ma l’importanza è che faccia gol. E’ come i calciatori di una volta, silenzioso, senza tatuaggi, forse non va di moda di questo periodo. Futuro? Non dipende solo da noi, abbiamo dato la disponibilità a restare. Siamo persone intelligente, se arrivano Ibra o Cavani per fare nomi a caso, facciamo delle valutazioni, ma con i nomi che circolano…” 

Napoli-Koulibaly, c’è un avvicinamento

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Si avvicinano Napoli e Koulibaly. La radio ufficiale azzurra, Kiss Kiss, ha infatti spiegato che le parti si sarebbero chiarite, con ADL che avrebbe proposto un adeguamento che pare far riflettere il difensore e l’agente. Potrebbe arrivare il sì.

DIMARO LIVE – La voce dei tifosi: “Basta con Higuain, guardiamo avanti”

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Al termine della seudta di allenamento di questa mattina, abbiamo avvicinato alcuni tifosi che ci hanno parlato del tradimento di Higuain e del suo possibile sostituto.

dal nostro inviato a Dimaro, Ciro Novellino

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DIMARO LIVE – Del Genio: “Novità tattiche poche, aspettiamo i colpi dal mercato”

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Il ritiro di Dimaro sta terminando per il Napoli, ancora pochi giorni e si ritornerà al caldo di Castel Volturno. Questo è stato definito il ritiro del silenzio. Abbiamo deciso di parlarne con il giornalista Paolo Del Genio, evidenziando le mancate novità tattiche e parlando del mercato ancora deficitario. Queste sono le sue dichiarazioni.

dal nostro inviato a Dimaro, Ciro Novellino

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Scalfari e Berlinguer: la questione morale 35 anni dopo (VIDEO)

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                              Enrico Berlinguer

Il fondatore di “Repubblica”, nell’articolo che segue, intervistato da Simonetta Fiori, ricorda l’incontro a Botteghe Oscure con il segretario del Pci, Enrico Berlinguer e dice: “Quel rimprovero alla politica inaugurò un punto di vista indedito”

Per completare il quadro dell’argomento e meglio richiamare epoca e situazioni, sempre di Scalfari, e sempre sullo stesso tema, vi richiamo prima l’intervista che Scalfari fece a Berlinguer proprio sul tema richiamato e ricordato oggi:

Ciò premesso, passiamo all’intervista e alle parole di Scalfari 28 luglio 2016, 35 anni dopo:

Questione morale, Scalfari: “Non esiste più la diversità della sinistra, nessuno ha seguito la cura Berlinguer” SIMONETTA FIORI

Fu la più importante delle mie interviste a Berlinguer”, ricorda Eugenio Scalfari 35 anni dopo. “Per la prima volta il segretario del Pci chiarì cos’era “la questione morale”: non la presenza di ladri e corrotti nelle alte sfere della politica o dell’amministrazione pubblica, ma l’occupazione sistematica dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti”. È il 26 luglio del 1981, l’anno del ritrovamento degli elenchi della P2 – la loggia segreta del grande ragno Licio Gelli – e dell’arresto di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano. Il clima pubblico italiano inclina a tonalità lugubri. Il direttore di Repubblica va a trovare Berlinguer nella sua stanza a Botteghe Oscure. Tre ore e mezza di conversazione alla presenza dell’immancabile Tonino Tatò, principale collaboratore del segretario. Due giorni dopo esce l’intervista destinata a entrare nei manuali di storia.

Berlinguer, Scalfari e la “questione morale”

Direttore, ti aspettavi l’aspra requisitoria di Berlinguer?
“Feci in modo che venisse fuori. Non era la prima volta che il nostro giornale affrontava la questione morale, gli antecedenti risalivano a prima della fondazione di Repubblica, all’Espresso e alle sue campagne. Ma era la prima volta che Berlinguer affrontava la questione da un punto di vista inedito”.

Quale fu la novità?
“Il rimprovero mosso ai partiti di essere diventati macchine di potere e di clientela, totalmente estranei ai problemi reali della società. In sostanza, Berlinguer non accusò la classe politica italiana di non aver integrato il Pci nel sistema, anzi il contrario: mi disse che ai tempi della solidarietà nazionale ci avevano provato in molti modi, offrendo ai comunisti poltrone di sottogoverno, banche, enti, insomma un posto importante nel banchetto. Ma era proprio quello che Berlinguer voleva combattere: l’occupazione dello Stato da parte dei partiti”.

La sua requisitoria fu meticolosa.
“Denunciò la presenza dei partiti in ogni articolazione dello Stato e delle istituzioni, negli enti locali e negli enti di previdenza, nelle banche, nelle aziende pubbliche, negli istituti culturali, negli ospedali, nelle università e dentro la Rai. Che cosa era grave? Il compito dello Stato è quello di salvaguardare l’interesse generale, difendendo soprattutto i più deboli e gli esclusi, mentre la logica della lottizzazione porta ad agire nell’interesse del partito, della corrente o del clan di appartenenza. Berlinguer lo disse espressamente: un credito bancario viene concesso se procura vantaggi di clientela, un appalto viene aggiudicato se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito. Dipinse con molta amarezza una situazione drammatica, che per diversi aspetti esiste ancora”.

Come procedette l’intervista? A proposito di altre interviste importanti, hai raccontato di aver scritto non solo quello che il tuo intervistatore ti aveva detto, ma anche quello che aveva pensato senza dirtelo.
“No, nel caso di Berlinguer trascrissi fedelmente la conversazione. Non ho usato il registratore, non lo uso mai perché preferisco prendere qualche appunto. Ricordo che lo incalzai molto sulla questione morale perché mi sembrava il nodo essenziale. E a rileggerla oggi mi sembra un’intervista che cresce su se stessa, attraverso una nostra interlocuzione che alterna qualche dissenso e grande sintonia”.

Berlinguer volle rileggerla?
“Sì, tramite Tatò. L’intervista era molto lunga, trattava molti temi, ma a lui interessava solo la questione morale. Così chiese a Tatò se su quel punto specifico avessi riportato correttamente la sua opinione. Una volta rassicurato, diede l’assenso”.

L’intervista sollevò polemiche anche dentro il Pci. Napolitano accusò Berlinguer di essersi lasciato andare a un atteggiamento di “pura denuncia”, poco costruttivo.
“Giorgio era “migliorista”, ossia favorevole al dialogo con il partito di Craxi. E Berlinguer non era stato certo tenero con i socialisti, accusati insieme ai democristiani di aver occupato lo Stato per interessi lontani dal bene comune”.

Tu con il segretario del Pci avevi buoni rapporti.
“Berlinguer guardava con simpatia a un giornale di editori puri. E non a caso nel corso del nostro incontro denunciò il pericolo che il Corriere della seracadesse in mano ai partiti, insomma facesse parte della spartizione. Devo aggiungere che tra noi esisteva anche un rapporto privato. Capitava che ci incontrassimo a cena a casa di Tatò. Non c’era una grande intimità, ma ci davamo del tu”.

Lui segretario del più grande partito comunista d’occidente, tu liberal di sinistra. Cosa vi univa?
“Mi piacevano le sue idee, la questione morale innanzitutto. Il Pci era davvero un partito diverso dagli altri partiti comunisti e già allora stava maturando il suo strappo dall’Urss, anche se ufficialmente sarebbe arrivato proprio alla fine di quello stesso anno, dopo il colpo di Stato di Jaruzelski”.

Berlinguer è stato uno dei pochi politici per cui hai pianto.
“Sì, quando fu colpito a Padova da emorragia cerebrale andai a Botteghe Oscure. Ero addolorato, confuso. E quando Ingrao mi salutò con il braccio teso, di chi non sollecita vicinanza fisica, mi aggrappai al suo collo scosso dai singhiozzi. Lui dovette considerarla una mancanza di dignità, così cercava di scuotermi: su Eugenio, calmati. Ma io continuavo a piangere senza ritegno. Gli dissi che la morte di Berlinguer sarebbe stata una perdita per il partito, ma soprattutto una perdita per la democrazia”.

Berlinguer auspicava che i partiti si ritirassero dallo Stato. Il suo appello non solo non è stato ascoltato ma se è possibile in questi trentacinque anni la situazione è ulteriormente degenerata.
“Sì, la terapia indicata da Berlinguer non è stata seguita. E il malanno diagnosticato è addirittura peggiorato, coinvolgendo anche il Partito democratico. La diversità della sinistra è caduta da tempo, e le tentazioni e le occasioni proliferano sia a destra che a sinistra. Naturalmente è cambiato in modo radicale il contesto. Oggi esiste una questione europea in termini diversi da come si poneva allora. Ed esiste una società globale che impone una diversa velocità nelle decisioni. Per questo noi ci avviamo verso un regime parlamentare monocamerale. Ma perché funzioni in modo realmente democratico, non deve essere un regime parlamentare di “nominati” o “preferiti”: per questo diventa importante la legge elettorale”.

Qual è la relazione con la questione morale?
“Il Parlamento deve essere in grado di controllare il potere esecutivo. Altrimenti è in pericolo la democrazia”.

vivicentro.it/politica
vivicentro/ Scalfari e Berlinguer: la questione morale 35 anni dopo STANISLAO BARRETTA
repubblica/ Questione morale, Scalfari: “Non esiste più la diversità della sinistra, nessuno ha seguito la cura Berlinguer” SIMONETTA FIORI

28 luglio 1981. Intervista di Scalfari a Berlinguer sulla questione morale (VIDEO)

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35 anni fa, proprio oggi, Enrico Berlinguer concesse una lunga intervista a Eugenio Scalfari per la Repubblica ed il discorso andò, inevitabilmente, sulla questione morale facendo nascere una requisitoria aspra contro gli altri partiti che vale la pena richiamare e ricordare ancora oggi.

«I partiti non fanno più politica», mi dice Enrico Berlinguer, ed ha una piega amara nella bocca e, nella voce, come un velo di rimpianto. Mi fa una curiosa sensazione sentirgli dire questa frase. Siamo immersi nella politica fino al collo: le pagine dei giornali e della Tv grondano di titoli politici, di personaggi politici, di battaglie politiche, di slogans politici, di formule politiche, al punto che gli italiani sono stufi, hanno ormai il rigetto della politica e un vento di qualunquismo soffia robustamente dall’Alpi al Lilibeo…».
«No, no, non è così», dice lui scuotendo la testa sconsolato. «Politica si faceva nel ’45, nel ’48 e ancora negli anni Cinquanta e sin verso la fine degli anni Sessanta. Grandi dibattiti, grandi scontri di idee e, certo, anche di interessi corposi, ma illuminati da prospettive chiare, anche se diverse, e dal proposito di assicurare il bene comune. Che passione c’era allora, quanto entusiasmo, quante rabbie sacrosante! Soprattutto c’era lo sforzo di capire la realtà del paese e di interpretarla. E tra avversari ci si stimava. De Gasperi stimava Togliatti e Nenni e, al di là delle asprezze polemiche, n’era ricambiato».
Oggi non è più così?
«Direi proprio di n i partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia».La passione è finita?
La stima reciproca è caduta?
«Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la Dc: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gasparri in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora…».Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.
«È quello che io penso».

Per quale motivo?
«I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal Governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, Il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente: ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti».

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
«E secondo lei non corrisponde alla situazione?».

Debbo riconoscere, signor segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo. Allora delle due l’una: o gli italiani hanno, come si suol dire, la classe dirigente che si meritano, oppure preferiscono questo stato di cose degradato all’ipotesi di vedere il partito comunista insediato al governo e ai vertici di potere. Che cosa è dunque che vi rende così estranei o temibili agli occhi della maggioranza degli italiani?
La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutt molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani danno in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ’74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno fornito l’immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al Nord come al Sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane. Non nego che, alla lunga, gli effetti del voto referendario sulla legge 194 si potranno avvertire anche alle elezioni politiche. Ma è un processo assai più lento, proprio per le ragioni strutturali che ho indicato prima».

C’è dunque una specie di schizofrenia nell’elettore.
«Se vuole la chiami così. In Sicilia, per l’aborto, quasi il 70 per cento ha votato “NO”: ma, poche settimane dopo, il 42 per cento ha votato Dc. Del resto, prendiamo il caso della legge sull’abort in quell’occasione, a parte le dichiarazioni ufficiali dei vari partiti, chi si è veramente impegnato nella battaglia e chi ha più lavorato per il “NO”, sono state le donne, tutte le donne, e i comunisti. Dall’altra parte della barricata, il “movimento per la vita” e certe parti della gerarchia ecclesiastica. Gli altri partiti hanno dato, sì, le loro indicazioni di voto, ma durante la campagna referendaria non li abbiamo neppure visti, a cominciare dalla Dc. È la spiegazione sta in quello che dicevo prima: sono macchine di potere che si muovono soltanto quando è in gioco il potere: seggi in Comune, seggi in Parlamento. Governo centrale e governi locali, ministeri, sottosegretariati, assessorati, banche, enti. Se no, non si muovono. E quand’anche lo volessero, così come i partiti sono diventati oggi, non ne avrebbero più la capacità».

Veniamo all’altra mia domanda, se permette, signor segretari dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
«In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l’andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito “diverso” dagli altri lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità».

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C’è da averne paura?
«Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione: e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ho detto che i partiti hanno degenerato, quale più quale meno, da questa funzione costituzionale loro propria, recando così danni gravissimi allo Stato e a se stessi. Ebbene, il Partito comunista italiano non li ha seguiti in questa degenerazione. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Mi pare che incuta paura a chi ha degenerato. Ma vi si può obiettare: voi non avete avuto l’occasione di provare la vostra onestà politica, perché al potere non ci siete arrivati. Chi ci dice che, in condizioni analoghe a quelle degli altri, non vi comportereste allo stesso modo?
«Lei vuol dirmi che l’occasione fa l’uomo ladro. Ma c’è un fatto sul quale l’invito a riflettere: a noi hanno fatto ponti d’oro, la Dc e gli altri partiti, perché abbandonassimo questa posizione d’intransigenza e di coerenza morale e politica. Ai tempi della maggioranza di solidarietà nazionale ci hanno scongiurato in tutti i modi di fornire i nostri uomini per banche, enti, poltrone di sotto governo, per partecipare anche noi al banchetto. Abbiamo sempre risposto di no. Se l’occasione fa l’uomo ladro, debbo dirle che le nostre occasioni le abbiamo avute anche noi, ma ladri non siamo diventati. Se avessimo voluto venderci, se avessimo voluto integrarci nel sistema di potere imperniato sulla Dc e al quale partecipano gli altri partiti della pregiudiziale anticomunista, avremmo potuto farlo; ma la nostra risposta è stata no. E ad un certo punto ce me siamo andati sbattendo la porta, quando abbiamo capito che rimanere, anche senza compromissioni nostre, poteva significare tener bordone alle malefatte altrui, e concorrere anche noi a far danno al paese».

Veniamo alla seconda diversità.
«Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni; che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata».

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
«Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi».

Non voi soltanto.
«È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l’iniziativa individuale sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche – e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla Dc – non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?».

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un’offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.
«Beh, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l’Occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
«Noi abbiamo messo al centro della nostra politica non solo gli interessi della classe operaia propriamente detta e delle masse lavoratrici in generale, ma anche quelli degli strati emarginati della società, a cominciare dalle donne, dai giovani, dagli anziani. Per risolvere tali problemi non bastano più il riformismo e l’assistenzialismo; ci vuole un profondo rinnovamento di indirizzi e di assetto del sistema. Questa è la linea oggettiva di tendenza e questa è la nostra politica, è il nostro impegno. Del resto, la socialdemocrazia svedese si muove anch’essa su questa linea; e quasi metà della socialdemocrazia tedesca (soprattutto le donne e i giovani) è anch’essa ormai dello stesso avviso. Mitterand ha vinto su un programma per certi aspetti analogo».

Vede che non ha ragione di alterarsi se dico che tra voi e un serio partito socialista non ci sono grandi differenze.
«Non mi altero affatto. Basta intendersi sull’aggettivo serio, che per noi significa comprendere e approfondire le ragioni storiche, ideali e politiche per le quali siamo giunti a elaborare e a perseguire la strategia dell’eurocomunismo (o terza via, come la chiamano anche i socialisti francesi), che è il terreno sul quale può aversi un avvicinamento e una collaborazione tra le posizioni dei socialisti e dei comunisti»

Dunque, siete un partito socialista serio…
«…nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo…».
Però, alle elezioni del 21 giugno, i socialisti di Craxi sono andati parecchio meglio di voi. Come se lo spiega?
«I socialisti hanno certamente colto alcune esigenze nuove che affiorano nel paese. In modi non sempre chiari, ma comunque percettibili, stanno mandando segnali a strati della borghesia e anche di alta borghesia. La crisi profonda che ha investito la Dc non è senza riflessi sull’incremento del Psi, nonché dei socialdemocratici, dei liberali, dei repubblicani. C’è stanchezza verso la Dc e desiderio diffuso di cambiamento. Il 21 giugno, il grosso dei voti che sono defluiti dalla Dc si è trasferito nell’area laica e socialista. Per ora è stato così».Lo giudica un fenomeno positivo?
«Complessivamente, sì, dato che si accompagna ad un calo dei fascisti del Msi e a una conferma della nostra ripresa rispetto al ’79».Le dispiace, la preoccupa che il Psi lanci, come lei dice, segnali verso strati borghesi della società?
«No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il Psi, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il Psi e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e Governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese».Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c’è o no?
«Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempi vedrà che in gran parte c’è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni – che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale – senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e senza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta».

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
«La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche»

Le cause politiche che hanno provocato questo sfascio morale: me ne dica una.
«Gli dico quella che, secondo me, è la causa prima e decisiva: la discriminazione contro di noi».

Non le sembra eccessivo, signor segretario? Tutto nasce dal fatto che voi non siete stati ammessi nel governo del Paese?
«Vorrei essere capito bene. Non dico che tutto nasca dal fatto che noi non siamo stati ammessi nel governo, quasi che, col nostro ingresso, di colpo si entrerebbe nell’Età dell’Oro (del resto noi non abbiamo mai chiesto l’elemosina d’esser “ammessi”). Dico che col nostro ingresso si pone fine a una stortura, a una amputazione della nostra democrazia e della dialettica democratica, della vita dello Stato; dico che verrebbe a cessare il fatto che per trentacinque anni un terzo degli italiani è stato discriminato per ragioni politiche, che non è mai stato rappresentato nel governo, che il sistema politico è stato bloccato, che non c’è stato alcun ricambio della classe dirigente, alcuna alternativa di metodi e di programmi. Il gioco è stato artificialmente ristretto al 60 per cento degli eletti in Parlamento. Oggi si parla della forza dei socialisti: ma è chiaro che, con un gioco limitato al 60 per cento della rappresentanza parlamentare, i socialisti si vengano a trovare in una posizione chiave».

Questo le dispiace?
«Mi sembra un gioco truccato, oltre al fatto che bisogna vedere come il Psi sta usando questa posizione chiave di cui gode anche grazie alla nostra esclusione. Per esempio, potrebbe usarla proprio per rimuovere la pregiudiziale contro di noi. A quel punto le possibilità di ricambio, cioè di una reale alternativa – e, nel suo ambito, anche di un’alternanza – sarebbero possibili, sarebbero a vantaggio generale e, a me sembra, a vantaggio dello stesso Psi, in quanto partito che ha anch’esso una sua insostituibile funzione nel rinnovamento del paese. Oppure, i socialisti possono seguitare a usare la loro posizione per accrescere il potere del loro partito nella spartizione e nella lottizzazione dello Stato. E allora la situazione italiana non può che degradare sempre più».

Dica la verità, signor segretario lei ritiene che i socialisti stiano seguendo piuttosto questa seconda via, non la prima.
«Ebbene, non sono io che lo penso, sono i fatti a dircelo. Nel ’77 i socialisti si impegnarono a rimuovere la pregiudiziale democristiana contro di noi. Nel ’78 ripeterono l’impegno, ma al primo veto della Dc, l’accettarono come un dato immutabile. Badi bene: non dico che dovevano farlo per i nostri begli occhi. Ma se il problema di fondo della democrazia italiana è, come anch’essi riconoscono, la mancanza di un ricambio di classe dirigente, capace di avviare un rinnovamento reale e profondo, dovevano farlo per se stessi e per il paese. Nell’80, poi, hanno addirittura capovolto la loro linea e, da una timida richiesta di far cadere le pregiudiziali anticomuniste, sono passati all’alleanza con la destra democristiana, quella del “preambolo”, cioè della più ottusa discriminazione contro di noi e della divisione del movimento operaio. I socialisti pensano di crescere più in fretta al riparo di una linea come quella del “preambolo”. Io non credo che sarà così.
«Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia, la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude».

Craxi sostiene che il problema, prima ancora del ricambio della classe dirigente e di governo, è quello di un mutamento dei rapporti di forza a sinistra, tra socialisti e comunisti. Craxi dice: datemi forza, più forza; fate arrivare il Psi al 18, al 20 per cento. Allora insieme ai socialdemocratici, l’area socialista e quella comunista saranno più o meno equivalenti, e allora sarà possibile anche allearsi con il Pci, perché, allora saremmo noi socialisti a condurre il gioco e a garantirne le regole. Craxi si richiama all’esempio di Mitterand, che ha vinto perché è diventato più forte dei comunisti. Credo che sia questo il suo obiettivo. A quel punto sarà pronto ad allearsi con voi, ma non prima.
«Sì, lo so che nel partito socialista c’è chi pensa in questo modo. Ma, poiché è stato tirato in ballo Mitterand, voglio farle osservare che Mitterand entrò nella Sfio, il vecchio partito socialdemocratico francese, quando la Sfio era ridotta al 6 per cento di voti, mentre il partito comunista francese stava sopra il 20. Ebbene, Mitterand trasformò la Sfio, spazzò via la vecchia burocrazia d’apparato, aprì ai clubs, al sindacato, ai cattolici; ma soprattutto, cercò subito una linea unitaria a sinistra con il partito comunista francese, sebbene il Pcf fosse un partito – diciamolo – alquanto diverso dal nostro.
«Mitterand non ha aspettato d’essere più forte del Pcf per ricercarne l’alleanza. In queste ultime elezioni presidenziali, durante il dibattito televisivo con Giscard, Mitterand disse: io non escluderò mai dal governo la classe operaia francese e un partito, come il Pcf, che ne rappresenta una parte. L’ha detto e l’ha anche fatto. E ha risposto agli americani con la dignità che conosciamo. Io dico che forse proprio per questo la forza socialista francese è cresciuta fino a diventare maggioritaria nella sinistra».

La posizione di Mitterand è stata anche una posizione obbligata. Obbligata dal sistema costituzionale ed elettorale francese.
«Ma no, non è affatto vero. C’è stato Rocard che ancora poco tempo fa proponeva una linea del tutto diversa: proponeva una specie di centro-sinistra, l’alleanza con una parte dei centristi-giscardiani. Il partito socialista francese ha vinto sulla linea di Mitterand, non su quella di Rocard».

Però, signor segretario, Mitterand, appena eletto, s’è affrettato a fare una dichiarazione di pieno atlantismo. In particolare, a proposito della questione degli euromissili, ha detto d’essere favorevole alla loro installazione. Lei non ha mai detto nulla di simile. Tra le caratteristiche del vostro essere diversi non ci sarà per caso anche una tendenza al neutralismo europeo, che invece i socialdemocratici europei respingono in blocco?
«Lei adesso sposta il confronto fra la politica dei socialisti francesi, dei socialisti italiani e lo nostra su un altro tavolo, sulle questioni di politica internazionale. Ma la seguo volentieri. E le dirò, allora, che non mi persuadono le ultime dichiarazioni di Mitterand, ma che noi comunisti italiani possiamo condividere la dichiarazione sugli euromissili che figura nel programma del nuovo governo francese e che è stata sottoscritta sia dal partito socialista che da quello comunista. Essa, in sostanza, non chiede che l’America cessi di costruire i suoi Pershing 2 e i Cruiser, cioè gli euromissili più moderni che vuole installare in Europa a partire dal 1983. Ma intanto si dia inizio immediato al negoziato per diminuire i missili in Europa, anzi per toglierli completamente, e l’Urss cessi l‘installazione dei suoi SS20 fin dal momento in cui il negoziato ha inizio. E io aggiungo che bisogna far presto, perché se continuerà la gara a chi costruisce più missili, a chi li fabbrica più sofisticati e a chi ne mette di più; il pericolo di una guerra di sterminio in Europa diventerebbe incontrollabile.
«Questa è la posizione che risulta dall’accordo tra i socialisti e i comunisti francesi, e analoga mi sembra la posizione del partito socialdemocratico tedesco; ed è la nostra posizione. Mi piacerebbe sapere se è anche la posizione del Governo italiano e dei compagni socialisti italiani. Del resto l’adesione dell’Italia al programma approvato dalla Nato nel dicembre 1979 (quando si decise sugli euromissili) era subordinata appunto alla ripresa immediata del negoziato. Quale decisione fu votata anche dai socialisti. Oggi la possibilità di un negoziato – e di un negoziato senza condizioni – è aperta. Che cosa dicono e che cosa fanno il Governo e i partiti che lo sostengono di fronte alla testarda repulsa di Reagan a dare inizio alle trattative con l’Urss?»

Onorevole Berlinguer, vorrei che adesso lei mi parlasse dello stato del suo partito. C’è una perdita di velocità? Una perdita di influenza?
«Direi che abbiamo girato la boa e siamo di nuovo in ripresa. Sinceramente. Dopo le politiche del ’79 rischiammo una sconfitta che poteva metterci in ginocchio. Non tanto per la perdita di voti, che pure fu grave, quanto per un altro fatt durante i governi di unità nazionale noi avevamo perso il rapporto diretto e continuo con le masse. Quei governi fecero anche cose pregevoli, che non rinneghiamo. Contennero l’inflazione, in politica estera presero qualche buona iniziativa, la lotta contro il terrorismo fu condotta con fermezza e dette anche risultati. Poi ci fu un’inversione di tendenza e gli accordi con noi furono violati. Ma sta di fatto che noi, anche per nostri errori di verticismo, di burocratismo e di opportunismo, vedemmo indebolirsi il nostro rapporto con le masse nel corso dell’esperienza delle larghe maggioranze di solidarietà. Ce ne siamo resi conto in tempo. Posso assicurarle che un’esperienza del genere noi non la ripeteremmo mai più».

La rottura della maggioranza d’unità nazionale provocò contrasti nel gruppo dirigente del partito?
«Ci furono diverse opinioni e il dibattito durò a lungo».

Più tardi, pochi mesi fa, avete lanciato la linea dell’alternativa democratica. Posso ricordarle, signor segretario, che lei e il gruppo dirigente del suo partito eravate stati tenacemente contrari ad ogni discorso di alternativa, fino a quando vi siete improvvisamente «convertiti». Come mai?
«C’è stato forse un certo ritardo. Ma ricordo che già da tempo noi definivamo l’obiettivo dell’alternativa come alternativa democratica per distinguerla da quella di una secca alternativa di sinistra, per la quale non esistono tuttora le condizioni. Posso aggiungerle che avevamo anche puntato sulla possibilità che la Dc potesse davvero rinnovarsi e modificarsi, cambiare metodi e politica, decidersi a porsi all’altezza dei problemi veri del paese. Non ho difficoltà a dire che su questo punto abbiamo sbagliato, o meglio che i mezzi usati non conseguivano lo scopo. Quando ce ne siamo resi conto, abbiamo messo la Dc con le spalle al muro, cioè abbiamo detto che una simile Dc era incapace di dirigere l’opera di risanamento e di rinnovamento necessaria, e che si facesse da parte. L’alternativa democratica è per noi uno strumento che può servire anche a rinnovare i partiti, compresa la Dc».

Lei dice che, come forza e influenza, il Pci ha girato la boa. Da dove lo deduce?
«Dai risultati elettorali dell’80 e soprattutto dall’81. In generale abbiamo recuperato una buona parte dei voti operai, giovanili e popolari che non ci erano stati confermati nel ’79. E abbiamo certamente esteso i consensi fra le masse femminili. E anche il voto a noi dei ceti medi non è diminuito, mediamente. Il nostro rapporto con le masse, anche se non è ancora soddisfacente, è in netto miglioramento. Avanziamo nelle grandi città».

Non nel Mezzogiorno.
«È vero, qui è il punto debole e non si tratta di cosa di poco conto. Nel Sud la situazione è più difficile, anche perché i condizionamenti clientelari sono più forti e noi non riusciamo a contrastarli con efficacia. Ma nell’80 abbiamo migliorato le posizioni a Napoli e a Taranto. Nell’81 abbiamo avanzato a Ragusa. Certo, in Puglia la sconfitta è stata grave e anche in diverse altre realtà del Sud siamo andati indietro o siamo rimasti fermi. Ma, complessivamente, la risalita è cominciata. E questa volta parta da una base consolidata che sta sopra il 30 per cento e che avviene in presenza di una crisi della Dc e del suo sistema di potere come mai si era vista».

Quali caratteristiche ha questa crisi secondo lei?
«Intanto vorrei ricordare le tre diverse sconfitte subite dalla Dc, negli ultimi tre mesi. C’è stata la sconfitta nel referendum sulla legge per l’aborto, la sconfitta elettorale del 21 giugno, la perdita della presidenza del consiglio, e cioè: una sconfitta ideale e culturale, una sconfitta politica, una sconfitta di leadership. Il 17 maggio si è visto che nel 68 per cento dei “No” nel referendum ci sono democristiani e cattolici che hanno voltato le spalle alla Dc. Il 21 giugno s’è visto che in tutte le grandi città la Dc è in declino, in molte è sotto al 30 per cento, in alcune è poco al di sopra del 20: un partito, cioè, di media forza. La Dc non è più il partito di maggioranza relativa in quasi tutti i comuni al di sopra dei 5000 abitanti. Sono novità quanto mai significative, se non traumatiche. La verità è che ormai questa Dc è un partito senza strategia, senza idee, senza progetto, senza leaders. I suoi rapporti con lo stesso mondo delle organizzazioni cattoliche e persino con il complesso della gerarchia ecclesiastica è fortemente in crisi. Ne vuole un esempio? L’Episcopato, fino ai sommi gradi, si impegnò a fondo nel referendum per l’aborto, ma poco o niente nelle elezioni comunali di Roma».

Vuole indicare secondo lei le cause di questa decadenza?
«È la questione morale che oggi divora la Dc, come divora le istituzioni. E, andando più al fondo, è la insuperata discriminazione contro di noi, sulla quale ha finora retto il sistema politico e di potere della Dc, che oggi si sgretola. L’ultima edizione della politica di preclusione contro il Pci – il “preambolo” – ha consegnato la Dc alla sua destra interna e alle alleanze che questa preferisce, ma che la consumano, che la rendono più arrogante, ma più debole. Le conseguenze si vedono. Nelle città fasce di strati sociali hanno abbandonato la Dc: strati di lavoratori, di giovani, di donne, di medio ceto, di borghesia, di imprenditori, di professionisti. Questi non credo siano voti “in libera uscita”: sono voti che difficilmente rientreranno in “caserma”».

Il governo Spadolini è una novità…
«Ho detto che è una delle sconfitte più brucianti per la Dc…».

Ma voi sembrate assai tiepidi verso questo esperimento. Perché?
«Siamo stati I primi e, all’inizio, i soli a chiedere che alla presidenza del Consiglio andasse una personalità non democristiana. Ed è significativo che questa personalità sia proprio Spadolini, perché è stato lui e il suo partito che, insieme a noi, hanno sollevato con maggiore energia la questione morale e lo scandalo della P2. Anche sul problema dell’indipendenza della magistratura Spadolini è stato assai fermo e gliene va dato atto. Del resto, sono bastati questi limitati segnali per creare nervosismo all’interno della maggioranza, nella quale si sente già parlare di nuova crisi e di fine prematura della legislatura. Anche la nomina dei vertici militari e dei servizi di sicurezza è avvenuta per iniziativa prevalente del presidente del Consiglio e ciò ha accentuato il malessere nella Dc».

Dunque, un giudizio positivo al cento per cento?
«Purtroppo no. Spadolini ci ha deluso molto quanto ai criteri seguiti nella formazione del governo, che sono stati quelli della lottizzazione fra i partiti e le loro correnti interne, esattamente come sempre. Non c’è stato si questo punto il benché minimo segnale di mutamento, una distinzione, un’autonomia del presidente del Consiglio dalle segreterie dei partiti, e tra governo e partiti…»

Lei sperava che Spadolini adottasse in qualche modo la proposta Visentini di un governo sganciato dai condizionamenti dei partiti?
«Speravo che almeno ci fosse qualche passo in quella direzione. E invece, alla fine, tutto si è svolto secondo le regole dl famigerato manuale Cencelli, il cui autore del resto – e non a caso – è nelle liste della P2».

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d’accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l’inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell’obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
«Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L’inflazione è – se vogliamo – l’altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l’una e contro l’altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l’inflazione si debba pagare il prezzo d’una recessione massiccia e d’una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

Il Pci, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell’ “austerità”. Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito. Forse, quando lei ha ricordato che il vostro rapporto con le masse si era indebolito, pensava al fallimento della vostra campagna per l’austerità e a certi provvedimenti impopolari da voi sostenuti?
«Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industrializzati – di fronte all’aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza – non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la “civiltà dei consumi”, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Voglio cogliere l’occasione di questa intervista per annunciare che il nostro partito ha deciso di fare della questione della lotta contro la droga uno dei punti essenziali del suo impegno politico e organizzativo.
«Ma dicevamo dell’austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell’economia, ma che l’insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l’avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell’austerità e della contemporanea lotta all’inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati. Né il Pci, né il movimento sindacale trovarono l’interlocutore politico che raccogliesse e utilizzasse quel messaggio…».

Che oggi, comunque, voi avete abbandonato addirittura in contrasto con una parte del movimento sindacale e dello stesso Lama.
«Favole. Oggi noi respingiamo – in pieno accordo con il movimento sindacale – l’idea che l’inflazione sia dovuta unicamente al costo del lavoro e che il costo del lavoro sia principalmente dovuto alla scala mobile. È diventata una vera ossessione questa della scala mobile, dietro la quale la classe dirigente tradizionale nasconde la sua impotenza a dominare la crisi».

L’inflazione avrà pure delle cause, non cade dal cielo…
«Certo che ce l’ha. E la prima viene dal dollaro. Un dollaro a 1.200 lire, mentre appena pochi mesi fa non raggiungeva le 800 lire, quanti punti di inflazione introduce nel sistema? Di quanto aumenta il costo di tutte le importazioni e in particolare del petrolio? È in aumento di quasi il 50 per cento, un fenomeno di dimensioni enormi. Il vertice di Ottawa anche da questo punto di vista è stato un falliment ma direi che è stato un fallimento da tutti punti di vista. E poi: abbiamo in Italia una bilancia agricolo-alimentare terribilmente deficitaria, ma non si è fatto e non si fa quasi nulla per trasformare e sviluppare l’agricoltura. Infine, la spesa pubblica: un cancro che divora le risorse del paese in mille modi, con mille sprechi, a favore di mille clientele».

Lei è favorevole ad un taglio radicale della spesa?
«Sì, ma credo sia indispensabile farlo in modo progressivo e selezionato».

In quali settori andrebbe realizzato il taglio?
«In buona parte va fatto anche nelle spese previdenziali e per la sanità. Allo stato attuale, è insensato che l’assistenza medica sia stata resa di colpo gratuita per tutti gli italiani (dopo di che si ritorna a un ticket applicato indiscriminatamente!). Sia gratuita, e con servizi efficienti per le fasce di reddito inferiori e medio-inferiori. Gli altri contribuiscano in ragione del loro reddito. Ma devono anche essere combattute e liquidate le baronie e le clientele dei “pirati della salute”, che portano a sprechi enormi e alimentano insopportabili discriminazioni. Lo stesso criterio dovrebbe valere per tutta la politica previdenziale, per le tariffe, per la politica fiscale».

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?
«Il costo del lavoro va anch’esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell’aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli – come al solito – ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può riuscire».

Signor segretario, a che punto siamo con il terrorismo?
«A un bruttissimo punto. Vede dove ci hanno portato i cedimenti ai terroristi? Con l’obiettivo – che voglio sperare in buona fede – di salvare una vita, si è ceduto ai ricatti delle Br, e così è st5ata alimentata la catena dei sequestri e di altri ricatti. Se quando fu rapito il giudice D’Urso le forze politiche avessero resistito, non avessero ceduto in nulla, le Br non sarebbe state incoraggiate a proseguire. Ora siamo arrivati al punto che l’”Avanti!” pubblica integralmente il testo dei loro messaggi e che per ottenere il rilascio di un ostaggio, viene addirittura pagato ai terroristi un riscatto, con il quale le Br miglioreranno il loro armamento e la loro azione eversiva. Tutto questo è intollerabile. È intollerabile che fra i partiti che fanno parte del Governo della Repubblica vi siano atteggiamenti contraddittori e oscillanti su un problema così vitale».

Si è detto da parte di autorevoli dirigenti sindacali che i terroristi si sono infiltrati persino nei quadri del sindacato.
«È molto probabile. Ma attenzione: ho l’impressione che queste denunce si pongano non tanto l’obiettivo di combattere il terrorismo quanto di dividere il sindacato e di infangare il nostro partito. Voglio essere assolutamente chiaro su questo punto. Che infiltrazioni terroristiche ci siano in alcune fabbriche siamo stati noi i primi e, per lungo tempo, i soli a dirlo. Il nostro compagno Guido Rossa fu ucciso proprio perché aveva rivelato ciò. Da qui a stabilire un collegamento politico-ideologico tra la lotta di classe, la lotta sindacale e il terrorismo ci corre un abisso. Che cosa si vuole? Criminalizzare i sindacati e i sindacalisti che organizzano le lotte? Questa è un’operazione infame e chi la tentasse va smascherato di fronte a tutto il movimento dei lavoratori».

Onorevole Berlinguer, qual è il suo giudizio sul congresso del partito comunista polacco?
«Assai positivo. I compagni polacchi hanno dimostrato di saper accogliere la spinta al rinnovamento che proviene da tutta la società polacca, in particolare della classe operaia e dalle sue rinnovate organizzazioni sindacali, e hanno condotto questa delicatissima operazione con coraggio e, insieme, con saggezza e prudenza. La situazione, tuttavia, rimane ancora difficile e complessa, e credo che lo sarà ancora a lungo».

Per l’elezione del comitato centrale del partito, il Congresso di Varsavia ha votato a scrutinio segreto e in piena libertà di scelta. Non c’erano liste prefabbricate…
«Vede? Non sempre i grandi fatti di rinnovamento democratico vengono dall’Occidente. In questo caso vengono dall’Est indicazioni importanti per lo sviluppo dei partiti operai di tutto il mondo».

Forse perché all’Est c’è quasi tutto da fare quanto a rinnovamento democratico. La domanda è questa, signor segretari il metodo di votazione adottato a Varsavia è assai più libero non soltanto rispetto a tutti gli altri partiti comunisti dell’Est, ma perfino rispetto al Pci. Non pensa lei che sia venuto il momento di muoversi nello stesso senso?
«Noi abbiamo una procedura complessa, ma quanto mai democratica per eleggere il comitato centrale, e in essa è previsto anche il voto segreto. Il nostro statuto stabilisce che la votazione segreta si effettui obbligatoriamente quando ne faccia richiesta appena un quinto dei delegati. Ma non poche volte, per eleggere gli organi dirigenti delle nostre organizzazioni, viene adottato il voto segreto».

E lei non crede che questo debba diventare norma generale?
«Non lo escludo affatto, e penso che se ne possa discutere. Ma perché lei pone a me questa domanda? Lo sa che gli altri partiti italiani, nei loro congressi, votano di norma, su liste di corrente bloccate?».

Lo so, ma non mi pare un buon motivo per imitarli. Siate diversi anche in questo, e sarà un’ottima cosa.
«Accetto l’invito. Voglio concludere con un’osservazione. Della Polonia si è parlato molto e giustamente in Italia, quando si temeva un intervento sovietico. Ora che il processo di rinnovamento socialista in Polonia è avviato, pur in mezzo a tante difficoltà, e l’intervento non c’è stato, sembra che l’argomento Polonia abbia perso interesse per molta stampa e per tanti politici e politologi. Come mai? Il “caso polacco” non serve più per alimentare la polemica contro di noi? Quanti pregiudizi ci sono ancora, quanti errori, quanti tabù! Un giornalista invitò una volta a turarsi il naso e a votare Dc. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?»

Eugenio Scalfari

ESCLUSIVA – Gabigol al Napoli? Questi gli ultimi sviluppi

Questi i dettagli raccolti in esclusiva

L’attacco, l’attaccante, questo è quello che cerca il Napoli, questo è quello che serve al Napoli. Uno dei nome al quale ha pensato il Napoli è Gabriel Barbosa Almeida, attaccante brasiliano classe 1996 meglio conosciuto col soprannome di Gabigol. Diciamo subito che l’attaccante con ogni probabilità si vestirà con la stessa maglia di Gonzalo Higuain. I brasiliani, proprietari del cartellino, del Santos (detentore di parte del cartellino del ragazzo assieme alla famiglia e al fondo Doyen sports), secondo quanto raccolto in esclusiva dalla redazione di Vivicentro.it, il Santos ha giocato al rialzo con il Napoli. La prima richiesta era di 30 mln di euro, salita nel giro di poco tempo a 50 mln, spiazzando, di fatto, gli azzurri e Cristiano Giuntoli che ha deciso di abbandonare la pista.

a cura di Ciro Novellino

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ESCLUSIVA – Darmian piace al Napoli, ma come la prenderebbe Hysaj?

Questi i dettagli raccolti dalla redazione di Vivicentro.it

Le vie del mercato sono infinite e il Napoli cerca rinforzi da regalare a Maurizio Sarri. I ruoli scoperti li si conscono e, oltre all’attaccante, resta da sciogliere i dubbi anche sull’esterno. La voce delle ultime ore riguarda la permanenza in azzurro di Christian Maggio visti i rifiuti per Donati e il no per infortunio a Santon. Il nome caldo è quello di Matteo Darmian, ma, secondo quanto raccolto in esclusiva dalla redazione di Vivicentro.it, difficilmente potrà portare ad una fumata bianca dopo l’esperienza con la maglia del Manchester United. Il calciatore percepisce 2,5 mln di euro in Inghilterra e potrebbe creare problemi per il rinnovo, ormai vicino, di Elseid Hysaj che percepirà cifre più basse.

a cura di Ciro Novellino

RIPRODUZIONE RISERVATA

Parola di Cassazione: è valido anche il matrimonio celebrato online

La Corte di Cassazione, nel corso degli anni, ci ha assuefatti a decisioni che, diciamo, ci appaiono da “choc” (o shock) su Pedofilia, Violenza su Donne, Anziani ecc ecc, finanche omicidi per cui, una sentenza come quella che ha sancito la validità di un matrimonio celebrato via Skype tra una bolognese, di San Giovanni in Persiceto, ed un pakistano, alla fin fine fa solo sorridere anche se apre la mente, a chi volesse, a tante domande, alcune bizzarre (a quando la procreazione via WA per interposta persona ed il riconoscimento di paternità o maternità?); altre un tantino più inquietanti: un facile passaporto anche per jihadisti e/o manovalanza delinquenziale in genere? E già, perché ora il pakistano, con tutto il rispetto e la stima possibile per il caso e le persone specifiche, sarà dotato di un regolarissimo passaporto italiano e, come lui, potranno tanti altri frutto di “combine” per niente chiare e lecite, e poi con il passaporto così facilmente ottenuto potrà arrivare a Fiumicino in pompa magna e con tutte le carte in regola, altro che perigliose traversate con scafisti et similia.

E dire che poi, sempre in Italia, convoglianti e autorità presenti (dopo pubblicazioni ed iter burocratici vari) si deve passare anche il vaglio della verifica di “vero matrimonio” e non di mercimonio dello stesso ed ora? Ora arriva la Cassazione e, per dirla alla Totò: ……….. (chi vuole intendere già conosce), ti sancisce la validità del matrimonio via web e quindi inaugura quello che si può definire il Matrimonio 2.0

Ripeto, ben altre ne ha combinate (chiaramente secondo il vedere di un cittadino qualsiasi, ma nemmeno tanto ignorante) la Cassazione per cui questa può apparire irrisoria e da riderci sopra ma, così potrebbe non essere.

Ma leggiamo come ne ha dato notizia Agv News rendendo nota quest’ultima sentenza:

Sacerdote e sindaco sono passati di moda: ecco il matrimonio via Skype

La Corte di Cassazione ha sancito la validità dell’unione tra una donna italiana di San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, ed un uomo pakistano, avvenuta tramite una diretta video online
Sposarsi via Skype potrebbe essere, per i più, una cosa di dubbio gusto e certamente impossibile. Trascurando la sua questione riguardante la morale, in Italia, un matrimonio celebrato online in video può essere valido? Secondo la Corte di Cassazione sì. Ha infatti affermato la validità dell’unione tra una donna italiana di San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, ed un uomo pakistano, avvenuta, appunto, su Skype.
L’ufficiale dello stato civile si era opposto alla trascrizione dell’atto di matrimonio, in quanto la modalità di celebrazione era da ritenersi in contrasto con l’ordine pubblico, facendo riferimento al principio fondamentale dell’ordinamento italiano secondo cui “la contestuale presenza dei nubendi dinanzi a colui che officia il matrimonio, anche al fine di assicurare la loro libertà nell’esprimere la volontà di sposarsi”. Tuttavia, il matrimonio risulta celebrato in linea con le norme pakistane e dunque è di ritenersi valido anche in Italia, poiché “il matrimonio celebrato all’estero è valido nel nostro ordinamento, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento” (art. 28 della l. 218/1995) e che “se l’atto matrimoniale è valido per l’ordinamento straniero, in quanto da esso considerato idoneo a rappresentare il consenso dei nubendi in modo consapevole, esso non può ritenersi contrastante con l’ordine pubblico solo perché celebrato in una forma non prevista dall’ordinamento italiano”, come ricordano gli Ermellini.La Cassazione, come già la Corte di Bologna ha dunque riconosciuto la validità del matrimonio, respingendo la richiesta di annullamento presentata dal Viminale.
Un caso simile è avvenuto in Galles a luglio. Nel giorno della prima semifinale di Uefa Euro 2016, quella che ha visto affrontarsi il Portogallo di Cristiano Ronaldo, poi vincitore della manifestazione, ed il Galles di Gareth Bale, il terzino destro della Nazionale d’Oltremanica Chris Gunter avrebbe dovuto fare da testimone al matrimonio di suo fratello, che aveva scelto la data senza immaginare che il Galles potesse arrivare così avanti nel torneo. Chris ha così fatto il discorso agli sposi via Skype ed è poi andato a giocare la sua partita davanti ai suoi genitori: sì, i coniugi Gunter hanno preferito assistere ad un semifinale probabilmente più unica che rara piuttosto che presenziare al matrimonio dell’altro figlio, che a sua volta, ha dichiarato Chris, «avrebbe saltato volentieri il matrimonio pur di vedere la mia gara».

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Per rispondere al terrore ci vuole metodo e rieducazione

Lorenzo Vidino, nell’articolo apparso oggi su la Stampa dice che, per rispondere al terrore ci vuole metodo ed elenca due priorità:

  1. aumentare le forze anti-terrorismo, altrimenti è inutile pretendere maggiore attenzione;
  2. lavorare sulla reintegrazione dei jihadisti.

L’articolo è titolato: Europa, serve una nuova strategia per rieducare gli jihadisti.

Leggiamolo:

Più controlli e integrazione: ecco che cosa possono fare gli Stati per impedire altri massacri senza snaturare secoli di civiltà

«Erano noti alle autorità». Dopo l’atroce attacco nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray si è diffusa la notizia che gli attentatori, come prima di loro quelli di Parigi, Orlando, Ansbach e molti degli altri posti che sono stati di recente insanguinati dalla follia jihadista, erano già stati in qualche modo «attenzionati». Anzi, nel caso specifico uno dei due, Adel Kermiche, che a soli 19 anni era il più vecchio del mini-commando, era stato da poco rilasciato per decorrenza dei termini.

Il giovane era stato detenuto per i suoi tentativi di unirsi allo Stato islamico e indossava un braccialetto elettronico. Il suo caso era andato ad arricchire la folta schiera (più di diecimila) dei «Fichier S», i files che i servizi francesi tengono sui soggetti radicalizzati.

È una dinamica comune a tutta Europa, sia a Paesi nell’occhio del ciclone del terrorismo come la Francia sia a quelli, come il nostro, che sebbene vedano un numero crescente di casi di radicalizzazione, fortunatamente non sono toccati dal fenomeno con la stessa intensità. Le forze anti-terrorismo di ogni Paese europeo sono a conoscenza di migliaia di casi di soggetti che danno chiari segnali di estremismo, siano essi una semplice frequentazione di siti jihadisti o, in casi più avanzati, contatti con ambienti o gruppi jihadisti e perfino esperienze precesse di combattimento e condanne. Ma questi comportamenti non rappresentano di per sé un crimine passibile di arresto. Giustificano un’attenzione elevata, che però le forze di polizia e intelligence europee, stremate dal numero elevatissimo di casi, non riescono sempre a prestare. Se poi aggiungiamo che spesso il passaggio dall’estremismo da tastiera, cioè dal passare le giornate su siti jihadisti, all’azione avviene in maniera fulminea e imprevedibile, si spiegano casi come quelli di Saint-Etienne-du-Rouvray. Giusto scandalizzarsi per le inefficienze dell’anti-terrorismo (e ce ne sono state tante di recente, si badi bene), ma bisogna capire tra che paletti si muovono.

LEGGI: Anche il Papa ne ha preso atto e lancia l’allarme: ”Il mondo è in guerra”

DOPO CHARLIE HEBDO  

Cosa fare allora? All’indomani di attentati c’è sempre chi invoca misure draconiane, in sostanza arrestare qualsiasi persona che abbia dato segnali di estremismo. Si fa in certi Paesi mediorientali, dove una parola sbagliata porta alla prigione senza condanna, ma menti fredde capiscono che un tale approccio comporterebbe lo snaturamento di secoli di civiltà del diritto occidentale. È chiaro che vanno aumentati gli effettivi per potenziare le capacità di monitoraggio, cosa che i francesi hanno fatto subito dopo Charlie Hebdo (gli agenti vanno però addestrati e ci vorrà del tempo prima di vedere i frutti della mossa). Ma ci si rende sempre più conto che le tattiche tradizionali dell’anti-terrorismo non bastano e soluzioni alternative sono necessarie.

È in tal senso che verte il Piano di Azione contro Radicalizzazione e Terrorismo recentemente varato dal governo francese. Il Piano prevede l’istituzione di dodici centri di reintegrazione per jihadisti da aprirsi nei prossimi mesi. Alcuni hanno come obiettivo il recupero di soggetti «sotto monitoraggio in quanto vulnerabili alla radicalizzazione» attraverso un doppio canale: da una parte attività di «de-indottrinamento» attraverso percorsi con psicologi e psichiatri, dialoghi di gruppo su temi come la religione e la geopolitica, e infine un lavoro individuale con l’obiettivo di allontanare gli individui da influenze radicali; dall’altra prevede una formazione professionale e dei tirocini. Altri centri saranno specificamente destinati a foreign fighters di ritorno.

MODELLO DANIMARCA  

Il nuovo programma francese è ispirato a modelli già usati in vari Paesi mediorientali ed europei. Nella città danese di Aarhus, per esempio, le autorità hanno da anni creato un programma per il reinserimento dei jihadisti che sono tornati in Danimarca dopo aver combattuto in Siria. I primi risultati paiono positivi e nessuno dei circa 30 soggetti sottoposti al programma si è macchiato di attività terroristiche dopo essere ritornato in patria.

Non sono certo buonismo e ingenuità che spingono le autorità danesi o francesi a vedere non solo un potenziamento dell’apparato anti-terrorismo ma anche l’introduzione di misure volte alla prevenzione della radicalizzazione e alla reintegrazione come possibili soluzioni alle crisi che stiamo vivendo. Non è possibile monitorare ogni Adel Kermiche d’Europa 24 ore su 24 – anche se si potesse legalmente non esistono le risorse per farlo. Né lo si può tenere in carcere ad aeternum senza che abbia compiuto un crimine. Possono il tipo di interventi previsti dal nuovo piano francese o dalla città di Aarhus convincere i vari Kerniche d’Europa a non seguire le sirene del Califfato? In certi casi sì, come varie esperienze dimostrano. In altri no, come nel caso di un jihadista tedesco recentemente coinvolto in un attacco contro un tempio Sikh a Essen nonostante fosse sottoposto a un programma di de-radicalizzazione. Ma visto che l’alternativa è lasciare i Kerniche d’Europa a se stessi, un tentativo di de-radicalizzazione appare la soluzione più sensata.

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RILEGGI LIVE – Dimaro, seduta mattutina: squadra in campo!

Segui il nostro LIVE da Dimaro

11:00 – Fine

10:47 – Si provano gli schemi da palla da fermo

10:21 – Gruppo ancora diviso in due squadre, si lavora tatticamente sugli schemi per la gara di questa sera

10:03 – Gruppo diviso in due, si lavora atleticamente sulla pista di atletica

09:50 – Squadra in campo

09:34 – Ecco Insigne, anche lui in palestra, mentre Giaccherini e Mertens rientrano negli spogliatoi

09:18 – Lo staff di Sarri prepara il percorso per il lavoro di oggi

09:12 – Anche Albiol si dirige in palestra

09:08 – Anche Mertens e David Lopez si dirigono in palestra

Buongiorno e benvenuti alla diretta testuale della seduta di allenamento di oggi. Vivicentro.it vi aggiornerà in tempo reale.

dal nostro inviato a Dimaro, Ciro Novellino

UFFICIALE – Juve Stabia, la difesa si rafforza con Camigliano

Arriva l’ufficialita dell’approdo alla Juve Stabia di Agostino Camigliano

In poche ora la difesa della Juve Stabia è stata quasi completata. Il lavoro del D.S. Logiudice, affiancato ormai stabilmente da Ciro Polito, che si sta disimpegnando molto bene nel ruolo di assistente del direttore sportivo, ha portato in meno di 24 ore a tre difensori di livello che hanno rimpinguato una retroguardia che aveva assoluto bisogno di innesti.

Nella giornata di ieri sono arrivati in ritiro a Gubbio Federico Amenta e Santiago Morero (CLICCA QUI) mentre nella tarda serata di ieri è arrivato il comunicato che sancisce l’arrivo alla Juve Stabia di Agostino Camigliano.

Camigliano è un difensore classe 1994, di proprietà dell’Udinese, e che può vantare già una discreta esperienza in Serie B. In cadetteria ha infatti vestito le maglie di Trapani, nella scorsa stagione, Cittadella, Entella e Brescia. Camigliano vanta anche un discreto numero di presenze con la Nazionale Under 20 (la foto si riferisce ad una sua apparizione con la maglia azzurra). La difesa delle Vespe si compone quindi di un altro innesto di qualità, stavolta maggiormente di prospettiva rispetto agli acquisti che lo hanno preceduto.

Riportiamo il comunicato della Juve Stabia:

S.S. Juve Stabia rende noto che è stato raggiunto l’accordo per l’acquisizione, in prestito dall’Udinese Calcio, delle prestazioni sportive del difensore Agostino Camigliano, classe 1994.
Il difensore, nato a Segrate (MI) e formatosi calcisticamente nel settore giovanile del Brescia, vanta nel suo curriculum 33 presenze in Serie B, con le maglie di Brescia, Virtus Entella, Cittadella e Trapani, formazione alla quale è arrivato in prestito a febbraio 2016 dall’Udinese, proprietaria del suo cartellino a partire dalla scorsa stagione.
Appena giunto a Gubbio, sede del ritiro gialloblù, Camigliano ha dichiarato: “Entro a far parte di una rosa molto competitiva, saprò dare il mio contributo. Sono giovane, è vero, ma ho già un po’ di esperienza e non vedo l’ora di scendere in campo. So che ci attende un campionato impegnativo, ma noi siamo la Juve Stabia e dobbiamo far valere la nostra Storia”.
S.S. Juve Stabia

Raffaele Izzo

Il Napoli celebra i 90 anni, ma rischia di essere un flop

I dettagli

Nessuna presentazione ufficiale della squadra a Dimaro-Folgarida, per la delusione dei tifosi arrivati fino in Val di Sole: il tutto è stato spostato in occasione dell’amichevole dell’1 agosto a San Paolo col Nizza. La Gazzetta dello Sport riferisce che sono soltanto duemila i biglietti staccati per l’amichevole di lunedì, inoltre “mancheranno parecchi ex giocatori che erano dati presenti all’evento, semplicemente perché la società ha diramato solo ieri gli inviti e per molti di loro mancano i tempi tecnici per raggiungere Napoli in tempo”. Non ci sarà nemmeno Diego Armando Maradona, per impegni già presi in precedenza: “notizie strappate in un clima di semiclandestinità, un muro di silenzio che stride con la passione e l’entusiasmo di una città che respira calcio 24 ore al giorno”.

Anche il Papa ne ha preso atto e lancia l’allarme: ”Il mondo è in guerra”

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”Il mondo è in guerra”, questa l’accorata denuncia che il Papa fa sull’aereo che lo portava in Polonia per la Giornata mondiale della gioventù. Papa Francesco parla dell’uccisione del prete in Francia da parte di due jihadisti del Califfo e dice: “Quella che stiamo vivendo non è una guerra di religione” e “Quando parlo di guerra intendo guerra sul serio, non di guerra di religione. Parlo di guerre di interessi, per soldi, per le risorse della natura, per il dominio dei popoli”. Poi rimarca ancora: “È una guerra a pezzi. C’è stata quella del 1914, con i suoi metodi, poi quella del 1939-45 e adesso questa”.

Le parole del Papa sono oggetto dell’articolo odierno dell’inviato della Stampa, Andrea Tornielli, nel quale mette in evidenza dei punti importanti e salienti

Francesco: “Il mondo è in guerra, ma non di religione”

Il Papa sul volo parla dell’omicidio del sacerdote francese: conflitto per interessi e per soldi

«Il mondo è in guerra» ma quella che stiamo vivendo «non è una guerra di religione». Lo ha detto Papa Francesco incontrando i giornalisti che viaggiano con lui verso Cracovia. Padre Federico Lombardi ha chiesto al Pontefice un commento sul terribile omicidio del sacerdote francese.

«La parola che si ripete tanto è “sicurezza” – ha detto Bergoglio – ma la vera parola è “guerra”. Il mondo è in guerra, guerra a pezzi. C’è stata quella del 1914, con i suoi metodi, poi quella del 1939-45 e adesso questa».

«Non è tanto organica – ha continuato Francesco – ma organizzata sì. Ma è guerra. Questo santo sacerdote, morto proprio nel momento in cui offriva la preghiera per la pace. Lui è uno, ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini… Pensiamo alla Nigeria, per esempio. Diciamo: ma quella è l’Africa! È guerra. Noi – ha continuato il Papa – non abbiamo paura di dire questa verità, il mondo è in guerra perché ha perso la pace».

Francesco ha rivolto un pensiero ai giovani della Gmg: «La gioventù sempre ci dice speranza. Speriamo che i giovani ci dicano qualcosa che sia un po’ più di speranza in questo momento». Il Papa ha anche ringraziato per le condoglianze ricevute, «in modo speciale per quelle del presidente della Francia», Hollande, «come un fratello».

Dopo aver salutato uno a uno i giornalisti, Francesco ha ripreso il microfono, per non lasciare fraintendimenti: «una sola parola vorrei dire per chiarire: quando parlo di guerra intendo guerra sul serio, non di guerra di religione. Parlo di guerre di interessi, per soldi, per le risorse della natura, per il dominio dei popoli».

«Non parlo di guerra di religione. Le religioni – ha concluso – tutte le religioni, vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri. Capito!».


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Gabbiadini-Napoli, faccia a faccia per il futuro

I dettagli

Manolo Gabbiadini resta oppure no? Al momento non è qualcosa che si può definire con certezza, eppure nelle scorse ore il suo agente Silvio Pagliari è stato a Dimaro-Folgarida per incontrare la società e capire un po’ quelli che sono i programmi per il futuro. La Gazzetta dello Sport scrive: “Gabbiadini è disponibile a restare e, senza la presenza ingombrante del Pipita, è convinto di potersi giocare le proprie chance per un posto da titolare qualora non venga acquistato un altro goleador”.

Affare Icardi, il Napoli insisterà fino a lunedì

I dettagli

Oltre ad Arkadiusz Milik potrebbe arrivare anche Mauro Icardi. La Gazzetta dello Sport prova a fare il punto della situazione e pone una deadline per la trattativa fissata a lunedì: fino ad allora il Napoli proverà ad insistere con l’Inter per l’argentino“.

Sarà difficile, tuttavia, convincere Erick Thohir e la Suning a cedere, nonostante lo stesso calciatore stia provando a forzare la mano per un trasferimento o per un rinnovo contrattuale: “Per adesso nemmeno l’offerta di 60 milioni cash (oppure 35 più Gabbiadini) ha convinto l’Inter ad intavolare una trattativa”.