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New York – New Jersey, ‘cellula attiva’: 5 fermi. Nuovi ordigni a New Jersey

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Uno zaino con cinque dispositivi è stato ritrovato nella stazione dei treni di Elizabeth. Altre tre “pipe-bomb” ritrovate, sempre in New Jersey, in bidoni spazzatura. Secondo le autorità, possibile cellula terroristica in azione nella zona. Le autorità federali e locali statunitensi sono al lavoro per indagare. Arrestati i sospetti delle esplosioni che hanno ferito 29 persone.

Mentre New York ancora si interroga sul movente dell’esplosione avvenuta nella notte tra sabato e domenica, che ha ferito 29 persone e mirava “a provocare più danni possibile” altri ordigni, fino a cinque, sono stati ritrovati in una stazione ferroviaria nel New Jersey e uno è esploso durante i tentativi di disinnescarlo.

Il sindaco della città Chris Bollwage, intervistato dalla CNN, ha detto che, secondo lui, “chiunque abbia gettato lo zaino cercava di sbarazzarsene, non si tratta di una zona particolarmente congestionata”. Intanto il traffico locale e’ fortemente sovvertito. La societa’ che gestisce i collegamenti, New Jersey Transit, ha sospeso i servizi tra l’aeroporto Newark Liberty Airport ed Elizabeth e mentre i treni diretti ad Amtrak New Jersey sono stati fermati a New York Penn Station.

Gli ordigni sono stati ritrovati intorno alle 21.30 da due senza tetto che stavano rovistando nel bidone della spazzatura e non erano pronti ad esplodere visto che non sono stati trovati telefoni cellulari o dispostivi collegati alle bombe. Per il momento non è chiaro nemmeno se l’incidente di Elizabeth sia in qualche modo collegato con la deflagrazione dell’ordigno collocato sempre in un bidone della spazzatura nei pressi di un ente benefico a Chelsea, New York, che ieri ha provocato il ferimento di 29 persone o nell’altro incidente sempre in New Jersey dove sono stati scoperti tre dispositivi collocati all’interno di tubi e collegati tra loro con dei fili (pipe-bomb), che tuttavia non hanno provocato problemi. La bomba collocata ad Elizabeth è stata comunque neutralizzata con l’aiuto degli artificieri che hanno fatto detonare l’ordigno in modo controllato. Secondo le autorità americane, a quanto riferisce la Nbc, potrebbe esserci una cellula terroristica in azione con molti componenti attivi proprio nell’area di New York e del New Jersey.

L’esplosione nel New Jersey arriva in concomitanza con l’arresto di cinque persone per l’esplosione di New York, notizia rilanciata dai media americani, ma ancora non confermata a livello ufficiale. Sempre la stampa sostiene che l’ordigno fatto esplodere nel quartiere di Chelsea a Manhattan e quello ritrovato a pochi isolati di distanza, fossero entrambi pentole a pressione, simili a quelle utilizzate nell’attentato contro la maratona di Boston nel 2013. Vicino ai due ordigni, le telecamere di sicurezza hanno inquadrato una stessa persona, che le autorità stanno cercando di rintracciare. Intanto, sono stati mobilitati migliaia di agenti supplementari lungo le strade di New York, pronta a ospitare i leader di tutto il mondo – è arrivato anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi – per un’Assemblea generale delle Nazioni Unite incentrata sul tema dell’immigrazione.

Oltre a quello di New York, nel fine settimana negli Stati Uniti ci sono stati altri due attacchi: uno in un centro commerciale in Minnesota, dove un uomo armato di coltello ha ferito otto persone prima di essere ucciso e un altro a Seaside Park, sempre nel New Jersey, dove un ordigno artigianale collocato in un bidone della spazzatura era esploso senza provocare feriti lungo il percorso di una gara organizzata per i Marines, senza causare feriti.

vivicentro.it/cronaca/ fonti da agenzie: asca/agi/agv

Il Pungiglione Stabiese – Juve Stabia forza 4

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Il Pungiglione Stabiese programma sportivo in onda su ViViradioWEB

Questa sera c’è il consueto appuntamento con ” Il Pungiglione Stabiese “, programma sportivo che parla di Juve Stabia a 360° gradi. Come sempre alla conduzione ci sarà Mario Vollono,  collegatevi oggi 19 settembre 2016 dalle ore 19:30 per avere notizie in esclusiva sul mondo gialloblè. Avrete due modi per seguire la puntata:

DIRETTA

DIFFERITA (dopo 2 ore dalla diretta)

In questa puntata in studio ci saranno Mario di Capua (Radio Sant’Anna), Ciro Novellino, Mario Miccio e Salvatore Sorrentino (ViViCentro) 

Parleremo delle vittorie con Messina e Siracusa con la Juve Stabia che riesce a centrare la quarta vittoria consecutiva, ma soprattutto dopo tanto tempo riesce a centrare i 6 punti nei due incontri casalinghi consecutivi.

Questa sera avremo come ospite telefonico l’Ex Danilo Rufini con cui parleremo di questo avvio di campionato della Juve Stabia e quali saranno secondo lui le prospettive future per la squadra di Fontana.

Ci collegheremo telefonicamente con Mimmo Panico allenatore della formazione Berretti della Juve Stabia, con il quale parleremo del debutto stagionale di sabato contro la Paganese.

Ci collegheremo telefonicamente con Paolo Russo addetto stampa del Fondi con il quale discuteremo del prossimo avversario delle Vespe.

Avvisiamo i radioascoltatori che è possibile intervenire in diretta telefonica chiamando il numero 081.048.73.45 oppure inviando un messaggio Whatsapp al 338.94.05.888.

Gli ascoltatori possono inoltre scrivere, nel corso del programma, sul profilo facebook “Pungiglione Stabiese” per lasciare i loro messaggi e le loro domande.

“Il pungiglione stabiese” è la vostra casa. Intervenite in tanti!

Vi ringraziamo per l’affetto e la stima che ci avete mostrato nel precedente campionato e speriamo di offrirvi una trasmissione sempre più bella e ricca di notizie.

Eccellenza,Procida: arriva la prima sconfitta stagionale

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afr-procida

Prima sconfitta stagionale per il Procida, che cade al Papa di Cardito contro l’Afragolese. Un gol per tempo per la formazione locale, con i biancorossi padroni del campo per gran parte della gara ma incapaci di raddrizzare una partita sbloccata nella prima frazione. Il Procida parte bene, facendo la partita sin dai primi minuti. La prima opportunità è proprio per i biancorossi: Fragiello scappa sulla sinistra e crossa al centro per Dodò, la conclusione dell’attaccante capoverdiano viene però deviata in corner da un provvidenziale intervento di un difensore. Due minuti dopo è invece capitan Micallo a provarci con un tiro dal limite che viene bloccato da Pardo. Al 19’ l’episodio che non ti aspetti, che sblocca la partita a favore dell’Afragolese: errato disimpegno di Micallo, Borrelli ruba palla e s’invola verso la porta battendo Lammarra con un preciso diagonale. La ripresa è invece un monologo biancorosso ma gli attaccanti di Cibelli non riescono a risolvere la gara. Al 4’ l’arbitro nega un evidente rigore al Procida per fallo su Fragiello. All’11’ cross da punizione di Ammendola, Spilabotte spizzica la palla che finisce di poco a lato. Al 32’ Roghi subisce un altro evidente fallo in area di rigore, anche in questo caso ignorato dal direttore di gara. Il Procida si riversa in avanti nel finale, Agata ci prova su punizione nel recupero trovando la grande risposta di Pardo. E su una ripartenza al 5’ di recupero, l’Afragolese trova il raddoppio con Pirone che batte l’incolpevole Lamarra. E’ il gol che chiude la partita e che condanna il Procida alla prima sconfitta stagionale.

AFRAGOLESE 2 – 0 ISOLA DI PROCIDA

AFRAGOLESE (4-4-2): Pardo; Maiello, Loreto, Gargiulo, Novelli; Di Paola, Giraldi (22’ st Toscano), Pesce, Di Ruocco (33’ st Pirone); Carotenuto, Borrelli (46’ st Castiello). (In panchina Maione, Portente, Costanzo, Simonetti) All. Suppa Pasquale

ISOLA DI PROCIDA (4-4-2): Lamarra; Chiaro, Micallo, Signore, Del Prete; Dodò, Rinaldi, Ammendola (17’ st Ammendola), Bacio Terracino; Spilabotte (12’ st Roghi), Fragiello. (In panchina Bardet, Annunziata, Mottola, Muro, De Giorgi) All. Cibelli Francesco

ARBITRO: Vincenzo Castropignano di Ercolano (assistenti Dario Apicella di Castellammare di Stabia e Paolo Cipolletta di Avellino)

RETI: 19’ pt Borrelli, 50’ st Pirone

NOTE: calci d’angolo 7-7. Ammoniti Borrelli, Maiello (A), Bacio Terracino, Micallo, Del Prete (P). Durata pt 47′, durata st 50′. Spettatori 400 circa.

Stadio, tre opzioni per lo stadio da 20 mila posti di De Laurentiis

Stadio, tre opzioni per lo stadio da 20 mila posti di De Laurentiis

Il Corriere dello Sport specifica che De Laurentiis ha più volte manifestato la volontà di progettare e costruire non più uno stadio da 60 mila posti, ma una bomboniera “da 20 mila posti a sedere, come un teatro”. Il quotidiano ricorda le tre opzioni vagliate in passato per la ristrutturazione o la ricostruzione di un nuovo stadio. In primis, c’è quella di un completo rifacimento del San Paolo con una riduzione del numero di posti a circa 42 mila, modello Juventus Stadium. La seconda, ormai abbandonata, fu quella di costruire un nuovo stadio vicino al mare, sfruttando la zona da bonificare di Bagnoli. Idea poi tramontata per le enormi difficoltà che comportava. La terza, più volte minacciata da Aurelio De Laurentiis, quella di trasferire la “casa del Napoli” fuori città: a Caserta.

Genoa-Napoli fischierà Damato di Barletta

Genoa-Napoli fischierà Damato di Barletta

La Lega Serie A ha ufficializzato le designazioni arbitrali per la quinta giornata di serie A. Genoa-Napoli sarà arbitrata da Damato di Barletta. Assistenti: Preti, Lo Cicero. Quarto uomo Alassio, primo addizionale Valeri, secondo addizionale: Manganiello.

Queste le altre designazioni:

ATALANTA – PALERMO        GHERSINI

BOLOGNA – SAMPDORIA    CALVARESE

CHIEVO – SASSUOLO          GIACOMELLI

EMPOLI – INTER                   GUIDA

JUVENTUS – CAGLIARI         MARIANI

MILAN – LAZIO                     MASSA

PESCARA – TORINO            BANTI

ROMA – CROTONE               RUSSO

UDINESE – FIORENTINA       MAZZOLENI

Un dato incorona Milik, è il migliore d’Europa

Un dato incorona Milik, è il migliore d’Europa

L’attaccante del Napoli Arkadiusz Milik è il centravanti più prolifico d’Europa nel rapporto tra minuti giocati e gol segnati dagli attaccanti che hanno almeno 5 gol all’attivo. Tuttosport riferisce che Maurizio Sarri “ha tra le mani l’attaccante rivelazione di questo inizio di stagione, per la soddisfazione di De Laurentiis che ringrazia il ds Giuntoli per averlo convinto a puntare sul bomber polacco, investendo 32 milioni di euro. Il patron azzurro si gusta il piacere di aver venduto Higuain alla Juve per la cifra-choc di 90 milioni e di ritrovarsi già davanti alla formazione bianconera”.

Gabbiadini-Napoli, vicina l’ufficializzazione del rinnovo

Gabbiadini-Napoli, vicina l’ufficializzazione del rinnovo

Avanti insieme, Manolo Gabbiadini ed il Napoli, un rapporto che continuerà come riporta La Gazzetta dello Sport: “La società sta per ufficializzare il suo rinnovo di contratto. Gabbiadini si legherà al Napoli fino al 2021 e avrà un aumento di ingaggio” stimato in una base fissa di circa 2,5 milioni di euro annuali con bonus che gli permetterebbero di arrivare a tre milioni totali: “una cifra considerevole che dimostra quanto il club creda nella definitiva esplosione di colui che ora è a tutti gli effetti il vice di Milik e per il quale in estate ha rifiutato diverse offerte”.

EDITORIALE – Juve Stabia, se il buongiorno si vede dal mattino..

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Il lunedì di tanti tifosi stabiesi ha ancora il retrogusto della splendida serata offerta dalla Juve Stabia. Le Vespe hanno superato senza troppi affanni il Siracusa ed i tifosi delle due squadre hanno dato una spettacolare lezione di tifo, fratellanza ed affetto reciproco. Anche l’inizio della settimana lavorativa può essere meno pesante con questi presupposti.

Il match di ieri suona come l’ennesimo messaggio lanciato dai gialloblù alle squadre più accreditate per le posizioni di vertice, e fa toccare alla Juve Stabia le quattro vittorie consecutive; un poker di questo genere mai si era raggiunto, soprattutto nella parte iniziale della stagione, dove le Vespe tradizionalmente fanno fatica a prendere il volo. Perfino la cabala che aveva sempre visto la doppietta in casa delle Vespe quasi come una maledizione, è stata sfatata e la Juve Stabia ha centrato sei punti nei due match consecutivi al Menti.

Alla luce della bella vittoria con il Siracusa tornano in mente le parole del Patron Manniello dopo la sconfitta iniziale di Catania. Il numero 1 gialloblù invitava i tifosi ad andarci piano con le critiche proprio perché fiducioso circa le potenzialità della sua squadra. A distanza di venti giorni quelle parole di Manniello suonano come una piacevole profezia. La sconfitta di Catania paradossalmente ha reso la Juve Stabia ancor più cattiva e decisa a fare grandi cose.

La Juve Stabia vista ieri sera ha dimostrato ancora una volta di essere una squadra di valore, a prescindere dall’ottimo organico messo a disposizione di Fontana. Le Vespe hanno ormai acquisito una mentalità vincente che permette loro di attaccare l’avversario mentalmente, fisicamente e tatticamente. Emblematico è stato il calcio di inizio, con tutti gli effettivi gialloblù, Russo a parte ovviamente, sulla linea di centrocampo pronti a pungere gli avversari. Anche quando la palla sembra non voler entrare, la Juve Stabia non si fa prendere dalla frenesia né dalla tentazione del lancio lungo; si gioca sempre palla a terra cercando la soluzione più immediata: testa fredda e piedi caldi.

La partita di ieri fa salire in cattedra il baby centrocampo scelto da Fontana. La mediana formata da Esposito, Mastalli e Izzillo, rispettivamente classe 1995 – 1996 e 1994, ha mostrato maturità e coraggio, non facendo rimpiangere i “titolari” sulla carta: gente del calibro di Capodaglio, Salvi e Zibert. La crescita dei giovani, che da semplici alternative diventano titolari cui affidarsi senza troppa preoccupazione, è tutta da ricondurre a Fontana, bravo a creare il giusto mix di esperienza e leggerezza.

Nonostante tutte le buone sensazioni di questo inizio di stagione, sarebbe un errore imperdonabile pensare che la strada ormai è in discesa è che il secondo posto attuale possa essere una costante del campionato della Juve Stabia. L’unica chiave per ottenere altri risultati come quelli di queste settimane è il lavoro; distrarsi e piacersi troppo equivarrebbe al più grave degli autogol. Nel mirino va subito messa la trasferta di Fondi, dove le Vespe si presenteranno in emergenza in difesa. Se non dovesse concretizzarsi il recupero di Morero, potrebbe toccare a Liotti spostarsi al centro al fianco di Atanasov, con Liviero nuovamente in campo sulla fascia sinistra.

Gli unici che hanno la licenza di sognare e di esaltarsi sono i tifosi, splendidi come al solito e che con il loro spettacolare geyser sound, stanno accendendo sul Menti i riflettori di tutta l’Italia pallonara. I supporter gialloblù hanno la responsabilità, non certo semplice, di portare sempre più gente allo stadio. Squadra, tifosi, società e Città: con l’unione ed il lavoro possono raggiungersi grandi traguardi.

Volendo paragonare l’intero campionato ad una singola giornata di 24 ore, probabilmente al momento siamo solo alle prime luci del mattino e c’è ancora tutta una giornata da vivere. Certo però che, mantenendo sempre i piedi ben saldi a terra, se il buongiorno si vede dal mattino..

Raffaele Izzo

Grave errore su Verdi, rabbia Reina a fine gara

Grave errore su Verdi, rabbia Reina a fine gara

“Cosa ti succede Pepe? Ancora una bordata centrale da fuori area, forte sì ma non imparabile. La maledizione dei tiri da lontano si abbatte sul portiere spagnolo, remake di un film già visto lo scorso anno”, apre Il Mattino, ma spuntano altri dettagli relativi al gol preso e al post partita. Subito dopo la rete subita da Verdi ha incrociato lo sguardo dei suoi compagni di reparto e poi è rimasto seduto a terra. Consapevole del guaio. L’occhiataccia questa volta è partita da qualche compagno, al quale va riconosciuta parte della responsabilità per aver fatto scappare via l’autore del tiro. A fine gara, invece, quando Sarri e gli azzurri erano ancora in campo, lui era sotto la doccia. Questa volta Reina non ha cantato e ballato sotto la curva, non ha trascinato i compagni al giro di campo. Pepe, sabato in divisa arancione accecante, ha scaricato la rabbia nello spogliatoio.

De Laurentiis racconta una bugia sugli abbonati

De Laurentiis racconta una bugia sugli abbonati

La Gazzetta dello Sport mette nel mirino il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis: “Racconta una bugia quando asserisce che gli abbonati sono sempre stati seimila. I «fedelissimi» erano 19.065 al primo anno della sua gestione (in Serie C). I risultati sportivi sono sotto gli occhi di tutti così come è evidente la freddezza della gente verso un club, che non fa svolgere quasi mai un allenamento a porte aperte e che non spicca per capacità comunicative”. A questo vanno inoltre aggiunte, secondo il quotidiano, le cessioni negli anni di Ezequiel Lavezzi, Edinson Cavani e Gonzalo Higuain tramite clausola rescissoria: una politica che fa discutere “ed ora i tifosi temono la «taglia» su Milik annunciata da De Laurentiis”.

 

Referendum istituzionale: il ‘NI’ della Cei

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Sul referendum istituzionale la conferenza episcopale appare divisa e confusa proprio come il Paese: né a favore del Sì né a favore del No.

La Chiesa divisa e il fronte del No Massimo Franco

La Cei sembra attenta alle ragioni del governo, ma stanno aumentando i contrari alla modifica della Costituzione

Non ci sono pronunciamenti ufficiali, sebbene finora sia prevalsa la lettura di una Cei più attenta alle ragioni del governo. E probabilmente non ci saranno: né a favore del Sì né a favore del No. Ma non solo perché la Chiesa italiana non vuole essere accusata di ingerenze nella politica. La realtà è che sul referendum istituzionale la conferenza episcopale appare divisa e confusa proprio come il Paese. Eppure, più si avvicina la data ancora nebulosa della consultazione, più affiora la preoccupazione per il modo in cui ci si arriva. E sta spuntando un «fronte del No» ecclesiastico, convinto di poter guadagnare terreno rispetto a un Sì che sembrava predominante. A pesare non è la freddezza verso Matteo Renzi e il Pd per le scelte in materia di politica familiare e in economia, anche se una scia di incomprensione e di diffidenza è rimasta. Sono i contenuti dei quesiti referendari ad accentuare l’ostilità di alcuni settori dell’episcopato e del mondo cattolico. Con la Costituzione come fortino da difendere, e il sospetto che la vicenda sfiori anche lo scontro dentro la Cei.

Il Vaticano osserva molto da lontano: tanto più con papa Francescodeterminato a tenere le distanze da qualunque commistione con le vicende italiane. La posizione della Santa Sede è espressa da una persona vicina al Pontefice. E ricalca in buona misura quella misurata assunta dai vertici delle istituzioni italiane. «Non succederà nulla di tragico, né se vince il Sì né in caso contrario. Non si può assecondare chi ritiene sia travolta la democrazia se passa la riforma, né che si va al disastro se Renzi viene battuto. Non succederà nulla né in un caso né nell’altro», si fa presente. «Ci terremo a mille miglia da questa diatriba, anche perché non tocca direttamente gli interessi della Chiesa. Per questo, non pronunciarsi è saggio e doveroso». Ma se si esce dalle mura vaticane, gli umori sono diversi. E si toccano con mano. Sul referendum si scarica l’ortodossia costituzionale di alcune aree dell’episcopato; e si mescola o si aggiunge ai malumori da delusione verso il governo.

«Un tempo per i cattolici esisteva il dogma dell’unità. Ora sembra prevalere quello della disunità», fotografa la situazione con un’iperbole uno dei conoscitori più profondi dell’Italia religiosa. Al di là di questa «disunità», nelle parrocchie e in alcuni settori dell’associazionismo riemerge con prepotenza una sorta di «catto-grillismo», antigovernativo e ostile a un Paese riplasmato dal Sì. «D’altronde, la Carta fondamentale non è una leggetta qualunque. E il referendum mette in gioco qualcosa che va al di là di un governo e di un premier: la democrazia in Italia», arriva a dire un influente cardinale italiano. «Registriamo gli ottimi propositi di velocizzare le leggi e di risparmiare soldi. Ma se il prezzo da pagare è una concentrazione di potere impressionante, la risposta è no: il prezzo è troppo alto». È una tesi che raccoglie consensi tutt’altro che unanimi, ma di certo non è affatto isolata.

Sulla stampa cattolica finora si è colta una cauta preferenza per le riforme proposte da Palazzo Chigi. Andando oltre l’ufficiosità, tuttavia, emerge una realtà più frastagliata, e a tratti ostile alla strategia e agli obiettivi del governo. È indicativa la prudenza di quanti sono indicati come fautori del Sì. Quando si chiede loro quale sia l’orientamento della Cei, si frena: «Non ci sono stati pronunciamenti ufficiali»: quasi si tema che schierarsi esplicitamente col governo possa provocare una spaccatura interna. La diplomazia della cautela anonima, e quella dell’attacco ai quesiti referendari, pure anonima, fanno pensare. È come se i sostenitori ecclesiastici del Sì captassero una fronda in incubazione: in parte, una coda dei contrasti tra presidenza della Cei, e cioè il cardinale Angelo Bagnasco, e il segretario, monsignor Nunzio Galantino.

Gli elementi che alimentano i dubbi nei confronti del referendum sono diversi. Il primo è di metodo. Ad alcuni non sono piaciuti il modo in cui il premier ha difeso inizialmente la sua riforma elettorale, l’Italicum, sostenendo che era intoccabile; e poi la rapidità con la quale si è offerto di modificarla in cambio di un atteggiamento diverso degli avversari, in testa la minoranza del Pd, sul referendum costituzionale. «Scambiare l’appoggio al referendum con il sistema elettorale è scandaloso», avverte un cardinale: una critica che però non può essere riferita solo a Renzi ma va estesa ai suoi avversari tra i Dem. «Né bisogna avere paura della minaccia di una crisi di governo: perfino da noi si dice che morto un Papa se ne fa un altro». In realtà, il 2013 insegna che se ne fa un altro anche in caso di dimissioni, dopo quelle di Benedetto XVI.

Inoltre, viene giudicato semplicistico lo schema secondo il quale «chi dice Sì guarderebbe avanti, chi è per il No sarebbe retrogrado, oscurantista e innamorato del potere. Così non si informa l’opinione pubblica, mentre è essenziale che sappia su che cosa è chiamata a votare». In realtà, come si fa notare in Vaticano, anche gli anti-renziani che esagerano i pericoli per la democrazia fanno propaganda. Il secondo motivo di irritazione è il coro internazionale che sostiene Renzi. Fra alcuni esponenti della Cei, l’appoggio martellante al Sì di istituzioni finanziarie e governi esteri ha creato sconcerto, se non fastidio: sebbene il tema degli effetti di una bocciatura non possa essere eluso. Queste intrusioni vengono considerate figlie come minimo di un’analisi superficiale, con una eventuale sconfitta governativa tutta da vedere. È un approccio sorprendente, nella sua radicalità. Nel «se ne stessero a casa loro!», rivolto a mo’ di sfogo da un cardinale a quanti appoggiano il referendum all’estero e preconizzano che altrimenti l’Italia colerebbe a picco, si colgono echi simili a quelli delle forze d’opposizione.

Se questi sono gli umori, Renzi e la sua cerchia devono sapere di avere un altro avversario da fronteggiare; e più insidioso e potente della minoranza del Pd. Inutile cercare conferma, ma qualcuno ha notato che in alcune omelie estive il cardinale Bagnasco, parlando di Europa, ha accennato alla necessità di saper distinguere tra democrazie e regimi. Ebbene, più di uno ci ha visto un riferimento indiretto alla battaglia referendaria in atto in Italia. Non solo. Ha sorpreso la partecipazione di Dino Boffo, ex direttore di Avvenire e di Tv Duemila, molto vicino al più «politico» degli ex presidenti della Cei, Camillo Ruini, alla riunione dei sostenitori del No promossa di recente dal senatore Gaetano Quagliariello. In più, da mesi uno dei protagonisti del Family Day, Massimo Galdolfini, gira l’Italia attaccando il Sì. Dà seguito alla minaccia di «farla pagare» al premier per le leggi sulle unioni civili: operazione di cui è evidente la strumentalità.

L’impressione è che queste iniziative confermino un fermento nel mondo cattolico e in quello ecclesiastico, frutto di contrasti vecchi e nuovi; e di un giudizio divergente sulla Costituzione e sul futuro politico: se n’è avuta un’eco recente nelle prese di posizione contraddittorie tra Cei e Vaticano sul pasticcio del Campidoglio a guida Cinque Stelle. La domanda da farsi è se questi contrasti emergeranno nelle prossime settimane anche pubblicamente, o rimarranno confinati nelle pieghe di un conflitto sordo e spesso opaco. Si parla di cardinali e vescovi italiani di peso, pronti a fare sentire la propria voce: a costo anche di esprimere opinioni discordanti. Ma ormai nel «mondo cattolico largo», come viene definito quello che va oltre le organizzazioni e le associazioni, a prevalere è un certo disorientamento. Prevale un disincanto verso i partiti che inserisce un’incognita in più anche sull’esito del referendum istituzionale.

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Le verità dei Cinque Stelle

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Quando Gianroberto Casaleggio muore, non si parla più da giorni con Beppe Grillo. L’ultima telefonata tra i due è segnata da un vivace diverbio. È una delle rivelazioni di un libro, dal titolo “Supernova”, che uscirà tra due mesi e possiamo anticipare.

“Basta, non ti voglio più sentire”. Così Casaleggio ruppe con Grillo

L’ultima telefonata rivelata da Biondo e Canestrari, ex collaboratori del guru, in un libro di cui oggi esce il primo capitolo online. I due fondatori non si parlarono più: dissidio strategico sul blog e la degenerazione del M5S

Quando Gianroberto Casaleggio muore, non si parla più da giorni con Beppe Grillo. L’ultima telefonata tra i due fu un’amara litigata che si concluse - ironia della storia – nello stesso modo in cui era iniziata l’avventura del Movimento: con un vaffa e la rabbia. Solo che stavolta a esser mandato a quel paese era Grillo stesso: dal suo interlocutore.

È solo una delle rivelazioni di un libro, dal titolo Supernova , che uscirà tra due mesi, sul sito www.supernova5stelle.it e sarà finanziato non da un editore tradizionale, ma attraverso la piattaforma di crowdfunding Produzioni dal Basso. Il testo, di cui stamattina sarà pubblicato online il primo capitolo che La Stampapuò qui anticipare, è firmato da Nicola Biondo, ex capo della comunicazione del Movimento alla Camera, e da Marco Canestrari, per quattro anni, dal 2007 al 2010, vicinissimo a Gianroberto in Casaleggio associati. Canestrari, tuttora iscritto al M5S, accompagnava Grillo nei Vday, creò e organizzò il coordinamento dei meet up, e ha mantenuto in azienda, anche dopo l’uscita, amicizie che non si cancellano.

L’ultima telefonata

«Vaffanculo! Non ti voglio più sentire», grida dunque al telefono Casaleggio a Grillo. Pochi giorni dopo muore, e Grillo piange, senza aver avuto possibilità di un chiarimento con il suo amico. Non è uno scontro casuale, però, quello tra i due: è una divergenza strutturale su ciò che sta accadendo al Movimento, e sulla strada da prendere. Grillo confida ai suoi: «mi girano le scatole» – scrivono Biondo e Canestrari – per cos’è diventato il Movimento.

Ha nostalgia degli inizi, naif ma puri. È estromesso da scelte di fondo che avvengono senza che lui le conosca: su tutte, la migrazione, cruciale, dal blog beppegrillo.it a ilblogdellestelle.it. Grillo non ne era stato informato, è un’altra rivelazione di Biondo e Canestrari: «Da Genova la cosa è stata presa male, perché in questo modo non è più il blog di Beppe il motore propulsore del Movimento. Casaleggio sceglie di guardare oltre il vecchio sodale, tutelando da una parte la sua azienda, dall’altra accontentando le richieste dei parlamentari che fanno un pressing asfissiante perché vogliono a tutti i costi un loro spazio che non sia all’ombra del blog di Grillo. E questo ovviamente al comico genovese non va giù».

Grillo deluso, e i «ragazzini cattivi»

È da mesi del resto che il fondatore è insofferente, «da tempo si trova a disagio», si legge nel libro. Da molto prima della vicenda Raggi. Già a Imola il comico con gli amici è definitivo: «Non credo sia questo che la nostra gente vuole, io non mi riconosco in questa roba…». Nel Movimento comandano sempre più gli scalpitanti leaderini romani. Casaleggio è malato, e delega ormai tutto al figlio da molto prima che La Stampa riveli l’abdicazione. I due fondatori perdono progressivamente uomini nel direttorio. Solo Carla Ruocco e Roberto Fico, scrivono Biondo e Canestrari, rimangono a modo loro fedeli. Ruocco, dopo la morte del cofondatore, si aprirà con degli amici: «Gianroberto è morto, Beppe è isolato e io rimango in mezzo a quei ragazzini cattivi…». I ragazzini cattivi sono quelli del direttorio. Specie i due apparentemente opposti, Di Maio e Di Battista, in piena ascesa romana.

Casaleggio «incattivito»  

Grillo avverte cosa sta succedendo, ma non è mai stato la mente. Casaleggio è fiaccato, e di fatto ha mollato. I rapporti tra i due, un tempo simbiotici, s’incrinano. Dopo la morte dell’amico, apprendiamo dal libro, Grillo commenterà così con chi gli è vicino: «Negli ultimi tempi Gianroberto si era come incattivito. A volte stentavo a riconoscerlo. Mi spiace sia finita cosi…».

La partita per Rousseau e il simbolo  

Se Gianroberto Casaleggio è oggetto in vita di una scalata da parte dei giovani, Grillo viene messo sul piedistallo di padre nobile, ma Davide e Di Maio non gli dicono neanche più le cose: la partita attuale – scrivono Biondo e Canestrari – è: «Chi ha accesso agli iscritti al blog e alla piattaforma Rousseau, può mettere le mani sul Movimento. È un database sterminato, un asset determinante per una piccola azienda di marketing digitale, e allo stesso tempo indispensabile per chi voglia guidare il Movimento». I «ragazzini cattivi» non hanno però fatto i conti con i colpi di coda del vecchio comico. A fine luglio salgono a Genova, per parlare di tante cose, ma soprattutto di simbolo e proprietà del Movimento. Grillo diserta, e manda suo nipote Enrico, avvocato e vicepresidente dell’associazione Movimento cinque stelle. Fico si lascia scappare: «Noi siamo in mezzo tra Beppe e Davide».

La frattura Grillo-Davide  

Già, anche tra il fondatore e il figlio di Gianroberto le cose si sono guastate. «I rapporti tra i due sono tesissimi», raccontano Biondo e Canestrari. «L’indomani dell’incontro di Genova, i cinque del direttorio vanno a Milano proprio da Davide Casaleggio. E la frattura tra loro diventa pubblica per una forzatura di Casaleggio jr che poco dopo l’incontro con il direttorio pubblica un post: “Da domani si vota sul nuovo statuto”. È uno strappo. Ma a quell’annuncio non segue più nulla, il silenzio. Fino ad oggi». Tanti parlamentari chiamano Grillo sgomenti: davvero vuoi lasciare il simbolo al direttorio? «State tranquilli – replica Beppe – non ci penso nemmeno». Eppure la scalata non è finita. Se Imola è stata l’ultima festa di Gianroberto Casaleggio, Palermo, la kermesse M5S che si apre sabato «potrebbe essere davvero l’ultima festa di Beppe Grillo da leader del movimento».

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La Russia resta attaccata alla stabilità, e a Putin

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“I russi hanno votato con scarsa diligenza più per stanca disciplina che per convinzione” e “il voto di ieri esprime semplicemente attaccamento alla stabilità”, scrive il nostro editorialista Stefano Stefanini che parla di una “ottima estate” per Putin.

Il dogma della stabilità alla russa

Sono durati poco i tempi nei quali il mondo attendeva con apprensione l’esito del voto in Russia. Ieri, la curiosità era minima. Ci si domandava solo come Vladimir Putin sarebbe uscito dalle elezioni. Stando agli exit poll, ne esce esattamente come prima.

In pieno controllo della politica russa. Il che gli basta per guardare con distacco ai problemi che affliggono le controparti occidentali.

I russi hanno votato con scarsa diligenza (a malapena 40% di affluenza alle urne) più per stanca disciplina che per convinzione. Disciplinatamente, hanno ridato a Russia Unita una netta maggioranza; qualche seggio perso non fa differenza. In una Duma docile le opposizioni comunista e liberaldemocratica fanno salvo l’esercizio di democrazia, ma non incidono minimamente sui rapporti di potere.

Il voto di ieri esprime semplicemente attaccamento alla stabilità. Putin ha saputo abilmente cavalcarla, facendosene identificare come il garante. E’ questo che gli assicura un consenso stratosferico pur dovendo chiedere ai russi di tirare la cinghia, a causa del crollo dei prezzi di petrolio e gas e delle sanzioni occidentali. La pazienza non durerà in eterno, ma intanto il Presidente incassa, senza molto sforzo, un nuovo Parlamento sempre ligio al potere che conta – il Cremlino. Può così guardare con tranquillità alle elezioni presidenziali, previste nel marzo del 2018; non ha detto che si ripresenterà ma tutti, in Russia e fuori, se lo aspettano.

Lo stridente contrasto con l’Europa e con l’Occidente non sta solo nella capacità russa di produrre una solida maggioranza parlamentare, che in Europa manca praticamente dappertutto. La Russia ci arriva grazie alla mobilitazione del governo, al controllo dell’informazione e alla coalizione di forze, come la Chiesa ortodossa, coagulate intorno all’orgoglio nazionale. Sono tratti della «democrazia sovrana» di Putin incompatibili con le nostre democrazie. Ma colpisce soprattutto l’abisso che separa il desiderio russo di stabilità dalle ansiose e profonde insoddisfazioni occidentali. L’uno si traduce nell’acritica conferma del leader e del partito al potere; le seconde nella ribollente rivolta populista contro il funzionamento degli interi sistemi politici in Europa e negli Stati Uniti e contro le figure e le istituzioni, in particolare dell’Ue, che vi s’identificano.

Putin ha avuto un’ottima estate. Si è riconciliato con Erdogan. Si è reso indispensabile in Siria, al punto di contemplare azioni militari congiunte con gli americani contro lsis. Il referendum britannico e l’insipienza politica di Bruxelles gli hanno servito Brexit su un piatto d’argento. Tedeschi e francesi hanno arricchito il piatto con il fallimento dichiarato di Ttip. Putin non è antieuropeo, ma preferisce gli europei divisi che non uniti – si tratta meglio. Del pari, non è detto che aneli ad avere un presidente Trump con il dito sul bottone nucleare, ma non gli dispiace che una campagna elettorale americana in cui entrambi i candidati hanno alti indici d’impopolarità laceri gli Usa e indebolisca il futuro Presidente, chiunque sia, prima ancora d’entrare alla Casa Bianca.

Stamattina, dalle finestre del Cremlino, Vladimir Putin vede un’Europa divisa e un’America inquieta. Oltreoceano le rudimentali bombe di Manhattan e il selvaggio accoltellamento in Minnesota ravvivano le paure di terrorismo domestico. Il «saremo duri» di Donald Trump sarà qualunquistico (con chi? come?) ma ha più appeal elettorale della misurata reazione di Hillary Clinton.

Con una coesione che ha sorpreso i russi, l’Ue ha dato non pochi fastidi a Mosca. Se viene meno, la Russia ha tutto da guadagnare. Orfana del Regno Unito, il resto dell’Ue era chiamato a una prova di maturità. Invece Bratislava è stato un fallimento. L’Ue a 27 si è rivelata più divisa dell’Ue con Londra dentro.

A farla ripartire non basta certo lo stanco e squilibrato «motore» franco-tedesco. E’ velleitario pensare che Roma, da sola, possa correggere la rotta; Matteo Renzi non può non sapere che per convincere l’Africa a controllare la fuga immigratoria ci vuole l’intera Europa. Le spinte centrifughe verso la formazione di gruppi geografici, come Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), i «nordici» più Germania, il Sud indebitato, rischiano di dilaniare il tessuto dell’Unione.

Vladimir Putin conosce il nerbo dell’Occidente. Europa e Stati Uniti sono in grado di superare questa fase di difficoltà, in buona parte autoinflitte. Il rapporto con la Russia continuerà ad oscillare fra partnership e competizione. Ma, guardandosi intorno all’indomani di un voto che conferma Mosca come un’isola di stabilità politica, non può che compiacersi del disordine altrui. Domani si vedrà, ma oggi si sente in una botte di ferro.

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A Pescara appuntamenti importanti per informare sull’Alzheimer

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21 Settembre 2016: una data importante per coloro che vivono ogni giorno il dramma della gestione della demenza di Alzheimer!

La giornata, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Alzheimer Disease International per creare una coscienza pubblica sulla malattia e riunire in tutto il mondo malati, familiari e associazioni Alzheimer, verrà celebrata a Pescara attraverso le seguenti iniziative:

  • Mercoledì 21 Settembre 2016 alle ore 21.00 presso l’Auditorium “Leonardo Petruzzi”, sito in Via delle Caserme n. 22 a Pescara si svolgerà una serata dedicata a questa patologia dove verranno fornite informazioni utili ai familiari. Si proietterà, inoltre, in prima visione nazionale, il cortometraggio “Non temere” del registra Marco Calvise, presentata in contemporanea in ben 11 diverse città italiane, da Genova a Roma, da Livorno a Paullo (MI), da Pescara a Messina, da Sesto San Giovanni a San Severo (FG). Seguirà una tavola rotonda dove l’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Pescara, Giuliano Diodati, ed esperti del settore relazioneranno su una realtà sempre più diffusa e dura da vivere, sia per il malato che per i familiari. I cittadini ed i mass media sono invitati a partecipare.
  • Domenica 25 Settembre 2016 dalle ore 9.00 alle ore 19.00 presso Piazza della Rinascita a Pescara si svolgerà un’iniziativa che vedrà la presenza di esperti del settore riuniti in uno stand informativo per comunicare ai cittadini l’importanza della prevenzione, il riconoscimento dei sintomi ed i comportamenti utili per migliorare lo stile di vita del paziente in seguito alla diagnosi. L’iniziativa è patrocinata dal Comune di Pescara, dalla ASL di Pescara, dalla Società Italiana di Geriatria e Gerontologia, dall’Associazione Multidisciplinare di Geriatria ed organizzata dall’Associazione Alzheimer Uniti Abruzzo Onlus, dalla Croce Rossa di Pescara, dalla Misericordia di Pescara e dall’Associazione ASSO Onlus – Centro Igea (struttura semi-residenziale specializzata nella gestione dei pazienti con demenza di Alzheimer o altre sindromi correlate al decadimento cognitivo).

Le occasioni saranno utili anche per fornire informazioni ai familiari sui nuovi approcci innovativi utilizzati nel Centro IGEA di Pescara: dalla musicoterapia alla terapia occupazionale, dalla teatroterapia alla terapia del sorriso; un progetto, denominato “Coccole per l’anima”, che nasce dalla collaborazione del Centro IGEA con i volontari dell’Associazione ClownDoc di Pescara e con un attore dell’Associazione EstroDestro, specializzato in improvvisazione teatrale.

Due intense giornate per avere informazioni utili alla prevenzione e/o alla gestione di una patologia che rappresenta, ad oggi, è un vero problema sociale!

Bundesbank, monito all’Italia

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“L’Italia ha già avuto troppa flessibilità, ora servono le riforme a cominciare dalle banche”: a parlare è il capo della Bundesbank, Jens Weidmann. In un’intervista ad Alessandro Alviani il banchiere tedesco esclude inoltre l’ipotesi di una nuova mossa espansiva della Bce di Mario Draghi.

“L’Italia ha già abusato della flessibilità. E non ha tagliato il debito pubblico”

Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: «Ora il governo porti avanti le riforme. La Bce non ha motivo per rilanciare sulla politica monetaria. Su Brexit si faccia chiarezza»

BERLINO – Dodicesimo piano della sede della Bundesbank a Francoforte. Jens Weidmann riceve La Stampa, Süddeutsche Zeitung, The Guardian e Le Monde per un colloquio di un’ora e mezza in cui si sofferma a lungo sulle decisioni della Bce e sulla Brexit, ma anche sull’Italia e l’austerity.

Il governo italiano spera in una maggiore flessibilità, che alla fine tornerebbe utile anche ad altri Paesi.  

«Il patto di stabilità e crescita non è affatto rigido. Contiene numerose eccezioni, non solo in caso di oneri imprevisti. Tale flessibilità è già stata stravolta e abusata, la funzione disciplinante del patto sui bilanci pubblici ne ha risentito notevolmente. Finanze statali solide sono però importanti per la sostenibilità futura dei singoli Paesi e per la stabilità dell’unione monetaria. Un fuoco di paglia congiunturale finanziato col debito non rimuoverebbe la debolezza strutturale della crescita in Italia. Quello di cui c’è bisogno è che il governo italiano applichi e porti avanti le riforme strutturali che ha già iniziato. Il Jobs Act, così come l’Italicum hanno un approccio corretto».

Weidmann

Roma ha già annunciato di voler correggere al ribasso le stime di crescita. Bisogna proseguire con l’austerity?  

La domanda è semmai: c’è stata davvero una politica di austerity in Italia? Visto l’elevato debito pubblico il consolidamento di bilancio rappresenta un compito prioritario – anche per evitare che sorgano dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico.

In Europa molti cittadini chiedono la fine dell’austerità.  

Una politica di austerity ambiziosa c’è stata soltanto in pochissimi Paesi. La Francia o la Spagna oltrepassano già da anni, con la loro politica di bilancio, i requisiti del patto di stabilità. In Italia il deficit è sceso negli ultimi tempi solo perché il Paese ha dovuto pagare meno interessi sul debito. I tassi più bassi hanno contribuito anche al pareggio di bilancio in Germania.

Quando, se non adesso, i governi europei dovrebbero spendere?  

In Europa abbiamo troppi debiti, non troppo pochi. E i bassi tassi di interesse continuano a fiaccare la disciplina di bilancio. Le montagne di debiti possono diventare un problema al più tardi nel momento in cui i tassi di interesse riprendono a crescere, perché a quel punto potrebbero essere non più sostenibili.

Molti chiedono al governo tedesco di investire di più – per l’Europa. 

L’idea che la Germania possa dare una spinta alla congiuntura europea attraverso un programma di investimenti pubblici è ingenua. Da una parte gli effetti di ricaduta economica sugli altri Paesi sono troppo bassi. Dall’altra per una crescita sostenibile sono determinanti le condizioni locali – intendo non solo strade e ponti, ma anche un’amministrazione ben funzionante, una giustizia efficiente e un elevato livello d’istuzione».

Crede sia possibile un accordo a livello europeo per consentire agli Stati membri di ristrutturare il proprio settore bancario, eventualmente anche tramite il ricorso ai fondi dell’Esm, affinché i problemi della scarsa redditività e dei crediti deteriorati possano essere finalmente risolti?  

«Affrontare con decisione in Italia il problema dei crediti deteriorati rappresenta un’importante premessa affinché il sistema bancario possa adempiere senza limitazioni alla sua funzione economica, in quanto i crediti deteriorati rappresentano un ostacolo alla crescita. Ciò però non deve portare a distorcere la concorrenza o far sì che proprietari e creditori possano sottrarsi alle loro responsabilità a danno dei contribuenti. Per questo devono essere rispettate le norme europee sugli aiuti di Stato e le disposizioni del Brrd (la direttiva sulla gestione delle crisi, ndr.). E, come ovunque in Europa, le banche devono verificare i loro modelli di business e ridurre i costi. Le uscite dal mercato non devono essere un tabù».

La Bce immetterà sui mercati 80 miliardi di euro al mese fino a marzo 2017. Il programma di acquisto dei titoli andrebbe esteso, visto che l’inflazione resta bassa?  

«Nella sua ultima riunione il consiglio della Bce ha discusso le nuove previsioni. Dal momento che quelle sull’inflazione sono cambiate in modo solo impercettibile non ha visto – a ragione – nessun motivo per rilanciare sul fronte della politica monetaria».

A marzo la Bce dovrebbe interrompere del tutto il programma e alzare in breve tempo i tassi di interesse o Lei preferirebbe una fase d’uscita più lunga?  

«La decisione presa prevede che il programma di acquisto dei titoli duri almeno fino al marzo del 2017. Quello che succederà dopo lo discuteremo e decideremo nel consiglio della Bce sulla base dei dati di cui disporremo in quel momento. Non dobbiamo però ignorare i rischi di una politica monetaria ultraespansiva, che diventano tanto più grandi quanto più dura la fase dei bassi tassi di interesse. I tassi non devono in nessun caso restare così bassi più a lungo di quanto sia necessario per la stabilità dei prezzi. I possibili problemi di singoli istituti finanziari o bilanci statali non devono impedirci di normalizzare la politica monetaria non appena necessario».

A volte pensa a come ci si sentirebbe a essere presidente della Bce?  

«Nel consiglio della Bce pensiamo tutti insieme, indipendentemente che si tratti del presidente della Bundesbank o della Bce, a come gestire la politica monetaria europea».

Vorrebbe succedere a Draghi?  

«Sono il presidente della Bundesbank – e lo faccio molto volentieri. Inoltre considero fuori luogo discutere della successione a Mario Draghi a metà del suo mandato».

Quanto è dannoso il protrarsi delle trattative per la Brexit?  

«È indubbio che l’incertezza relativa al momento e alle modalità del divorzio pesino sull’economia. Per questo bisognerebbe far chiarezza quanto prima. Al tempo stesso l’uscita di un Paese dalla Ue è qualcosa che avviene per la prima volta e comporta negoziati complessi che devono svolgersi, nell’interesse di tutti, in modo equo. La Ue non dovrebbe stabilire una punizione esemplare né può esserci un precedente per il quale un Paese seleziona le parti a lui più vantaggiose».

La Brexit non ha provocato finora nessuna catastrofe.  

«Finora la Gran Bretagna non ha presentato la richiesta di uscita. Dalle reazioni finora moderate al voto non bisogna concludere che l’uscita resterebbe senza conseguenze negative. Dal punto di vista economico la Gran Bretagna è legata in modo molto stretto alla Ue e alla Germania. Se si rende più difficile l’accesso reciproco ai rispettivi mercati si frena la crescita soprattutto in Gran Bretagna».

Londra potrà conservare i diritti di passporting se lascierà la Ue?  

«I diritti di passporting sono legati al mercato interno e vengono automaticamente meno se la Gran Bretagna non dovesse restare quanto meno nello spazio economico europeo. Ciò influenzerebbe di sicuro in modo decisivo anche il futuro della City».

Non ci sono alternative all’euro oppure nel peggiore dei casi bisogna concludere questo esperimento?  

«Una moneta comune stabile ha molti vantaggi per i cittadini e le imprese. Per questo mi impegno affinché l’unione monetaria sia un’unione della stabilità, così come la politica ha promesso ai cittadini. Speculazioni su ipotetici scenari estremi non ci portano da nessuna parte».

Mario Draghi chiede l’unione politica.  

«Ancor prima della nascita dell’unione monetaria Helmut Kohl disse che bisognava completarla con l’unione politica. Ciò presupporrebbe la cessione di diritti di sovranità all’Europa da parte degli Stati, in particolare il diritto fondamentale del Parlamento: la sovranità di bilancio. In questo momento non vedo però la disponibilità a compiere questo passo. Al contrario, ultimamente è stato posto semmai l’accento sui margini d’azione nazionali. I governi e i parlamenti non vogliono intromissioni da Bruxelles. Lo dimostra anche il modo in cui sono affrontate le regole europee di bilancio, che vengono messe sempre più in discussione».

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lastampa/“L’Italia ha già abusato della flessibilità. E non ha tagliato il debito pubblico” ALESSANDRO ALVIANI

ESCLUSIVA – Mainolfi, resp. sett. giovanile Juve Stabia: “Brignola come Volpe, che orgoglio!”

Queste le dichiarazioni di Saby Mainolfi

Il lavoro, con il tempo, ripaga sempre e la professionalità riesce sempre a trionfare. Il settore giovanile della Juve Stabia questo lo sa e si affida sempre a competenti del settore. Il direttore Alberico Turi ha dato continuità al lavoro passato affidando il ruolo di responsabile del settore giovanile della Juve Stabia a Saby Mainolfi. E’ di sabato scorso, infatti, l’esordio in serie B di un ragazzo di prospettiva, Enrico Brignola, scoperto proprio negli anni passati da Mainolfi che noi abbiamo ascoltato in esclusiva: “Enrico Brignola, attaccante, classe ’99, ragazzo che è cresciuto con noi alla scuola calcio Valle Telesina. E’ rimasto lì dal 2004 al 2011, prima di essere ceduto al Benevento nel quale c’era il direttore sportivo Massimo Mariotto con Calcaterra a gestire il settore giovanile. Prima del Benevento, però, si erano fatti avanti club come il Perugia e lo Spezia, ma per motivi familiari si preferì non accettare queste lusinghe. Siccome eravamo affiliati con la Roma, il club lo consoceva bene, ma per età preferì non acquisirne ancora i diritti, tant’è che decidemmo di farlo approdare in un club professionistico lo stesso e lo cedemmo al Benevento. Ha sempre giocato sotto età e nella stagione 2015-16 fu dato in prestito alla Roma con diritto di riscatto non esercitato facendo in modo che tornasse a casa in questa stagione. Sabato scorso è arrivato questo esordio contro il Latina che mi rende molto felice. Baroni l’ha portato in panchina in prima squadra per due volte dalla Primavera. Juve Stabia? Lo conosce bene anche il direttore Alberico Turi, ma lo avevo già ceduto prima ancora di iniziare la nostra collaborazione. Sfortunatamente contro le Vespe ha sempre fatto gol negli scontri diretti, mettendo a segno anche una doppietta”.

Questa è la dimostrazione che il lavoro di Saby Mainolfi alla Juve Stabia in questo momento è prezioso

I talenti dico sempre che sono creati dalla mamma e dal papà, poi noi dobbiamo essere bravi ad assemblarli. Oltre a Brignola, per esempio, c’è anche Michele Volpe al Frosinone, classe ’97, altro attaccante, che sta andando spesso in panchina e anche in A è stato convocato. I ragazzi devono crescere senza pressione. Per esempio, con Alfonso Belmonte, a Roma, contro il Racing Club Roma, nella formazione Under 15 della Juve Stabia c’erano 14 ragazzi usciti dall’attività di base e solo 5 arrivati in questa sessione di mercato”.

a cura di Ciro Novellino

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Bombe a New York e Trump subito cavalca rabbia e paura

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A cinquanta giorni dall’Election Day la paura entra nella campagna presidenziale E gli sfidanti reagiscono all’opposto Il repubblicano Trump auspica “misure forti” mentre la democratica Hillary Clinton suggerisce “prudenza”.

La violenza irrompe sulle elezioni, così Trump cavalca rabbia e paura

Ventinove feriti, di cui uno molto grave nel popolare quartiere di Chelsea, a New York; otto accoltellati, in Minnesota, da un uomo che, secondo le prime ricostruzioni, prima di cadere ucciso invocava Allah; una bomba, inesplosa, ritrovata in New Jersey, sul percorso della maratona di beneficenza per i Marines. Alla vigilia della settimana che porta a Manhattan, alle Nazioni Unite, i leader del mondo, inclusi il presidente Obama e il suo vice Biden, l’America, spaccata a metà dalla durissima campagna elettorale tra la democratica Clinton e il repubblicano Trump, si ricorda del terrorismo.

Dall’Europa è arrivata l’eco di Parigi, Bruxelles e Nizza, i massacri islamisti nati in casa, di Boston, Orlando e San Bernardino sono vivi nella coscienza del Paese, ma una settimana fa, alle celebrazioni per i 15 anni dall’11 settembre 2001 l’ombra del terrore sembrava in qualche modo esorcizzata, effimera, come la guerra dei droni che l’America combatte da un bunker in Nevada, con video e joystick, colpendo bersagli a migliaia di chilometri di distanza. Le immagini di Chelsea, pittoresco rione degli intellettuali affermati dove viveva la critica Susan Sontag, ponte colorato sul fiume Hudson tra borghesi di Midtown e hipster di Brooklyn, tatuano con brutalità il terrorismo nel dibattito che, a breve, Trump e Clinton si accingono a tenere nella volata per la Casa Bianca.

Il sindaco di New York, Bill De Blasio, ha definito l’attacco «intenzionale», non arrivando però a bollarlo come «terrorismo», e viene subito irriso da chi, come l’esperta avvocatessa ex Cnn e Fox News Greta Van Susteren, si chiede «Ma una bomba non è sempre “intenzionale”?». Qualunque cosa abbia inteso dire, pur di guadagnare goffamente tempo, il sindaco De Blasio, Trump è stato invece lesto a cercare consensi nella paura, mentre Clinton, come ormai sembra fare da troppo tempo, s’è limitata a una dichiarazione di maniera, chiedendo chiarezza e prudenza.

È ovvio che servono le indagini, Fbi, intelligence e la Nypd, polizia locale, sono già all’opera sulla dinamica dell’attentato, ma le nevrosi, l’inconscio di un Paese stanco di guerra, i nervi scoperti dal web, frenetico labirinto di comunicazioni non-stop che dopo una giornata di illazioni torna al punto di partenza, richiederebbero il balsamo di una guida rassicurante. Da Washington il presidente Barack Obama appare sempre più assente, ieratico, si nota di più la moglie Michelle, impegnata con grinta nella campagna per la Hillary, e i due candidati non riescono a trovare mai un punto comune, di valori o prospettiva, dividendosi perfino sulle manovre degli hackers, su cui si staglia il profilo della cyberwar russa, per manipolare la corsa presidenziale.

Non credete troppo a chi dirà adesso che la deflagrazione di Chelsea incoraggia i repubblicani o piuttosto rafforza i democratici. Il duello Casa Bianca 2016 si combatte tra paura economica, malgrado gli ultimi rassicuranti dati sui salari medi, rancore sociale, diaspora culturale, in un Paese un tempo forgiato dall’orgoglio del «crogiolo» comune di sentimenti e ideali. Non più: ceti, etnie, fedi religiose, passioni politiche e emozioni, città contro campagna, bianchi contro tutti, gli Stati Uniti sono ormai lacerati dalla turbolenta trasformazione dell’ultimo quarto di secolo. Chi è schierato, con «Hillary» o «The Donald», troverà nella detonazione di Chelsea ragioni per radicarsi rabbioso nel suo voto.

Gli incerti, gli smarriti, i confusi, e sono milioni, saranno ancor più soli e solo a novembre sapremo come hanno fatto infine i conti, nei loro cuori.

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vivicentro/Bombe a New York e Trump subito cavalca rabbia e paura
lastampa/La violenza irrompe sulle elezioni, così Trump cavalca rabbia e paura GIANNI RIOTTA

Il terrorismo torna a New York

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Il terrorismo torna a New York con due bombe artigianali nel quartiere di Chelsea. Si tratta di pentole a pressione, con dentro dell’esplosivo. Una esplode sulla 23ª strada, l’altra viene disinnescata sulla 27ª. I feriti sono 29, non gravi. C’è un altro ordigno che esplode, in New Jersey, attivato anch’esso con l’uso di cellulari. Il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo parla di “terrorismo” ma non vi sono ancora conferme su una pista internazionale. L’Fbi ipotizza la matrice islamica, forse con l’obiettivo di colpire la comunità gay – molto presente a Chelsea – come avvenuto a Orlando. In Minnesota è un immigrato somalo che gridando “Allah hu-Akbar” accoltella otto persone dentro un grande magazzino di St. Cloud. E l’Isis rivendica: “È un nostro soldato”.

Bombe nel cuore di New York, l’incubo della pista islamica

Esplosione nella zona dei locali gay a Chelsea, 29 feriti. Su un altro ordigno vicino trovata una lettera in arabo. Sospetti legami con una deflagrazione in New Jersey

NEW YORK – Sono quasi le undici di sera di sabato, quando il cellulare squilla. Il rumore è quello fastidioso che viene usato per lanciare l’allarme, quando c’è un’emergenza: uragani, inondazioni, terremoti. Apro il messaggio, che viene dalla polizia, e leggo: «Abbiamo trovato un ordigno sospetto sulla 27esima strada. Non affacciatevi alle finestre».

Così la paura esce dai telegiornali e dai social media, per invadere le case di New York. Chiunque abbia messo quell’ordigno, e i sospetti svariano dai «lupi solitari» ispirati dal jihadismo, all’omosessuale risentito contro la società, o al terrorismo interno, voleva ricordare a Manhattan che resta il primo obiettivo di ogni terrorismo.

 Esplosione di una bomba a New York

 Sabato mattina, alle 9,30, c’è stata un’esplosione sulla costa del New Jersey, Seaside Park, dove era in programma una corsa di beneficenza per i marines. Pochi ci hanno dato peso, però. Così quando verso le otto e mezza della sera si sente un botto a Chelsea, il quartiere dove Sid Vicious dei Sex Pistols era stato accusato di aver pugnalato la fidanzata Nancy, adesso popolato da gallerie d’arte e ricchi a caccia di novità, molti pensano a un incidente. Magari l’esplosione di un tubo del gas. John Amidor, un avvocato che vive davanti al numero 133 West della 23esima strada, due blocchi dal negozio di Eataly, è al telefono con un amico a parlare di fantasy football: «Il botto è fortissimo e scuote le finestre. D’istinto corro giù dalle scale. Ho paura, ma l’attacco terroristico non è la prima cosa che mi viene in mente. Fuori ci sono molti cantieri per le costruzioni, immagino sia avvenuto un incidente». Appena in strada, però, John vede una scena strana: «Una signora anziana mi viene incontro sanguinando. Dice che lo scoppio ha fatto staccare il lampadario di casa, che le è caduto in testa. Intorno tutti scappano, alcuni tamponandosi le ferite. Sul punto dell’esplosione vedo un contenitore per i detriti delle costruzioni distrutto, e davanti c’è un suv nero con le portiere aperte: qualcuno lo ha usato per depositarci dentro una bomba?».

La domanda di John è la stessa che si sta ponendo la polizia. Una signora chiama il centralino delle emergenze 911 per avvertire che sulla 27esima strada, poco a Nord dell’esplosione, ha visto una strana pentola a pressione. A quel punto parte il messaggio di allarme verso tutti i cellulari di New York. Gli agenti arrivando di corsa, chiudono la via, fotografano e sequestrano la pentola. C’è un video che riprende chi l’ha lasciata.

Esplosione in strada a New York ripresa da telecamera di sicurezza

 In quei momenti di panico il sindaco De Blasio parla alla tv: «L’esplosione è stata un atto intenzionale, ma non ci sono prove di terrorismo internazionale». I feriti sono 29, uno grave. Li portano al Bellevue Hospital, dove Helen esce alle 4 del mattino: «È stato il più grande botto sentito in vita mia. Poi mi sono accorta che sanguinavo, non riuscivo più a vedere. Ho iniziato a urlare aiuto, accasciandomi sulla strada. Da terra mi ha raccolta l’ambulanza, e quando ho riaperto gli occhi ero in ospedale».

La notte finisce come quella dell’11 settembre, paura e insonnia. Anzi peggio, perché stavolta nessuno sa cosa sia successo, nessuno è stato arrestato, e magari fra qualche minuto la polizia ci avverte che ha trovato un’altra bomba. Nel frattempo in Minnesota, al Crossroads Center Mall di St. Cloud, un tizio con l’uniforme delle guardie di sicurezza ha accoltellato otto persone. Inneggiava ad Allah, chiedeva alle vittime se erano musulmane: un poliziotto fuori servizio lo ha ammazzato.

La mattina di domenica, alle 10, la 23esima strada è ancora bloccata, quando il governatore Andrew Cuomo viene ad aggiornare: «Se scoppia una bomba a New York, è chiaro che si tratta di terrorismo. Però non abbiamo la conferma del collegamento internazionale». Cuomo rivela che la bomba esplosa era simile a quella trovata sulla 27esima strada: sorvola, però, sul fatto che nella seconda c’era una lettera scritta in parte in arabo. Dice che l’ordigno del New Jersey era diverso, ma si sbaglia: i cellulari erano uguali e quindi c’è una possibile connessione. Invece i 29 feriti, per grazia di Dio, sono stati tutti dimessi: «Vista la dimensione dei danni, è un caso che non ci siano stati morti». Due ore dopo il sindaco De Blasio sembra smentire Cuomo: «Non sappiamo se è stato terrorismo, non possiamo escluderlo». Il sospetto è che si stia ripetendo il corto circuito di Bengasi, con i democratici che vogliono negare la pista del terrorismo internazionale, per non compromettere la corsa di Hillary Clinton alla Casa Bianca.

“Dopo la bomba urla e vetri ovunque”

 Nel frattempo Amaq, l’agenzia legata all’Isis, rivendica l’attacco in Minnesota: «Il responsabile era un soldato dello Stato islamico, che ha risposto alla chiamata di colpire i cittadini della coalizione dei crociati». La polizia lo identifica come Dahir Adan, studente americano di origini somale. Sui social media l’Isis celebra anche l’esplosione di New York. Il centralino delle emergenze 911 riceve una chiamata che annuncia altre esplosioni, mentre la polizia sta controllando un account di Tumblr intitolato «I’m the NY Bomber», che ha rivendicato l’attacco: «L’ho fatto perché non sopporto la società. Non posso vivere in un mondo dove gli omosessuali come me sono guardati dall’alto in basso».

Una fonte autorevole del mondo impegnato nelle indagini mi dice: «Non c’è una rivendicazione credibile o conferme forensiche, perciò si dice che non abbiamo prove di terrorismo internazionale. Un pazzo è sempre possibile, però il livello di sofisticatezza è un po’ troppo alto. L’estremismo domestico non ha mai preso di mira i civili così: anche ad Oklahoma City l’obiettivo era un edificio federale. Resta forte l’ipotesi del terrorista interno ispirato dall’estero, o dei terroristi, visto l’attacco anche nel New Jersey. Come alla maratona di Boston, dove sono state usate pentole bomba simili. Forse hanno sbagliato a costruire gli ordini, oppure volevano lanciare un segnale senza fare troppe vittime, perché altrimenti potevano metterli in luoghi diversi, non davanti a un edificio in costruzione. Da domani c’è l’Assemblea Generale dell’Onu, con tutti i capi di Stato qui. È preoccupante che nessuno sia stato arrestato, ma tra la bomba non esplosa, il cellulare, i video, abbiamo parecchie tracce. Chiunque sia stato, ha le ore contate».

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Fiorentina Roma 1-0 |La Roma domina senza concretizzare, beffata da Badelj all’82’

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Fiorentina Roma 1-0. La Roma non riesce a concretizzare nonostante il dominio del primo tempo. La Fiorentina cresce gradualmente e beffa i giallorossi all’82’

Roma- Nel posticipo serale la Roma affronta la Fiorentina al Franchi di Firenze per la quarta giornata di campionato.

L’imperativo della serata era vincere e invece, dopo 82 minuti di gara a reti bianche, arriva il gol della vittoria viola che gela Spalletti e i suoi 11 in campo. Dopo un buon dominio della squadra giallorossa che ha creato sicuramente molte azioni gol, la rete subìta che decreta la prima sconfitta di questo campionato, suona quasi come una beffa. Se la squadra di Spalletti non riesce a concretizzare in 90 minuti (e neanche con Totti-gol buttato nell’arena a 13 minuti dal termine), c’è da chiedersi cosa (o CHI) c’è che non va.

Primo tempo

Dopo i primi 10 minuti che scorrono su ritmi piuttosto blandi, al 15’ arriva la prima occasione da gol per i giallorossi: Florenzi pesca Dzeko in area da rigore, il bosniaco colpisce di testa e manda fuori di pochissimo.

La Roma si fa più pericolosa e al 18′ ancora Dzeko è vicino al gol con un gran tiro che però non sorprende Tatarusanu pronto alla respinta.

Alla mezz’ora inizia a pressare la Fiorentina, gradualmente in crescita, con Tello che prova ad attaccare in area ma Fazio difende bene allontanando il pericolo.

Al 37’ ancora un’occasione d’oro per la Roma: Dzeko ancora servito da Florenzi, si trova a tu per tu con il portiere ma non inquadra la porta e il suo tiro si conclude ampiamente fuori! Altra occasione sprecata.

I ritmi della gara sono ora più elevati, al 43’ è la Fiorentina che tenta il colpaccio con Ilicic che tenta la conclusione da fuori area ma il bolide finisce fuori. Il primo tempo si chiude a reti bianche dopo le molteplici occasioni della Roma che ha dominato senza riuscire a concretizzare il vantaggio.

Secondo tempo

Nella ripresa la Fiorentina appare più agguerrita, Milic su cross di Tello mette i brividi alla difesa giallorossa giungendo alla conclusione sul secondo palo. Ma Szczesny si supera e respinge il siluro.

Ora le due squadre viaggiano su ritmi più serrati creando pericoli da una parte all’altra.

Al 63’ ammonito Florenzi che ferma fallosamente Borja Valero.

Al 65’ sostituzione per la Fiorentina:entra Bernardeschi al posto di Tello.

Al 67’ Fiorentina vicina al vantaggio con un’azione di Kalinic che stacca di testa a pochi passi da Szczesny, la palla termina tra le braccia del portiere. La Roma sta rischiando grosso, Spalletti corre ai ripari inserendo El Sharaawy al posto di un deludente Salah.

Al 76’ il Faraone ha l’occasione per sbloccare il risultato ma giunto in area non calcia in porta e cerca un tocco all’altezza del dischetto respinto dalla difesa viola.

Mancano 13 minuti alla fine, salvo recupero ed entrambe le squadre sono alla ricerca della vittoria. Arriva il momento dei cambi rigenerativi per Sousa e Spalletti: al 77’ entra Babacar ed esce Ilicic mentre Spalletti tenta la svolta con Totti in campo al posto di Perotti.

All’80’ Roma vicinissima al gol! Assist perfetto di Totti per Nainggolan in area che scarica di destro ma colpisce clamorosamente il palo sinistro!!

Beffa per la Roma che all’82’ subisce il gol di Badelj: l’attaccante, con un tiro da fuori area, colpisce il palo ma il rimpallo è favorevole e la palla finisce in rete!

Fiorentina Roma 1- 0

Tanto amaro in bocca per una gara che sembrava essere ben controllata dai giallorossi, ma stavolta neanche l’ingresso di Totti ha cambiato le sorti di una partita che poteva benissimo chiudersi, nel peggiore dei casi, con un pareggio.

FORMAZIONI

Roma: Szczesny; Florenzi, Manolas, Fazio, Bruno Peres; Nainggolan, De Rossi, Strootman; Salah, Dzeko, Perotti.

Allenatore: Spalletti

Fiorentina: Tatarusanu; Tomovic, Rodriguez, Astori, Tello, Sanchez, Badelj, Milic, Borja Valero, Ilicic, Kalinic

Allenatore: Sousa

Arbitro: Rizzoli

Maria D’Auria

Il Podio Gialloblù di Juve Stabia – Siracusa 2 -0

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La Juve Stabia supera anche il Siracusa nel derby con i fratelli aretusei. Le Vespe si impongono grazie alle reti di Kanoute e Cancellotti.

PODIO

Medaglia d’oro: a Tommaso Cancellotti, più che terzino vero è proprio tuttocampista. Il numero 2 offre la solita prestazione gagliarda e convincente sia in fase di spinta che di copertura. Tommaso ringhia sulle caviglie degli avversari nella prima fase del match, e dopo il vantaggio delle Vespe si scatena. Da applausi è lo slalom con cui il terzino entra in area, evita gli avversari e fulmina Santurro con un sinistro potente e preciso. Partita messa in ghiaccio e seconda rete con la maglia della Juve Stabia per Cancellotti. Serata da ricordare per Tommaso anche per la prima fascia da capitano, indossata dopo l’uscita di Morero.

Medaglia d’argento: a Yaye Kanoute, ancora spina nel fianco per le difese avversarie. L’esterno senegalese è sempre un fattore determinante per le fortune della Juve Stabia, che parta dal primo minuto o a partita in corso. Stavolta Kanoute è decisivo in versione goleador e con il suo colpo di testa mette in discesa la partita delle Vespe. Scattando sul filo del fuorigioco, Yaye tiene costantemente sulla corda la difesa siracusana, per poi sfiancarla con accelerazioni e dribbling. Allo stato, quasi un insostituibile nello scacchiere gialloblù.

Medaglia di bronzo: a Daniele Liotti, autore di un match di sostanza. Il numero 14 ha preso definitivamente confidenza nel ruolo di titolare ed appare tra i più maturati da quando è arrivato Fontana. Liotti ha il merito di servire il cross perfetto che Kanoute deve solo appoggiare di testa in rete per l’1-0 stabiese. Prestazione importante anche in fase di marcatura per Liotti, sempre bravo a sovrastare fisicamente gli avversari. Calciatore completamente diverso da quello delle scorse stagioni. Per Liviero non sarà una passeggiata riprendersi il posto da titolare.

CONTROPODIO

Medaglia d’oro: al poco cinismo del primo tempo. La Juve Stabia prima di sbloccare il risultato ha sprecato le “solite” due, tre occasioni, andando poi a vivere una ripresa, e soprattutto un ultimo quarto d’ora di leggera sofferenza. Difetto non nuovo quello del poco cinismo che costringe le Vespe a sbagliare varie occasioni prima di aggiustare la mira. Errori del genere prima o poi si pagheranno, serve più cattiveria negli 11 metri.

Medaglia d’argento: all’ingenuità di Federico Amenta, che rimedia un’espulsione inutile quanto evitabile. Inaccettabile il blocco con cui Amenta ostacola il rinvio di Santurro, costringendo l’arbitro ad ammonirlo per la seconda volta. A causa della scellerata espulsione di Amenta, la Juve Stabia si trova in emergenza per la gara di Fondi, con l’ex Lanciano squalificato e Morero uscito per infortunio. Leggerezza che pesa ancora di più alla luce della enorme esperienza del difensore e dell’infortunio di Morero, in virtù del quale Amenta era entrato in campo.

Medaglia di bronzo: alla botta rimediata da Morero. Il capitano stringe i denti e gioca ancora dal primo minuto ma noie fisiche lo costringono a lasciare il campo già nel primo tempo. Sarà importante valutare le condizioni del difensore argentino e cercare di recuperarlo per la gara di Fondi. La difesa, a maggior ragione senza Amenta, ha bisogno della leadership del centrale ex Alessandria

Raffaele Izzo