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Voto anticipato a sorpresa in Gran Bretagna l’8 giugno

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Il Premier Theresa May scommette su vantaggio Tory su sfondo processo Brexit, per il quale ha chiesto agli elettori sostegno per il negoziato con l’Ue, e annuncia: ‘Voto anticipato l’8 giugno’. Per ottenerlo si rivolgerà alla Camera dei Comuni. La May, come ha ricordato il Guardian, per indire elezioni anticipate ha bisogno dei voti dei 2/3 dell’assemblea, cioè 434 deputati: con Conservatori (330) e Laburisti (229) insieme, ha la maggioranza.

La Brexit è nell’interesse nazionale ma gli altri partiti si oppongono”, ha detto  May spiegando l’annuncio delle elezioni anticipate. A suo parere,  il voto si impone  per far fronte al clima di “divisione” seminato dalle opposizioni laburista, libdem e indipendentista scozzese a Westminster che rischiano di indebolire il Paese nel negoziato sulla Brexit. La May si è appellata ai britannici a votare Tory. May ha ammesso di aver escluso in passato il voto anticipato (leggi sotto), ma di ritenere ora che questo sia “l’unico modo per garantire certezza” al Paese e condurre in porto la Brexit: “Ne abbiamo bisogno e ne abbiamo bisogno ora”, ha detto.

Serve una “leadership forte nell’interesse nazionale”, ha affermato, parlando di fronte al 10 di Downing Street. “E’ l’unico modo per dare certezza e stabilità al Paese nei prossimi anni”, ha proseguito, indicando una decisione presa con “riluttanza”: “Pensavo non ce ne fosse bisogno” di votare prima. Ma, ha aggiunto, “è con grande convinzione” che lotterà per dare una guida forte al Paese.

La May ha puntato il dito contro un panorama politico diviso sulla Brexit:

  • Laburisti: hanno minacciato di votare contro l’accordo
  • Lib-dem vogliono arrivare all’impasse
  • Partito nazionalista scozzese è contrario e sta preparando un secondo referendum sull’indipendenza Camera dei Lord è contrario e si oppone a oltranza

Il leader laburista Jeremy Corbyn si è detto favorevole alla richiesta di elezioni anticipate. Il Labour è quindi pronto a votare la mozione che sarà presentata domani alla Camera dei Comuni e già si lancia nella campagna elettorale per “offrire un’alternativa” ai Tories.

  • Tutte le volte che la May ha detto: niente voto anticipato

The Independent ha postato una lista delle volte che la May ha assicurato che non avrebbe indetto elezioni anticipate: dal 4 settembre 2016 fino al 20 marzo 2017, la leader dei conservatori ha ribadito pubblicamente almeno in cinque occasioni che le elezioni anticipate non erano in programma.

30 giugno 2016: “Non ci dovrebbero essere elezioni generali fino al 2020. Ci dovrebbe essere una dichiarazione autunnale normale, tenuta in modo normale, nel tempo normale, senzauna finanziaria d’emergenza”.

4 settembre 2016: “Non indirò elezioni anticipate. Sono stata molto chiara, penso che abbiamo bisogno di questo periodo di tempo, di questa stabilità, per essere in grado di gestire i temi che il Paesi ha di fronte a sè e andare a elezioni nel 2020”.

1 ottobre 2016: “Theresa May ha escluso la possibilità di elezioni generali prima del 2020 a causa del rischio di ‘instabilità’ posto da un voto anticipato”.

7 marzo 2017: una fonte al numero 10 di Downing Street ha detto: “Non succederà. Non è qualcosa che pianifica o vuole fare”.

20 marzo 2017: “Un portavoce di Downing Street ha dichiarato a una conferenza di giornalisti a Westminster lunedì mattina – Non c’è nessun cambiamento nella nostra posizione su elezioni anticipate. Non ci saranno elezioni generali”.

redazione/agi/ansa

Francia, la versione di Mélenchon, l’outsider di sinistra che punta all’Eliseo

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Domenica la Francia va al voto per il primo turno delle presidenziali ed è ancora difficile capire chi prevarrà e quali tattiche si potranno scatenare in vista del secondo turno. A complicare lo scenario contribuisce anche la notevole ascesa dell’outsider di sinistra Jean-Luc Mélenchon che, intervistato da La Stampa, dice: «No a questa Ue che impone il libero scambio».

Mélenchon: “No a questa Europa che impone il libero scambio”

L’outsider di sinistra che punta all’Eliseo esalta il protezionismo: «Difendiamo le produzioni francesi. Rinegozierò i trattati della Ue»

PARIGI – Il «comandante» si è raccomandato: niente bandiere rosse, solo tricolori. Pugni alzati? Per carità. A 65 anni suonati, il nuovo Jean-Luc Mélenchon, in rimonta nei sondaggi, a pochi giorni dal primo turno delle presidenziali, deve rassicurare.

Ma la strampalata orchestra di tromboni, sul ponte della chiatta, che si avvicina lentamente alla banchina del canale dell’Ourq, periferia Nord di Parigi, intona «Avanti popolo». E gli astanti cantano, in italiano. Il comandante invita alcuni giornalisti a salire.

Signor Mélenchon, lei è il candidato dell’estrema sinistra?  

«Macché. Quella è rappresentata da altri candidati, come Philippe Poutou o Natalie Arthaud. Io non propongo la socializzazione di tutti gli strumenti di produzione o l’eguaglianza dei salari. Voglio rilanciare l’economia francese con l’ecologia: 100 miliardi d’investimenti sociali e ambientali. È una posizione simile a quella del Partito socialista, di cui facevo parte, fino a qualche anno fa».

È cosciente che all’estero si trema pensando a lei presidente? La Francia uscirebbe dalla Ue e dall’euro.  

«Quello è solo un piano B, se non funzione il piano A, che è rinegoziare i trattati europei. Perché si deve pensare che ogni discussione sia già condannata a priori? Non sono io a distruggere l’Europa, sono i trattati europei. Comunque, sono ottimista».

Perché?  

«L’Europa e l’euro senza la Francia non si fanno. Se fossi eletto, mi ascolterebbero».

Perché ce l’ha con la Merkel?

«Il problema è che lei non è la cancelliera dell’Europa, ma solo della Germania. Mi voglio congratulare con la signora Merkel: si è comportata in maniera estremamente razionale. Invece, non sono stati all’altezza i presidenti francesi, Nicolas Sarkozy e François Hollande, che avevano promesso di rinegoziare i trattati e non l’hanno fatto. Ho altri illustri predecessori in quello che voglio fare».

Chi?  

«Il generale de Gaulle, che portò avanti la politica “della sedia vuota” per ottenere la Politica agricola comune».

Cosa non funziona nell’Europa?  

«La politica d’austerità. La Banca centrale, che assicura solo la stabilità dei prezzi, senza riguardo all’occupazione. Poi lo statuto dei “lavoratori distaccati”, per cui ne possono inviare in Francia da altri Stati Ue, pagando lì contributi sociali più bassi. Mettono in concorrenza le nazioni, i cittadini».

Lei è molto critico anche sulla politica commerciale di Bruxelles.  

«Non credo al dogma del libero scambio, che vuole imporci l’Ue. E che vuole imporre pure agli altri. Vorrei, invece, scambi commerciali negoziati, il protezionismo solidale. Protezionismo, sì, perché dobbiamo proteggere i nostri settori produttivi. Poi, non si può fabbricare tutto. E allora applicherei un’organizzazione bilaterale o multilaterale degli scambi, con l’obiettivo di sviluppare i nostri Paesi. Non si deve far entrare qualsiasi cosa».

È cosciente che l’accusano di non essere credibile per l’economia?  

«Oltre i 100 miliardi d’investimenti, prevedo 172 miliardi di spesa pubblica supplementare su cinque anni. Si provoca un ritorno sull’evoluzione dell’economia. Siamo stati molto più moderati di una bolscevica riconosciuta come Christine Lagarde, che per un euro investito dice che ce ne sono 3 di attività generata e consiglia di indebitarsi sulla base di quelle proporzioni. Ecco, noi calcoliamo un moltiplicatore pari ad appena 1,5».

Emmanuel Macron dice che non vorrebbe più industrie con i fumi, ma solo hi-tech. Anche lei?  

«Ormai si può avere un’industria senza lo scarico di fumi, che poi non sono sempre inquinanti. È una visione astratta, di chi sta su un balcone e osserva, di gente che non sa come e cosa si produce: i Paesi hanno bisogno del manifatturiero per svilupparsi. Macron è un uomo di finanza. Per definizione sono dei parassiti, non producono nulla».

vivicentro.it/politica
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lastampa/Mélenchon: “No a questa Europa che impone il libero scambio” LEONARDO MARTINELLI – PARIGI

Mertens-Napoli, il belga alza le sue richieste

Mertens-Napoli, il belga alza le sue richieste

Mertens-Napoli, rinnovo a breve. Il Corriere del Mezzogiorno scrive: “Mertens ha appena riavviato la trattativa con il club dopo mesi di stand by. De Laurentiis è propenso al rinnovo, magari con una clausola rescissoria valida solo per l’estero. Il giocatore (forte del suo rendimento) ha alzato le sue richieste, ma il compromesso è vicino”

Asse Napoli-Udinese, scambio Zapata-Jankto: le ultime

Asse Napoli-Udinese,  scambio Zapata-Jankto: le ultime

UDINE. Potrebbe sembrare uno scambio di figurine fuori dalla scuola: io ti do uno Duvan Zapata, mi dai Jakub Jankto? Niente da fare, a quanto sembra.

A margine della partita di Napoli, lo scorso sabato, c’è stato spazio anche per ragionare anche su un possibile affare che veda l’approdo definitivo del Panteron a Udine con il gioiellino ceco subito in azzurro per diventare il vice Marek Hamsik, nonostante il rinnovo del contratto (fino al giugno del 2021) firmato proprio la scorsa settimana, prima della partenza per Napoli, quasi un messaggio chiaro per far capire alle pretendenti che il coltello resta dalla parte del manico. E saldamente nelle mani di Gino Pozzo.

Nessuna offerta ufficiale, è tempo di sondaggi, ma quello del ds partenopeo Cristiano Giuntoli ha trovato la strada sbarrata.

L’Udinese non intende privarsi di Jankto dopo appena un campionato in prima squadra, solo in parte con i galloni del (possibile) titolare. L’idea è chiara: Pozzo vuole far crescere il ceco qui in Friuli per poi cederlo a una big se manterrà tutte le promesse.

Un paio di anni di apprendistato gli faranno bene e, allo stesso tempo, garantiranno prestazioni di qualità all’Udinese che, tra l’altro, si è già assicurata il connazionale Antonin Barak per la prossima stagione.

L’aver ceduto Piotr Zielinski (proprio al Napoli, per una ventina di milioni) senza neppure averlo potuto vedere – praticamente – in casacca bianconera, visti i due anni giocati con profitto in prestito ad Empoli, brucia ancora non poco alla dirigenza dell’Udinese che ora non intende rinunciare a cuor leggero ai propri “talentini”.

Tanto che anche Seko Fofana, infortunato dalla gara con la Juve di inizio marzo e fuori fino al termine della stagione, sarà uno dei punti di riferimento del centrocampo del futuro.

Un discorso leggermente diverso riguarda Samir. Il brasiliano, pure lui out per colpa di un problema al menisco, è finito nei radar delle grandi, soprattutto dell’Inter che pare colpito dalla duttilità del difensore bianconero.

Per il quale potrebbero recitare una parte importante anche gli accordi che furono fatti nel dicembre del 2015 per strappare il giocatore al Flamengo che deteneva solo la metà del cartellino, visto che l’altro 40 per cento era dell’Audax di Rio e il 10 nelle mani del padre dello stesso Samir.

Tutte percentuali che, ne caso non fossero tutte “risolte” a favore dell’Udinese, potrebbero premere per un immediata cessione del brasiliano, cessione che Pozzo non vorrebbe concretizzare la prossima estate.

Ma perché l’Udinese pare così risoluta nello respindere lo scambio Zapata-Jankto col Napoli?

La convinzione è che la valutazione del colombiano sia eccessiva per i costumi bianconeri e che questa – soprattutto – possa portare a una richiesta di ingaggio troppo alta per la politica low cost del club bianconero. Non a caso il procuratore di Zapata, Fernando Villarreal, accanto all’apprezzamento del proprio assistito per la piazza udinese, aggiunge le ipotesi di un possibile futuro all’estero, magari in Premier League.

Insomma, Pozzo sa già che l’argomento centravanti sarà caldo la prossima estate: dovrà trovarne uno nuovo. E trovare una collocazione in prestito a Stipe Perica, se non avrà spazio qui in Friuli. Un po’ quello si aspettano Andrija Balic e Simone Scuffet, per parlare di altri giovani più o meno “chiusi” (anche se Sven Kums sarà rispedito al Watford).

Voci in entrata?

 Sotto traccia. A sinistra piace il pescarese di scuola Inter Cristiano Biraghi. In mezzo, sempre in difesa, la new entry è un altro 24enne, il livornese del Crotone Federico Ceccherini, cercato pure dal Genoa. Ma siamo solo all’inizio

Fonte: Messagero Veneto

Mercato Napoli, il tesoretto arriva dalle uscite: Ghoulam e Zapata i sacrificabili

Mercato Napoli, il tesoretto arriva dalle uscite: Ghoulam e Zapata i sacrificabili

Il Napoli potrà godere di un importante tesoretto da investire sul mercato, senza considerare i milioni di euro che potrebbero arrivare dalla qualificazione diretta in Champions League. Giuntoli, oltre a comprare, sarà impegnato anche a vendere alcuni giocatori, che sono ormai fuori dal progetto azzurro. In particolare, stiamo parlando di Faouzi Ghoulam e Duvan Zapata, che potrebbero lasciare gli azzurri nella prossima sessione di mercato. Da valutare anche il futuro di Giaccherini, che non ha trovato tantissimo spazio alla corte di Maurizio Sarri. A riportarlo, la Repubblica.

Hamsik sempre determinate: anche con l’Udinese c’è la sua firma

Hamsik sempre determinate: anche con l’Udinese c’è la sua firma

Marek Hamsik sta vivendo la miglior stagione da quando è approdato al Napoli. Anche contro l’Udinese il capitano azzurro è stato determinate con i suoi momenti che hanno permesso ai partenopei di superare i friulani. La Gazzetta dello Sport scrive: “Sì, perché il movimento di Hamsik è una prodezza quanto l’interno destro di Mertens: Marek accentrandosi ha portato fuori posizione Danilo e creato il corridoio per Dries al limite dell’area. E proprio in quello spazio s’è infilato l’assist in verticale di Jorginho: un tocco dolce, quasi poetico, sicuramente determinante”.

Napoli, Szczesny per il dopo Reina: arrivano conferme

Napoli, Szczesny per il dopo Reina: arrivano conferme

Il direttore sportivo Giuntoli è alla ricerca di un nuovo portiere che possa garantire sicurezza e che possa sostituire Pepe Reina. Rafael e Sepe partiranno quest’estate dato il poco spazio offerto da Maurizio Sarri, nonostante le prestazioni non sempre positive dell’estremo difensore spagnolo. Secondo quanto riporta Repubblica, gli azzurri sarebbero molto interessati al portiere romanista, ma di proprietà dell’Arsenal, Wojciech Szczesny, che difficilmente verrà confermato dai giallorossi il prossimo anno.

Mertens-Napoli, rinnovo work in progress: i dettagli

Mertens-Napoli, rinnovo work in progress: i dettagli

Dopo Insigne, anche Mertens firmerà il rinnovo con il Napoli. ADL ha fatto sapere agli agenti di Dries Mertens che non ci sarà alcuna discussione: o si rinnova, o si arriva a scadenza di contratto. Tra pochi giorni l’accordo potrebbe essere messo nero su bianco. Da valutare i dettagli e la presenza o meno della clausola rescissoria. Si spinge per il sì, ma solo a partire dal 2018. A riportalo, il Mattino.

Insigne-Napoli, il rinnovo è questione di ore: le ultime

Insigne-Napoli, il rinnovo è questione di ore: le ultime

Lorenzo Insigne resterà ancora per molto al Napoli. Il Mattino spiega che il rinnovo del ragazzo arriverà prestissimo e che ogni momento è quello giusto per l’annuncio. L’attaccante azzurro guadagnerà 4,5 milioni di euro e sarà uno dei calciatori più pagati in rosa. I diritti di immagine andranno nelle casse della società.

Maradona: “Con Sarri sarei andato d’accordo, avrei voluto vincere il terzo scudetto”

Maradona: “Con Sarri sarei andato d’accordo, avrei voluto vincere il terzo scudetto”

Ai microfoni di “Sorrisi e Canzoni”, è intervenuto Diego Armando Maradona, ai margini dello spettacolo teatrale “tre volte 10” che l’ha visto protagonista insieme ad Alessandro Siani. Ecco quanto evidenziato dalla Gazzetta dello Sport:  “Ho fatto questo spettacolo perché Alessandro Siani mi è parso un uomo brillante, un ragazzo buonissimo. E l’ho fatto perché quando sono andato a Napoli la partita d’addio di Ciro Ferrara non sono potuto scendere in campo. Lo dovevo alla gente di Napoli, anche se non tutti sono potuti entrare in tratro, ma è stata comunque una buona cosa essere a contatto con la gente napoletana. Mi ha fatto ricordare tante cose belle che ho vissuto con i ragazzi, con i tifosi e con la gente di Napoli. Devo ringraziare Siani per questo perché lui è stato il mio supporto. Il palcoscenico non è il mio campo, il mio habitat naturale è un campo di calcio. Lo scenario era totalmente differente. Con Sarri sarebbe andato d’accordo? Sicuramente. Mi piace il mister, amo la qualità umana che ha, il dono di saper essere vicino ai ragazzi. L’ho guardato lavorare da vicino e ho visto la sua sensibilità. A Napoli non devi essere così, perché se a Napoli ti mostri superbo la gente non ti vuole. Per questo la città ama Sarri, lui non ha alcuna superbia”.

A NAPOLI-“Ero abituato a essere circondato dalla gente, veniva davanti casa mia, all’allenamento, non potevo uscire dalla porta, però tutto questo veniva ripagato la domeica quando giocavamo al San Paolo ed era strapieno. Io devo alla gente di Napoli la carica che mi dava per andare a vincere la partita”.

IL RIMPIANTO-“Non avere vinto il terzo scudetto. Sicuramente. Non essere potuto andarmene come volevo io. Grazie a Matarrese e a Ferlaino ho dovuto andarmene… dalla finestra”.

Erdogan ha vinto! Tanti dubbi, ma la collaborazione con Ankara resta fondamentale

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Erdogan – scrive l’editorialista de La Stampa Stefano Stefanini – «rimane l’uomo forte ma indispensabile col quale la comunità internazionale e l’Europa si misurano su Siria, Mediterraneo, immigrazione e lotta al terrorismo. È giusto interrogarsi sulla democrazia in Turchia, ma la collaborazione con Ankara resta fondamentale».

L’Europa e la svolta di Ankara

Uscito vittorioso dal referendum, il Presidente turco è più che mai l’uomo forte ma indispensabile, col quale la comunità internazionale e l’Europa si misurano su Siria, Mediterraneo, immigrazione e lotta al terrorismo. Giusto interrogarsi sulla democrazia in Turchia, ma la collaborazione con Ankara resta fondamentale, con un occhio di riguardo all’immigrazione per l’Unione Europea.

Tayyip Recep Erdogan crede (in buona compagnia) che l’investitura popolare lo autorizzi a governare senza troppi lacci e lacciuoli di divisione dei poteri e di libertà di critica. Non ne faceva mistero. Così stava già governando, specie negli ultimi nove mesi grazie allo stato d’emergenza dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio. Adesso la nuova Costituzione gli dà ragione. Ha raggiunto il traguardo.

LEGGI ANCHE: Erdogan accusato di brogli

Il Presidente turco l’ha spuntata con meno del 52% dei suffragi, malgrado una massiccia mobilitazione e una campagna chiaramente sbilanciata a favore del «sì», sulla scia di giri di vite e purghe massicce. Ha strappato la maggioranza ma non sfiora lontanamente il consenso. Gli basta. Ha cavalcato spregiudicatamente la roulette dei referendum che spaccano anziché unire. Manciate di voti sono sufficienti per imporre scelte risolutive su un’intera nazione. Il giorno dopo sta però ai vincitori decidere cosa fare del successo. Con un Paese diviso e diffidenze europee ed internazionali, il Presidente turco deve stare attento a non sopravvalutarlo.

All’interno Erdogan dovrà dimostrare che la nuova repubblica presidenziale, nelle sue mani, porta stabilità senza strangolare la libertà. L’ha promesso in campagna referendaria. Il futuro della democrazia turca si gioca nel bilanciamento fra i nuovi poteri del Presidente e la salvaguardia di un livello basilare di prerogative del Parlamento, della magistratura, delle opposizioni e dell’informazione. Se vi sarà. Una dose di scetticismo è d’obbligo.

Il quadro internazionale è complesso. La Turchia fa parte dell’Occidente. Spingerla fuori sarebbe autolesionismo. A parte la tradizionale appartenenza alla Nato, Ankara ha oggi un ruolo chiave nella crisi siriana e negli equilibri mediorientali fra Stati Uniti e Russia, fra Iran e Paesi del Golfo. Del resto, leader «forti», da Mosca al Cairo, sono la regola non l’eccezione. Con loro bisogna aver a che fare – e collaborare quando possibile. Questa è senz’altro la linea della nuova amministrazione americana, vedi la calorosa accoglienza riservata da Donald Trump ad Abdel Fattah al Sisi. Da Washington Erdogan ha poco da temere.

Gli europei non possono sottrarsi alla stessa iniezione di realpolitik. Si aggiungono due fattori: immigrazione e candidatura turca all’Ue. Sulla prima, Ankara ha il coltello dalla parte del manico. Siamo alla vigilia della buona stagione. Il rubinetto della rotta greco-balcanica è chiuso grazie all’accordo Ue-Turchia; se riaperto (avvisaglie non sono escluse), tornano gli sbarchi in Grecia e la marcia verso le frontiere dell’Ue – con le elezioni tedesche in settembre. L’Ue non può permetterselo; Erdogan lo sa. Vorrà incassare l’esenzione da visti; un no non è motivabile col referendum.

Il Presidente turco è invece sul filo del rasoio riguardo alla candidatura. Oggi la prospettiva di adesione non è realistica; lo sanno ad Ankara come a Bruxelles. Tenerla in vita facilita però l’atmosfera dei rapporti. La reintroduzione della pena di morte già ventilata da Erdogan chiuderebbe definitivamente qualsiasi spiraglio. L’Ue non avrebbe altra scelta che sospendere sine die il negoziato. La prova di forza del Presidente turco all’interno darebbe gratuito schiaffo ai valori europei che Bruxelles non potrebbe ignorare.

L’inebriamento da successo è pericoloso. Sofocle lo chiamò «hubris». Questo il rischio per Tayyip Recep Erdogan. In nove mesi è passato dalla sopravvivenza, grazie allo schermo di uno smart phone in una tragica notte di mezz’estate, alla piazza sbandierante «evet» (sì) in una serata di primavera. Ha di che ringraziare il carisma, ma anche la buona fortuna. Gettare ponti verso quel 49% del Paese che gli ha votato contro, verso un’Europa e un’Occidente di cui la Turchia ha bisogno, o sfidare tutti sentendosi più forte? La scelta è sua. Intanto Ue e Nato farebbero bene a tenergli porte e canali aperti.

vivicentro.it/editoriale
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lastampa/L’Europa e la svolta di Ankara

Erdogan accusato di brogli

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Recep Tayyip Erdogan ha vinto il referendum che gli garantisce maggiori poteri: la Turchia è divisa e si allontana dall’Europa. L’Occidente guarda l’esito del voto e gli osservatori dell’Osce esprimono dubbi sulla correttezza delle operazioni di voto.

Il presidente ha perso l’appoggio della parte produttiva della Turchia

Le città più ricche e sviluppate, Istanbul e Ankara comprese, hanno scelto il no. Il sondaggista: il partito islamico non ha più l’elettorato trasversale di una volta

ISTANBUL – A rimanere totalmente fedele al presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdogan, c’è rimasta praticamente solo l’Anatolia profonda, quella che, del resto, ha sempre rappresentato lo zoccolo duro dell’elettorato di Nemettin Erbakan, il padre della destra islamica turca e il maestro del capo dello Stato. L’unica sorpresa importante arriva dal voto all’estero, dove la riforma che regala al presidente poteri quasi illimitati è stata votata con quasi il 60%, con picchi nei Paesi europei che Erdogan ha attaccato maggiormente.

Per il resto, a fronte di una vittoria tanto epocale quanto contestata e con il suo 51,4% di sicuro non plebiscitaria, l’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, che guida il Paese dal 2002, per la prima volta dopo 15 anni, ha perso nella capitale Ankara e soprattutto a Istanbul, dove il no alla riforma costituzionale ha ottenuto rispettivamente il 51,15% e il 51,35%. Si tratta di un particolare non da poco. L’ascesa politica di Recep Tayyip Erdogan è partita proprio dalla megalopoli sul Bosforo, dove il Presidente ha sempre avuto il suo seggio di elezione e con la sua esperienza da primo cittadino che è sempre stata portata come un esempio della sua capacità di realizzare quello che prometteva. Il no si è affermato, anche se per poco, in distretti sulla carta particolarmente filogovernatvi, come Fatih, Eyup e persino Uskudar, quello dove ha la sua residenza il capo dello Stato a segnare come ormai la Mezzaluna sia irrimediabilmente divisa anche dove la si riteneva compatta.

La laica Smirne rimane un obiettivo irraggiungibile, con il sì al presidenzialismo fermo al 31%. Ma l’Akp ha registrato una flessione in città dove in passato aveva avuto un’affermazione netta, come Antalya e Mersin, sulla costa mediterranea e Adana, non lontana dal travagliato confine siriano. Queste sei città da sole rappresentano un terzo del potere finanziario, turistico, industriale, culturale del Paese. Segno che la parte più istruita, agiata e aperta della Turchia ha detto no ai disegni del presidente e che soprattutto il partito islamico non ha più l’elettorato trasversale che poteva vantare una volta.

«A dire sì alla riforma – spiega, Murat Gezici, il sondaggista noto nel Paese per azzeccare sempre le previsioni e che nel 2015 per questo si è visto comminare una multa da 38 mila euro – sono state soprattutto le persone più religiose. La motivazione fondamentale è un potere più ampio e stabile al presidente e una Turchia più forte. Il no, invece è stato votato soprattutto da persone di sinistra e dai laici, la motivazione principale era la diminuzione della democrazia del Paese. A risultato ottenuto, è chiaro che questo voto possiede anche un grande valore ideologico».

I più in difficoltà sono i nazionalisti, quasi matematicamente spaccati in due. Il Mhp, che ha appoggiato la riforma di Erdogan in parlamento permettendole di arrivare al referendum, adesso deve fare i conti con una dirigenza che potrebbe saltare e con un elettorato fortemente deluso da entrambe le parti. A Osmaniye, dal 1997 feudo del segretario del Partito, Devlet Bahceli, il sì ha ottenuto un 57%, lontano da quel valore plebiscitario che si aspettava dalla formazione. Segno che i timori di una deriva islamica hanno frenato quelli che si considerano i veri eredi di Mustafa Kemal Atatürk.

Sembra quasi un paradosso, ma i risultati migliori li ha ottenuti il fronte del no, che si è affermato con grande convinzione nelle zone della costa Egea, nella Tracia e nel Sud-Est a maggioranza curda. Secondo una prima analisi del voto, I due partiti insieme avrebbero conseguito un aumento delle preferenze dell’11% rispetto alle politiche del novembre 2015.

«Erdogan – conclude Gezici – ha saputo sfruttare le tensioni con l’Europa e l’accordo sui migranti per catalizzare consenso, ma ha sbagliato a pensare che chi lo ha votato alle politiche del 2015 lo avrebbe fatto anche al referendum».

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lastampa/Il presidente ha perso l’appoggio della parte produttiva della Turchia MARTA OTTAVIANI – ISTANBUL

Sbarchi record di migranti: almeno 13 morti al largo della Libia

Superlavoro per gli uomini della Guardia Costiera e di Frontex. Soccorsi e salvati in migliaia ma si sono contati anche almeno 13 morti al largo della Libia. Arrivi in aumento del 23,8% sul 2016

Sbarchi, esodo da record 8.500 salvati in tre giorni

Crescono gli arrivi di migranti in Italia: negli ultimi giorni almeno 8.500 persone sono state salvate nel Mediterraneo. Fra loro 13 migranti sono morti al largo della Libia in condizioni disperate, come mostra questa fotografia scattata nei mari davanti a Zawiya da un fotografo di Reuters. Gli arrivi in Italia sono in aumento del 23,8% sul 2016.
ROMA – Superlavoro in mare, nei giorni di Pasqua, per chi recupera migranti sui gommoni. Secondo dati del ministero dell’Interno, sono stati salvati e portati in Italia in 8500 (2.000 venerdì, 4.500 sabato, 2.000 domenica). Recuperate anche 13 salme dal naufragio di due gommoni al largo della Libia. E chissà quanti sono quelli scomparsi tra le onde. Sono quindi da aggiornare le statistiche: gli ultimi dati del Viminale, alla data del 12 aprile, dicono che sono 26.989 i migranti sbarcati, con un incremento del 23,80% rispetto al 2016.

Complice un mare particolarmente piatto, per tre giorni gli scafisti libici hanno fatto mettere in acqua ogni tipo di natante. E le flotte che sono al lavoro nel Mediterraneo sono state impegnate allo spasimo.

L’agenzia europea Frontex ha recuperato 1400 persone in tredici distinte operazioni di salvataggio. I suoi vascelli sono quelli dell’operazione europea Triton: 600 li hanno sbarcati sabato, altri 816 li trasporta la barca norvegese Siem Pilot, attesa oggi a Cagliari.

Altre centinaia li hanno salvati la Guardia costiera italiana e le navi militari. Erano le 10 del mattino di ieri quando a Porto Empedocle (Agrigento) terminavano le operazioni di sbarco dei 447 migranti tratti in salvo dalla nave «Chimera» della Marina Militare.

La parte del leone, però, l’ha fatta il naviglio dell’internazionale della solidarietà. Le navi umanitarie di Ong spagnole, tedesche, britanniche e francesi hanno lanciato appelli disperati fin dalla notte di sabato. Circa mille sono giunti a Messina a bordo della nave umanitaria «Panther». Altri 1100 sono sbarcati a Catania con la nave tedesca Tender A513 Rhein.

L’impennata di sbarchi riaccende la polemica. «È ormai chiaro – dice Matteo Salvini, Lega – che l’immigrazione clandestina è organizzata e finanziata. Per questo motivo abbiamo deciso di denunciare il presidente del Consiglio, i ministri e i comandanti della Marina e della Guardia Costiera per favoreggiamento». Gli fa eco Maurizio Gasparri, Forza Italia: «Altre migliaia di persone che non ne hanno diritto, tramite la sperimentata filiera trafficanti-Ong-Guardia costiera-Viminale, approdano in Italia. Una catastrofe firmata Pd». E Paolo Romani, capogruppo FI: «L’indagine conoscitiva offra una soluzione per interrompere il meccanismo infernale, avviato inconsapevolmente dalle Ong, di incentivazione del traffico di esseri umani».

vivicentro.it/cronaca
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lastampa/Sbarchi, esodo da record 8.500 salvati in tre giorni FRANCESCO GRIGNETTI

Reddito povertà: andrà anche a chi ha casa di proprietà, fino a 485 euro al mese

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La misura riguarderà 2 milioni di persone. Entro fine mese i decreti attuativi

Forte accelerata sul Reddito di inclusione (Rei) che riguarderà circa 2 milioni di persone e andrà anche a chi ha casa di proprietà. Il tetto sarà di 485 euro al mese e si continuerà a percepirlo anche una volta trovato lavoro, ma solo per qualche mese. Ad annunciare le novità sul fronte dell’intervento contro la povertà è lo stesso premier Gentiloni, in occasione della firma del memorandum d’intesa sul Rei con l’alleanza contro la povertà e il ministro del lavoro Poletti.

Quanto alle risorse, nonostante le perplessità dei sindacati per i quali si tratta di somme insufficienti per una misura universale, il Def ha stanziato 1,2 miliardi per il 2017 e 1,7 miliardi per il 2018.

LEGGI ANCHE: Inclusione attiva: 320 euro al mese per 200mila famiglie

I punti chiave dell’intesa

Nel memorandum firmato a palazzo Chigi tra primo ministro e Alleanza sono stati definiti i criteri d’accesso e i beneficiari della misura universale contro la povertà, nonché quelli per determinare l’importo del beneficio e i meccanismi per far sì che lo stesso non diventi un disincentivo economico alla ricerca di un lavoro, oltre al piano operativo per le attività di monitoraggio della misura.

Non solo Isee

Tra i criteri previsti dall’intesa raggiunta c’è innanzitutto l’Isee. Ma lo stesso non sarà l’unico per avere accesso al Rei, si terrà conto infatti anche del reddito effettivamente disponibile, cosicchè avranno diritto al beneficio anche coloro che possiedono l’immobile in cui abitano ma versano comunque in stato di povertà. L’Isee comunque non dovrà essere superiore alla soglia di 6mila euro, il doppio rispetto a quella stabilita oggi per il SIA.

L’importo del Rei

L’importo del Rei sarà calcolato sulla differenza tra reddito disponibile e soglia ISR (ossia la parte reddituale dell’Isee). Il beneficio dovrà coprire il 70% della differenza calcolata e il meccanismo sarà tale che minore sia il reddito disponibile maggiore sia il sostegno (commisurato anche alla dimensione del nucleo familiare, alla presenza di disabili, minori, ecc.).

In ogni caso, dall’importo andranno sottratti gli altri benefici percepiti a titolo di misure assistenziali dal nucleo familiare (fatta eccezione per l’indennità di accompagnamento) e il tetto massimo per il primo anno non supererà i 485 euro al mese.

Se si trova lavoro…

Allo studio meccanismi in base ai quali la misura venga erogata (seppur in versione ridotta e solo per un periodo) anche in caso di incremento del reddito al di sopra della soglia prevista per il diritto all’accesso al beneficio. Ad esempio, nel caso in cui il soggetto beneficiario trovi occupazione. Il fine è quello di evitare che la misura si trasformi in un disincentivo alla ricerca di un lavoro (per paura di perdere il Rei), anche perché obiettivo del reddito di inclusone, rispetto ad altre tipologie di sostegno, è proprio quella di superare la logica assistenziale muovendosi verso il reinserimento sociale e lavorativo.

I servizi connessi

Siglato anche l’impegno ad introdurre nel fondo ad hoc per la lotta alla povertà una linea di finanziamento strutturale per i servizi legati al Rei sotto forma di quote vincolate da destinare ai territori. Le stesse non potranno scendere al di sotto del 15% del fondo mentre quelle destinate ai servizi di inclusione sociale sotto quella del 25%.

Nei decreti attuativi sarà prevista anche una struttura permanente che affiancherà le amministrazioni territoriali per assicurare l’applicazione uniforme del beneficio. Alla stessa dovranno essere garantite risorse adeguate per svolgere i compiti affidati, tra cui: promozione, sostegno e implementazione del reddito di inclusione, diffusione di linee guida, realizzazioni di incontri, tutoraggio.

Il piano di monitoraggio

Entro dicembre, infine, il ministero del lavoro dovrà presentare un piano di monitoraggio per la verifica dell’applicazione del Rei su tutto il territorio.

Nel piano saranno definite le modalità operative per la raccolta dei dati e i soggetti a vario titolo coinvolti; oltre agli indicatori qualitativi e quantitativi del Rei (sia per la parte economica che per i servizi alla persona).

di Marina Crisafi – StudioCataldi.it

Insigne-Mertens, pro e contro sulla permanenza/cessione

Insigne-Mertens, pro e contro sulla permanenza/cessione

La bravura di un allenatore passa anche dal saper trasformare problemi e situazioni spinose in virtù e risorse; è quanto è accaduto a Maurizio Sarri, bravissimo nel gestire in questi due anni il dualismo Insigne – Mertens. Se guardiamo a qualche mese fa, avevamo in rosa due campioncini che coprivano sostanzialmente la stessa zona di campo, con un titolare atteso, Insigne, e un sostituto d’eccezione, Mertens. Spesso succedeva che alla giornata storta del primo, subentrasse il secondo, spesso risolvendo situazioni spinose, con un assist o un gol determinante. Oppure, all’inverso, che ad una ottima prestazione di Lorenzo corrispondesse un muso lungo da parte del suo eterno antagonista in squadra, costretto a guardare i lampi di genio del collega dalla panchina. Sarri si è fatto carico del problema, evitando di relegare tutto a una vendita sofferta di uno dei due. Ecco allora fare di necessità virtù: complice anche l’infortunio di Milik, si è inventato Mertens prima punta, libero di inventare sotto porta movimenti innovativi e imprevedibili; e ha consegnato la fascia di sinistra al folletto di Frattamaggiore, che ha cominciato a sfornare assist al bacio per i fortunati colleghi di reparto. Ognuno ha trovato la propria dimensione, riuscendo a dare il meglio di se stesso; sono finite le frecciatine tra i due, e le spine alimentate ad arte da qualche spiffero sfuggito dallo spogliatoio sono diventate rose. L’abbraccio, al termine della partita vinta contro l’Udinese, ha sancito un sodalizio che deve essere la base per la costruzione di un attacco atomico per il prossimo anno. Il loro allenatore ha saputo toccare le corde giuste, da vero maestro di calcio e di vita. Sorrideva sornione, guardando i suoi ragazzi incoraggiarsi e gioire dei vicendevoli successi. Dopotutto, allenare significa anche far crescere talenti. La permanenza di entrambi pare essere cosa di ore, con le pretese di Lorenzo il Magnifico praticamente accettate in blocco, e l’entourage e la famiglia di Mertens presente in tribuna. Nella speranza che il lavoro fatto per far coesistere due talenti così cristallini e simili, possa essere premiato con un contratto a vita. Dopotutto, a beneficiarne, non sarebbe solo la società, o i milioni di tifosi sparsi per il mondo; ne godrebbero anche gli esteti e gli amanti del bel calcio.

a cura di Fabiano Malacario

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De Laurentiis ha fretta: pronti i rinnovi di Insigne e Mertens

De Laurentiis ha fretta: pronti i rinnovi di Insigne e Mertens

La situazione rinnovi contrattuali in casa Napoli, per quanto riguarda Lorenzo Insigne e Dries Mertens è l’argomento più importante di questo periodo. Per il talento di Frattamaggiore è tutto quasi definito con l’accordo che è stato trovato venerdì a Roma nella sede della Filmauro tra il presidente De Laurentiis, il padre e gli agenti dell’attaccante: rinnovo fino al 2022 con ingaggio di circa 4,5 milioni di euro e la cessione dei diritti d’immagine completamente a disposizione del Napoli, senza clausola rescissoria. Come rivela repubblica.it: “Scenario positivo anche per Dries Mertens. Il club è in pressing per evitare la cessione estiva al Manchester United. Passi in avanti concreti sono stati fatti sabato prima del match contro l’Udinese. I suoi rappresentanti hanno incontrato prima il diesse Giuntoli a Castel Volturno, ma soprattutto il presidente De Laurentiis al San Paolo. Il colloquio è stato fruttuoso: il Napoli ha ribadito la sua volontà di trattenere l’attaccante belga. Allo studio c’è l’inserimento di una clausola rescissoria non alta, in modo che Mertens possa poi accettare un’offerta sostanziosa dalla Cina, qualora dovesse arrivare la prossima estate. Il Napoli è a buon punto e conta di poter risolvere l’affaire Mertens in tempi brevi”.

Sarri: “Mio nonno mi diceva sempre: ‘i giornali leggili, ma poi non ci credere'”

Il suo pensiero…

Durante la conferenza stampa del post partita di Napoli-Udinese, Nicola Lombardo, seduto accanto al tecnico toscano, fa una precisazione per un’inesattezza apparsa su alcuni giornali in merito al numero degli spettatori e alle previsioni durante la prevendita. Maurizio Sarri risponde in maniera geniale: “Mio nonno mi diceva sempre: ‘i giornali leggili, ma poi non ci credere'”. 

EDITORIALE – Juve Stabia: mezzo pieno, mezzo vuoto..

Avendo da poco, come molti di voi, terminato i brindisi pasquali, il nostro editoriale sulla Juve Stabia ha come protagonista quel famoso bicchiere, cui spesso si pensa quando si è indecisi su come vedere le cose. Max Pezzali cantava “mezzo pieno, mezzo vuoto..questo è il solo ed unico bicchiere che abbiamo”, ed in effetti le parole dell’ex leader degli 883 si abbinano perfettamente al momento della Juve Stabia.

Il pareggio della gara di Francavilla ha lasciato sensazioni positive e negative, in grado di svuotare o riempire il famoso bicchiere misura dell’umore gialloblù. A far apparire il bicchier mezzo vuoto non può che essere l’ennesimo appuntamento con la terza vittoria del 2017; le uniche vittime della Juve Stabia nel nuovo anno sono state le non irresistibili Vibonese e Cosenza, ed il killer istinct delle Vespe non si è risvegliato in terra pugliese. A lasciare l’amaro in bocca, inoltre, è la vittoria sfumata contro una diretta avversaria in chiave play off; nel girone di ritorno la Juve Stabia non è riuscita a sopraffare nessuna compagine nei cosi detti scontri diretti. Il ribaltone del 2017 ha poi reso la difesa uno dei punti deboli della squadra gialloblù; senza il leader Atanasov, la retroguardia stabiese è sempre apparsa in sofferenza, regalando agli avversari tanti gol facilmente evitabili. La fragilità difensiva che ormai contraddistingue le Vespe è un fattore costante ma imprevedibile, perché a rotazione colpisce tutti i difensori stabiesi, da quelli più esperti a quelli più giovani. Così dopo i vari Morero, Santacroce, a tradire le aspettative sabato è stato Camigliano, ingenuo e lento nell’occasione della rete del vantaggio di Nzola.

Fattori che invece possono farci vedere il bicchiere mezzo pieno sono le occasioni da gol che ha trovato la Juve Stabia ed, in generale, una gara condotta senza eccessive sofferenze. I gialloblù infatti, oltre al gol di Ripa, hanno creato almeno altre tre nitide palle gol (il palo di Mastalli ed altre due, sempre ad opera di Spider), facendo intravedere come la via della rete si riesca a trovare senza troppi affanni, come si era visto contro Matera, Casertana e Lecce. Urge però, per riempire completamente il bicchiere, aggiustare la mira sotto porta, così da capitalizzare non soltanto una delle 3-4 palle gol create e, soprattutto, evitare di concedere agli avversari il 100% nel rapporto tiri in porta – reti: così il Francavilla è andata in rete praticamente nell’unica palla gol avuta, il Matera ha messo a segno due reti con un tiro e mezzo, stesso dicasi per Casertana e Lecce, con gli uomini di Padalino che sfruttavano al massimo le tre palle gol concesse dalla squadra di Carboni.

In attesa di recuperare definitivamente calciatori fondamentali come Atansov, Capodaglio, Liviero così da farli arrivare alla forma migliore per i play off, la priorità è correggere queste imprecisioni: non concedere gol alla prima occasione e, magari, non doverne sbagliare un paio prima di segnare la propria rete sarà fondamentale negli spareggi promozione.

In tal modo, si spera, con quel bicchiere, mezzo vuoto o pieno che sia, a fine stagione si potrà brindare per festeggiare qualcosa di importante.

Raffaele Izzo

E allora ditelo che volete stupire!

E allora ditelo che volete stupire!

75 gol fatti in 32 giornate, con una media gol di 2,34 a partita, possesso palla medio del 70%, gioco fatto di trame fittissime e scambi veloci, schemi memorizzati e tagli fulminei, tanto da dare l’impressione di un copione ben studiato: tutto questo è il Napoli di mister Maurizio Sarri annata 2016/17, da stropicciarsi gli occhi. A scapito dei puristi, che vorrebbero un gioco concreto e cinico, i partenopei quest’anno riescono a fare spettacolo, a segnare, ancorché limitati dagli infortuni in attacco, e ad attirare su di sé gli sguardi ammirati delle grandi d’Europa. Il circo Sarri, come qualcuno l’ha già soprannominato, ha il solo difetto di aver subito qualche rete di troppo, e sappiamo che nel nostro campionato questo costa il trofeo più ambito. Peccato, perché le statistiche dicono che un Napoli così bello si era visto di rado dalle parti di Fuorigrotta; a chi ha i capelli bianchi ha ricordato la fantastica creatura di Vinicio, meteora innovatrice del calcio italiano. ‘O Lione, come lo soprannominarono, cercò di inventare la zona, ben prima di Zeman e Sacchi, accorciando la squadra in maniera maniacale, con pressing e libero reinventato in maniera totale. Il Napoli di allora non andò oltre un secondo posto, anche se con un record di gol fatti. Sarri ha deciso di essere a suo modo innovatore ed esteta, ma non perde di vista l’obiettivo che ogni partenopeo ha ben in mente: rompere il dominio assoluto in campionato della Juventus, che si avvia saldamente a collezionare il sesto scudetto di fila. D’altra parte, i pochi trofei che in questi anni non sono andati nella bacheca dei bianconeri, sono stati contesi proprio dal Napoli. E’ tempo allora di puntare al bottino grosso, prima che i cinesi di Milano rendano di nuovo il calcio meneghino il centro di tutto…

a cura di Fabiano Malacario

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L’Angolo di Samuelmania – A Sassuolo per vincere!

L’Angolo di Samuelmania – A Sassuolo per vincere!

Napoli-Udinese, che partita! Azzurri partiti in maniera molto tranquilla, con un bel possesso palla e qualche occasione da gol nel primo tempo. Poi nel secondo tempo cala un bel tris con Martens sempre più bomber, con Callejon ed Allan a segno contro la sua ex squadra. Il Napoli gioca il più bel calcio italiano con palla a terra, molto veloce, grazie a mister Sarri che ha rivalutato tanti calciatori, facendoli esprimere al meglio. Adesso si sono accorciate le distanze con la Roma e quindi si va a Sassuolo più determinati e per vincere. Sempre Forza Napoli!

a cura di Samuele Esposito

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