Infrastrutture: gestione pubblica o privata?

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Il crollo del ponte Morandi a Genova ha riaperto il dibattito su chi debba gestire le infrastrutture. Serve però una discussione trasparente e razionale su costi e benefici delle diverse opzioni, senza farsi condizionare dai pregiudizi ideologici.

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Il crollo del ponte Morandi a Genova ha riaperto il dibattito su chi debba gestire le infrastrutture. Serve però una discussione trasparente e razionale su costi e benefici delle diverse opzioni, senza farsi condizionare dai pregiudizi ideologici.

Come gestire un monopolio naturale

Il crollo del ponte Morandi a Genova, al di là del doveroso accertamento delle responsabilità, ha riaperto il dibattito su chi debba gestire le infrastrutture. È meglio che siano affidate a un gestore privato o che sia direttamente il settore pubblico a farlo? Il problema esiste perché il settore è un monopolio naturale, vale a dire è impossibile o comunque inefficiente farvi coesistere una pluralità di operatori. In questi casi, tutte le soluzioni sono di second best, cioè comportano dei problemi Una prima soluzione è quella di lasciare la gestione a un monopolio privato sottoposto a regolamentazione. In altre parole, per impedire che un monopolista privato aumenti in modo eccessivo i prezzi al fine di massimizzare i suoi profitti, l’autorità di regolamentazione potrebbe imporre restrizioni sul prezzo applicabile ai consumatori. In teoria vorremmo che il prezzo fosse legato ai costi sostenuti dal monopolista, ma spesso esiste un’asimmetria informativa tra il gestore e il regolatore a complicare il quadro. Cosa si può fare in tal caso? I due casi estremi sono un prezzo che copre i costi del gestore (più un eventuale margine di profitto) da un lato e un tetto al prezzo dall’altro, lasciando al monopolista i profitti realizzati a tale prezzo. Il primo schema riduce l’incentivo del monopolista a essere efficiente, ma ne riduce anche la rendita informativa (cioè i profitti dovuti alle asimmetrie informative). Il secondo schema ha le implicazioni opposte. In generale, come mostrano tra gli altri i lavori del premio Nobel Jean Tirole insieme a Jean-Jacques Laffont, lo schema ottimale sarà intermedio tra questi estremi.

Uno dei temi sollevati dalla vicenda di Genova è la presunta scarsità di investimenti in manutenzione. In teoria, il problema può essere risolto legando i profitti del monopolista a un programma di investimenti, qualora essi possano essere verificati dall’autorità di regolamentazione.

Un altro problema dibattuto in questi giorni è la passività del regolatore. Può essere dovuta a vari fattori, tra cui anche la “cattura” da parte del regolamentato. In altre parole, ci può essere l’incentivo da parte dei regolatori a essere “morbidi” per ricevere favori in futuro (ad esempio, con lauti contratti di consulenza). È un problema serio che non va sottovalutato. Ma può essere mitigato, ad esempio impedendo le “revolving door”, cioè il passaggio immediato dalle autorità di regolamentazione alle imprese oggetto della regolamentazione.

Se il monopolio privato regolamentato ha i problemi sopra illustrati, anche l’altra possibile soluzione, cioè la gestione pubblica, ha aspetti svantaggiosi. I gestori pubblici possono essere oggetto di pressione per adottare politiche che stanno a cuore ai referenti politici che li hanno nominati a scapito di quelli della collettività. Più in generale, i monopoli pubblici hanno mostrato la tendenza a una gestione inefficiente, anche a causa del fatto che ad essi è stato chiesto di perseguire una molteplicità di obiettivi spesso in conflitto tra di loro.

I pro e i contro di una scelta

Torniamo alla domanda iniziale: meglio il pubblico o il privato per gestire le autostrade? Una possibile risposta viene da un altro premio Nobel, Oliver Hart, che insieme ad Andrei Shleifer e Robert Vishny propone di basare la scelta sulle seguenti considerazioni. Da una parte, la gestione privata ha il vantaggio di assicurare una maggiore efficienza, cioè minori costi di gestione. Dall’altra, proprio la maggiore efficienza può andare a scapito della qualità o sicurezza del servizio. Hart e i suoi coautori concludono, ad esempio, che per le carceri è preferibile la gestione pubblica, perché il rischio che la riduzione dei costi finisca per comportare un trattamento inumano dei prigionieri è troppo alto. E’ bene riconoscere che le preferenze tra riduzione dei costi e garanzia di sicurezza possono differire, come mostrano le divisioni all’interno della maggioranza governativa. Quello che sarebbe però opportuno fare è una discussione trasparente e razionale su costi e benefici delle diverse opzioni. Nel caso delle autostrade, la prima cosa da fare sarebbe quella di vedere se il passaggio a una gestione privata ha avuto effetti sul livello di sicurezza dei tratti autostradali in termini di incidenti, vittime e feriti. Invece stiamo assistendo a un dibattito condizionato dal desiderio di trovare soluzioni immediate e dai pregiudizi ideologici. L’ennesima occasione sprecata.

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FAUSTO PANUNZIpanunzi

Ha conseguito il PhD presso il Massachusetts Institute of Technology. Attualmente insegna Economia Politica presso l’Università Bocconi. In precedenza ha insegnato presso l’Università di Bologna, l’Università di Pavia, Lecturer all´University College London, Research Fellow presso IDEI (Toulouse ) e IGIER. Le sue aree di interesse scientifico sono la teoria dell’impresa, finanza d’impresa e teoria dei contratti. Redattore de lavoce.info.

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