Sono morti i negoziati per il Ttip? Quale la (presunta) causa?

Sono davvero morti i negoziati per il Ttip (il trattato commerciale Ue-Usa) come ha annunciato...

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Sono davvero morti i negoziati per il Ttip (il trattato commerciale Ue-Usa) come ha annunciato il vice cancelliere tedesco Gabriel? Forse no. Ma certo il loro esito è stretto tra gli interessi di bottega di governi alla vigilia di difficili elezioni: negli Stati Uniti, in Francia, in Germania.

Il vice cancelliere tedesco Sigmar Gabriel ha annunciato il fallimento del Ttip. Le scadenze elettorali in America e in Europa minano la conclusione dei negoziati. Trasformando il progetto in un’occasione sprecata. L’interesse nazionale contro quello comunitario.

Tutti lo pensano, ma pochi lo ammettono: e così il tramonto del progetto Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partership) diventa il nuovo segreto di Pulcinella. In un’intervista alla rete tedesca Zdf, il vice cancelliere e ministro dell’Economia tedesco Sigmar Gabriel ha dichiarato “ufficialmente” il fallimento delle negoziazioni tra Unione Europea e Stati Uniti. Ma di ufficiale, in realtà, c’è ben poco.

Le scadenze elettorali

Il Ttip è l’accordo commerciale in corso di negoziazione tra Unione europea e Stati Uniti. Una volta siglato, avrebbe creato l’area di libero scambio più grande e ricca del mondo. Il progetto è stato avviato nel 2013, con la volontà dei negoziatori di chiudere l’accordo prima possibile, in modo da non arrivare troppo vicino alle scadenze elettorali dei due lati dell’Atlantico. Ma così non è stato.
Gli Stati Uniti sono infatti nel vivo della campagna presidenziale ed è difficile immaginarsi il futuro dell’accordo nell’America post-Obama. Una buona parte dell’opinione pubblica vede nel trattato una ulteriore minaccia ai lavoratori americani impoveriti. Una paura che Trump ha cavalcato da subito e a cui Clinton ha dovuto cedere per non perdere quella parte di elettorato democratico che ha sostenuto il suo sfidante interno, Bernie Sanders. È altrettanto improbabile vederne il futuro prima della fine del mandato di Obama, che al momento ha il potere dell’anatra zoppa – così si chiama il presidente a fine mandato – e un Congresso non proprio collaborativo.
Anche in Europa, il palcoscenico elettorale di Francia e Germania riduce lo spazio politico di manovra. Risulta difficile infatti per i premier europei dichiararsi a favore di un accordo che ha fatto scendere in piazza migliaia di cittadini.

Un’occasione sprecata

Un’occasione sprecata, se davvero il Ttip non dovesse vedere mai la luce. Soprattutto dopo la conclusione del Tpp (Trans Pacific Partnership), l’accordo commerciale che lega Stati Uniti e undici paesi dell’area pacifica (Cina esclusa). In mezzo ai due più grandi trattati bilaterali mai negoziati (Ttip e Tpp), gli Usa si sono elevati a perno del commercio mondiale, cercando di legarsi oltreoceano da entrambi i lati. A fronte di un legame sul Pacifico già siglato – ma non ancora ratificato – il rischio è che l’Ue venga marginalizzata negli scambi commerciali con gli Stati Uniti. Si parla di perdere peso nel commercio con il primo destinatario delle merci europee (gli Stati Uniti assorbono un quinto delle esportazioni europee). E, per giunta, con un partner il cui tessuto produttivo risulta simile a quello europeo, condizione favorevole per lo sviluppo del commercio intra-industriale. Il testimone potrebbe involontariamente passare ai partner asiatici, che grazie al Tpp godranno di facilitazioni commerciali negli scambi con gli Usa.
Si tratta di uno scenario concreto: nel 2015 gli Stati Uniti hanno importato dagli altri undici paesi firmatari del Tpp il 37,6 per cento delle importazioni totali. Per un totale di 840 miliardi di dollari, ossia il doppio di quanto importa dalla Cina (il primo partner commerciale). Certo è che tra i firmatari del Tpp ci sono anche Canada e Messico, già legati dal libero scambio con gli Usa tramite il Nafta.

Tabella 1 – Importazioni Usa per paese, 2015

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Fonte: Elaborazione su dati United States Census Bureau

Con l’entrata in vigore dell’accordo, le stime della Banca Mondiale prevedono un aumento del commercio tra i dodici paesi del Tpp di circa l’11 per cento entro il 2030. Nel frattempo l’Unione Europea resta a guardare.
Questo però non implica un Ttip a tutti i costi. Anzi, con il Tpp alla firma, nessun Ttip è peggio di un Ttip imperfetto.

Se prevalgono gli interessi nazionali

La dichiarazione di Gabriel è poi indice di una tendenza che incrina l’autorevolezza istituzionale degli organi europei. La politica commerciale comune è infatti competenza esclusiva della Commissione europea, che ha ricevuto un mandato unanime per l’inizio delle negoziazioni sul Ttip. È l’unica che quindi può dichiarare il fallimento del progetto di libero scambio con gli Usa. Durante la fase di genesi dell’accordo, gli Stati membri non possono e non devono depotenziare il ruolo dell’esecutivo comunitario. Altrimenti l’interesse nazionale – o l’interesse elettorale – rischia di soffocare l’interesse comunitario. Com’è avvenuto nel caso del Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), l’accordo commerciale concluso con il Canada, lasciato in balia dei parlamenti nazionali.
Nel momento in cui si dichiara in luoghi simbolici che l’Ue deve ritrovare una forza unitaria, si deve tenere conto che il prezzo del legame di 27 stati risiede innanzitutto nel prescindere dagli interessi nazionali per rispondere nel miglior modo possibile alle sfide esterne. Di fronte alle presenti minacce, come il terrorismo e la crisi dei migranti, le vicende commerciali possono anche non sembrare prioritarie. Ma in un’Europa a velocità zero virgola si deve necessariamente guardare ai fattori strutturali della crescita. E assicurare un mercato per le merci europee è sicuramente importante.
“The ball is still rolling” – la palla è ancora in campo – ha commentato un portavoce della Commissione in risposta alla dichiarazione del vice cancelliere tedesco. E in mezzo alla nebbia dell’Europa post-Brexit, non resta che sperare che la partita continui.

MARIASOLE LISCIANDRO IMG_7004

Laureata in Economia, Finanza e Mercati Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Research Assistant presso Lavoce.info.

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