Donald Trump riconosce Gerusalemme come capitale di Israele e sposta l’ambasciata da Tel Aviv. Oggi è atteso l’annuncio della Casa Bianca, anche se nessun trasferimento avverrà prima di sei mesi. Il mondo arabo insorge, la decisione rischia di innescare nuovi conflitti in Medio Oriente. I palestinesi annunciano tre giorni di collera. Ma, come scrive Giordano Stabile, il presidente americano “potrebbe tirare fuori dal cilindro il riconoscimento di Gerusalemme solo a Ovest”.
La scelta di Donald Trump: Gerusalemme capitale d’Israele
Il presidente americano telefona al leader dell’Anp e gli comunica la decisione. L’ambasciata via da Tel Aviv, ma non prima di sei mesi. Oggi l’annuncio ufficiale
S
e il capo della Casa Bianca assegnerà l’intera città allo Stato ebraico, specificando i tempi del trasferimento della sede diplomatica, la nuova intifada minacciata da Hamas rischierà davvero di esplodere e ogni negoziato verrà bloccato. Se invece farà una dichiarazione generica, lascerà aperta la porta alla designazione della zona Est come capitale del futuro Stato palestinese, e rimanderà i lavori per l’ambasciata, gli effetti negativi potrebbero essere contenuti
Una legge approvata dal Congresso nel 1995 già riconosce Gerusalemme come capitale di Israele e impegna il governo americano a spostare la sua sede diplomatica. Finora, però, ogni sei mesi tutti i presidenti americani hanno firmato un «waiver», una rinuncia, per rimandare il trasferimento, proprio perché l’accordo di Oslo del 1993 prevede che il destino della città verrà deciso solo nell’ultima fase del negoziato di pace, e anticiparlo bloccherebbe il negoziato scatenando la violenza.
Durante la campagna elettorale Trump aveva promesso di spostare l’ambasciata, per il proprio sostegno a Israele, ma soprattutto per motivi di politica interna che riguardano la sua base di cristiani conservatori, più della stessa componente ebraica dell’elettorato americano. Gli evangelici Usa, infatti, sono convinti che il ritorno del Messia sulla Terra potrà avvenire solo quando tutta Israele sarà tornata nelle mani del popolo a cui Dio l’aveva assegnata. Poi ci sarà lo scontro finale con Satana, in cui morirà un grande numero di abitanti del Paese. Secondo un sondaggio condotto dal Pew Center nel 2014, l’82% degli evangelici americani crede che Israele sia stata data agli ebrei da Dio, contro il 40% degli ebrei degli Stati Uniti. Loro costituiscono la base fondamentale dell’elettorato di Trump, che ha promesso di riconoscere Gerusalemme per farli contenti, e infatti li ha informati della decisione prima del dipartimento di Stato.
Il problema ora è che questa esigenza di politica interna si scontra con l’ambizione di politica estera annunciata dal presidente, di concludere l’accordo di pace con i palestinesi. I dettagli di questa intesa, gestita dal genero Jared Kushner che conosce il premier Netanyahu fin da quando era bambino, sono ancora incerti. Le linee generali prevedono una forma di sovranità palestinese non necessariamente associata a quella di uno Stato, l’ampliamento della Striscia di Gaza con porzioni del Sinai, e Gerusalemme capitale di Israele. Trump pensa di poter concludere l’accordo grazie all’aiuto dei sunniti sauditi, che spingeranno Abbas ad accettarlo in cambio del sostegno ricevuto da Washington nella lotta contro gli sciiti iraniani. La questione di Gerusalemme però rischia di far saltare tutto. Ieri Trump ha chiamato Abbas, il re giordano Abdullah e il presidente egiziano al Sisi, e tutti lo hanno avvertito che la sua mossa bloccherà il negoziato e provocherà reazioni violente. Il premier turco Erdogan ha detto che così il presidente «valicherebbe una linea rossa», e ha minacciato di rompere le relazioni con Israele. La rottura con Ankara sarebbe dunque ancora più netta che con Riad.
Trump vuole procedere, ma la Casa Bianca è divisa. Come compromesso, oggi potrebbe riconoscere Gerusalemme capitale e annunciare lo spostamento dell’ambasciata, senza però un calendario preciso e firmando il «waiver» per altri sei mesi. Quindi potrebbe lasciare aperta la porta alla zona Est come futura capitale palestinese, ammesso che basti a evitare il disastro.
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