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Campagna elettorale, il centrodestra punta al governo

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Il patto di governo del centrodestra siglato da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e centristi ad Arcore ha come priorità l’abolizione della legge Fornero, meno tasse e vincoli europei, e un rigido controllo dell’immigrazione. Secondo Marcello Sorgi il senso del vertice di Arcore è tutto in una frase: “Uniti per vincere, non ancora pronti per governare. I titoli del programma con cui la coalizione all’apparenza favorita si prepara a condurre la campagna elettorale al momento non sembrano all’altezza della sfida del ritorno alla guida del Paese”.

Ad Arcore una strategia per il governo, Berlusconi: “Avremo la maggioranza assoluta”

Il Cavaliere: signori, siamo chiamati ancora una volta alla responsabilità

Signori, dobbiamo essere consapevoli che siamo chiamati ancora una volta alla grande responsabilità di governare l’Italia. Ci sono tutte le condizioni per avere la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato». Al pranzo dei vincitori in pectore delle prossime elezioni politiche, Silvio Berlusconi aveva il tono e la postura dei momenti solenni. Non ha mostrato sondaggi, non ha forzato sulla leadership del centrodestra, anche se poi il Cavaliere è convintissimo che sarà lui a dare la vera impronta, la cifra alla coalizione perché Forza Italia sarà il primo partito, attorno al 25% mentre la Lega rimarrà sotto il 20%. Ma ieri ad Arcore era il momento di siglare il patto di governo. Non era il momento di fare certi discorsi divisivi. Anche se Matteo Salvini leggerà sul Foglio di oggi come la pensa Silvio, qual è l’antifona di fondo. Ovvero che sarà lui a garantire, in Italia e all’estero, un governo di moderati con una Forza Italia radicata nei valori del Ppe, «di gran lunga la maggiore forza politica della coalizione», il baluardo che non lascerà «spazio a tentazioni demagogiche».

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l suo fianco in questa operazione bilanciamento al centro Berlusconi avrà lo scudocrociato di Noi con l’Italia, la cosiddetta quarta gamba. E su questo aspetto c’è stata uno dei momenti più animati del vertice. Con Salvini che non voleva riconoscere questa componente. Soprattutto non voleva che venisse loro riconosciuta una quota di collegi uninominali. «Non fatemi vedere il nome di Tosi in nessun collegio», ha tuonato il leader del Carroccio. «Visto che Lupi dice che Noi con l’Italia prenderà più di noi, di Fratelli d’Italia, allora si faccia eleggere con i suoi voti, se riescono a superare la soglia del 3%», ha sottolineato risentito Ignazio La Russa che affiancava Giorgia Meloni. Anche la leader dei Fratelli d’Italia ha due nomi che non vuole vedere nei collegi del Lazio, quelli di Francesco Storace e Gianni Alemanno entrati nell’orbita della Lega.

Berlusconi non ha nessuno di questi problemi. Dipendesse da lui candiderebbe tutti. Alla fine è passato il «lodo Meloni» ovvero le candidature della quarta gamba saranno decise solo ed esclusivamente dai tre leader. Non avranno un collegio uninominale chi è stato nel centrosinistra. Veto su Tosi, Lupi e l’ex viceministro all’Economia del governo Renzi Enrico Zanetti. Dovranno essere eletti nelle loro liste, nella quota proporzionale, se supereranno la soglia del 3%. Sarà un comitato a dare l’ok alle candidature. Un comitato nel quale non ci saranno esponenti di Noi con L’Italia e sarà composto da Niccolò Ghedini, Mariastella Gelmini, Giancarlo Giorgetti, Roberto Calderoli, da Ignazio La Russa e Ignazio Lollobrigida.

Rimane il fatto che il centrodestra si poggia su quattro forze politiche. «E dovremo dare prova di coesione e unità, a cominciare dai programmi», ha spiegato Berlusconi. Tutti d’accordo sulla flat tax ma non è stata stabilita percentuale. Salvini ha voluto che si sottolineasse la cancellazione degli «effetti deleteri» della Fornero: anche su questo punto non c’è ancora una modifica di merito, ma il centrodestra pensa a una riforma complessiva del sistema pensionistico. Berlusconi ha insistito sul giusto processo e l’aumento a mille euro delle pensioni minime. Meloni ha chiesto di inserire un «imponente piano per la natalità» e la riforma istituzionale federalismo-presidenzialismo.

I tre leader si rivedranno la prossima settimana, forse a via Bellerio, anche per definire le candidature alle regionali dopo la novità della non ricandidatura di Maroni. È stato uno dei motivi di attrito perché la Lega vuole indicare il successore lombardo e candidare pure uno dei suoi in Friuli Venezia Giulia (il capogruppo Fedriga). Meloni ha detto che no, quella regione tocca a Fratelli d’Italia. Il Lazio andrà a un candidato di Fi. «Troveremo una soluzione a tutto», ha calmato gli animi Berlusconi, che avrà pure Maroni in Parlamento. Una carta più utile a lui che a Salvini in caso di vittoria. Lo indicherà quando si porrà il problema della premiership? Intanto il pranzo è finito nel segno dell’unità che avrà la massima espressione nella lista unica per gli italiani all’estero. Nel logo tre strisce tricolori: nella striscia verde ci sarà il nome di Salvini, in quella bianca di Berlusconi, nella rossa della Meloni. Il nome forse «Per l’Italia», oppure W l’Italia.

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