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Castellammare di Stabia

Unità d’Italia: 17 Marzo 1861 – 17 marzo 2018. Fu ed è vera unità? NI!

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Dopo tre guerre d’Indipendenza, una guerra Franco-Prussiana e la Prima Guerra Mondiale è stata veramente raggiunta l’ Unità d’Italia ?

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’è chi dice sì! C’è chi dice no! Ci sono tanti che proprio non sentono che realmente ci sia poi proprio una grande e vera Unità d’Italia.

In tanti non riescono proprio a vedere uguaglianze nemmeno nel comune accanto, figuriamoci tra Nord, Centro, Sud, Isole.

Per questi (e sono in maggioranza) l’unità appare essere solo un qualcosa di geografico, comunque una forzatura.

Forzatura iniziata sin dal 17 marzo 1861, quando Vittorio Emanuele II di Savoia, Re di Sardegna e Piemonte, si proclamò primo Re d’Italia.

Ma quale Italia? Quella boccheggiante del suo Piemonte che risanò depredando, con Garibaldi, il Regno delle due Sicilie?

E poi, era verità o altra forzatura e bugia utile solo a mascherare il suo saccheggio del Sud e degli altri territori dello stivale?

L’atto, infatti, recitava:

“Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Articolo unico.

Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d’Italia.

Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli Atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come Legge dello Stato.

Dat. a Torino, addì 17 marzo 1861″

Forzatura e falsità anche in questo dato che, prima di raggiungere anche solo una unità “geografica”, ci vollero ancora:

  • – una Terza Guerra d’Indipendenza,
    – poi quella Guerra Franco-Prussiana,
    – e finanche una Prima Guerra Mondiale.

Solo alla fine si poté vedere un’Italia tutt’intera e finalmente unita: almeno così apparve e appare sulle carte geografiche!

Ma che vuoi che sia: quisquilie e pinzillacchere, come diceva Totò. Fatto sta che però, ancora oggi, le differenze ci sono, e come se ci sono.

Ed anche per esprimere questo stato di sofferenza ci può aiutare il grande Totò, comico di professione ma “uomo di mondo”.

Sembra di udirlo dire, chiosando sull’unità d’Italia (che dovrebbe essere anzitutto uguaglianza):

Alla faccia del bicarbonato di sodio; la vita è proprio una lotta continua e discontinua, dove non siamo mai soli, abbiamo sempre qualche appendicite.

E ho detto tutto. Ohibò!

E vediamole allora queste “appendicite” che, guarda caso, sono collocate nella parte bassa, anche del corpo.

Qualsiasi classifica basata sulle retribuzioni annue lorde evidenzia, di fatto, il solco netto esistente tra Nord e Sud. E questo è un primo dato.

Nel meridione, dicono queste statistiche, si guadagna di meno e tutte le regioni del Mezzogiorno sono fuori dalla top ten.

Un dato allarmante che evidenzia lo strappo netto, ancora esistente tra Nord e Sud.

Strappo duro a sopportarsi soprattutto in un periodo delicato per l’economia nazionale e se si tiene conto, appunto, che trattasi di statistica per cui:

Tu mangi un pollo intero tutto da solo, io digiuno, ma la statistica dice che abbiamo mangiato mezzo pollo a testa! (sic)

Ed è in questo, nel passaggio tra il declamato e la realtà, che stà tutta la divisione e l’amarezza che ancora resta nelle genti del  Sud.

La realtà statistica ci dice che si va, infatti, da un reddito medio di 30.000 € nel Nord Italia ai circa 23.000 € del Sud.

Ma, come per il pollo, non è verità e non finisce qui perché, di fatto, anche in questo confronto c’è una forzatura di base.

Forzatura che si può paragonare a quella sull’unità d’Italia dichiarata, ma con l’Italia ancora a macchie.

L’assunto, infatti, è sul reddito. Ma reddito equivale a lavoro.
Lavoro che al nord c’è mentre al Sud no per cui, anche il solo disquisire sul “reddito”, è cosa forzata.
Se ci fosse vero lavoro ci sarebbe reddito che, sia pur con le differenze di cui sopra, consentirebbe di “campare”.
Ed invece lavoro non c’è per cui, se manca, parlare di reddito è già un falso assunto ed è semplicemente un esercizio dialettico.

Da questo e in questo sussiste ancora la disunità d’Italia, – questa si reale -, come anche, per tornare all’oggi, il risultato del 4 marzo.

E ho detto tutto. Ohibò! Chioserebbe Totò.

Io, molto più modestamente, chiudo con il mio solito: e questo è! “Io speriamo che me la cavo”

Buon 17 Marzo a tutti (quelli che ancora se ne ricordassero, è d’uopo aggiungere)

Stanislao Barretta

vivicentro.it/EDITORIALI

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