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Castellammare di Stabia

Nuova capriola Movimento 5 Stelle, questa volta per la Raggi

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Siamo davanti all’ultima capriola del Movimento. Dopo leadership e addio allo streaming, la metamorfosi è compiuta”, osserva Mattia Feltri a seguito della lettura di quanto scrive Ilario Lombardo: il M5S ha pronta una “tutela speciale”, anche se Raggi fosse condannata, non si dimetterà dal Campidoglio.

L’ultima capriola M5S. L’esultanza di Grillo incrina il mito dell’onestà

I vertici cantano vittoria: archiviato il reato più grave. Dopo leadership e streaming, la metamorfosi è compiuta

Viene in mente Isaac Asimov, per il quale la disumanità del computer risiede, una volta programmato e messo in funzione, nella sua perfetta onestà. Grazie al cielo Virginia Raggi non è un computer, lo si nota a occhio nudo, nessuno del Movimento lo è, e non per questioni di onesta e disonestà, stabilite ruvidamente codice alla mano. I codici non dicono tutto, neanche quello penale. E comunque Raggi non è nemmeno arrivata a processo, forse non ci arriverà proprio, deciderà un gip, e semmai poi ci saranno tre gradi di giudizio e per un reato, se tale è, di poca rilevanza: falso ideologico.

Il cavillo del codice etico M5S per la Raggi

Raggi a processo, ma l’M5S ha già pronta una “tutela speciale” per lei

La perfetta onestà dei Cinque Stelle si incrina invece nell’esultanza di Beppe Grillo per l’archiviazione del reato più grave, l’abuso d’ufficio, che è più grave soltanto nella realtà on demand del blog, poiché l’abuso d’ufficio prevede pene più basse del falso ideologico.

La perfetta onestà dei Cinque Stelle si incrina nel tweet del capo, Luigi Di Maio, che annuncia l’archiviazione delle accuse per cui «la stampa ci ha infangato», immemore delle dieci, cento volte che lui e i suoi hanno sventolato in aula di Montecitorio le pagine di giornale con le inchieste sugli altri, addotte alla richiesta di dimissioni. Oltre che immemore, naturalmente, delle accuse che archiviate ancora non sono, come un passacarte di Forza Italia o del Pd.

Inconsapevole, soprattutto, di aver raggiunto una certa solidità politica, una solidità antica, quella per cui la consigliera Cristina Grancio è stata sospesa perché contraria all’edificazione dello stadio di Roma.

Succede a tutti, da millenni: l’azione distrugge l’utopia. Raggi (ed è giusto così) resta al suo posto nonostante una richiesta di rinvio a giudizio, Grancio viene cacciata per dissenso (poi reintegrata il giorno prima del processo per il ricorso), secondo il santissimo metro della politica e non della magistratura, quello usato da Matteo Renzi per salvare Maria Elena Boschi, che era più utile al governo sebbene inguaiata per le banche, e per sommergere Maurizio Lupi, che da inguaiato per le infrastrutture era dannoso al governo. «Se un sindaco ha un avviso di garanzia per abuso d’ufficio deve stare fermo un giro», diceva Di Maio giusto un paio d’anni fa, prima di rendersi conto che un sindaco di media o grande città può uscire indenne da una consiliatura soltanto se gli altri sono distratti, tante e tanto complesse sono le regole cui è chiamato ad attenersi, per non dire delle tentazioni. Non basta proclamare onestà, quasi mai. Ora il problema è che ne va di mezzo la purezza della razza, e non lo si intuisce, o non lo si confessa. Quattro anni fa Beppe Grillo ci irrideva per la nostra incapacità di comprendere l’assenza di un leader, diceva che quando lo chiamavano i giornalisti per parlare col leader del Movimento, lui gli passava il figlio Ciro. Il leader non c’era perché a comandare è la rete dei cittadini attraverso il web, diceva, ed è questa la rivoluzione somma, e inafferrabile per menti polverose come le nostre. Poi adesso hanno eletto un leader, Di Maio appunto, con le primarie on line. Quattro anni fa non c’era il candidato premier (lo era Grillo, ma solo formalmente) perché il premier sarebbe stato l’ologramma della volontà popolare, un portavoce, uno qualsiasi, e adesso hanno eletto un candidato premier, sempre Di Maio, sempre con le primarie online. Ci sono stati direttori, nazionali e locali, ora c’è una gerarchia, un designato alla premiership, un serio abbozzo delle strutture novecentesche e marcescenti che forse marcescenti non sono, ma indispensabili.

Si procede lungo questo sentiero che collega l’a priori con l’a posteriori, che collega il mondo perfetto progettato attraverso regole ferree e il mondo in cui ci si imbatte, e in cui le regole hanno bisogno di elasticità. Si organizzano le primarie del sindaco di Genova e siccome vince la candidata sgradita la si fa fuori, in onore di quella elasticità lì, necessaria anche ai movimenti più stentorei, in cui si ingoia tutto nella onestissima certezza che i predecessori facevano porcate a fin di male, e ora le si fanno ancora, eccome, ma a fin di bene, come cedimenti inevitabili al raggiungimento del celeste obiettivo, e unica possibile risposta all’accerchiamento dei nemici: eccola la drastica differenza, una pretesa differenza antropologica, stravista, fallimentare, già raccontata su tutti i libri di storia. Una citazione cara a Giulio Tremonti: si fa la figura del selvaggio di Kant che pensa che il sole sia sorto perché lui si è svegliato.

Ricorderete la breve leggenda dello streaming, l’apertura del palazzo come una scatola di tonno, le pareti di vetro, l’animo incontaminato esibito al popolo negli incontri con Pier Luigi Bersani, Enrico Letta e Matteo Renzi, a cui veniva così impedito ogni losco infingimento, e poi lo streaming è stato rapidamente dimenticato, quella specie di balletto con copione, dunque fintissimo, perché la politica ha bisogno delle sue ore grigie, dei suoi notturni segreti, dei compromessi che sono sempre al ribasso sennò compromessi non sono: si decide dentro le stanze dell’Hotel Forum, Roma, o nella villa di Grillo, Toscana, o alla Casaleggio, Milano, altro che streaming, se Dio vuole. Ricorderete il divieto dogmatico di mettere piede nei paludosi studi televisivi, luoghi di corruzione intellettuale, dove manipolatori di regime avrebbero ridotto il cristallino Cinque Stelle alla condizione fangosa degli altri, e adesso vanno tutti in tv, se possibile senza confronto, a esercitare il lusso del monologo. In fondo ci sarebbe niente da dire se i ragazzi di Beppe si lasciassero attrarre dal dubbio che la rivoluzione dell’onestà è un bel gioco da tavolo, e sta alla vita come il risiko sta alla guerra, ché poi tocca cambiare le regole, tocca ricorrere all’eccezione, una via l’altra, tocca concedere a sé attenuanti o assoluzioni piene negate ai cattivi ma, come si diceva all’inizio, si vede tutto a occhio nudo: il mondo è pieno di persone oneste, diceva uno intelligente e spiritoso, e si riconoscono dal fatto che compiono le cattive azioni con più goffaggine.

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lastampa/L’ultima capriola M5S. L’esultanza di Grillo incrina il mito dell’onestà MATTIA FELTRI


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