Papa Francesco interviene sul tema del fine vita: «Evitare l’accanimento terapeutico non significa eutanasia». E aggiunge: «Sospendere le cure è lecito». Poi mette in guardia «dalla tentazione di insistere con trattamenti che non giovano al malato». Le sue parole riaprono il dibattito su una legge che è bloccata al Senato da 7 mesi. «Una grande lezione di saggezza» commenta Luigi La Spina.
Fine vita, l’apertura di papa Francesco
«Evitare l’accanimento terapeutico non è eutanasia. Lecito sospendere cure sproporzionate». E mette in guardia «dalla tentazione di insistere con trattamenti che non giovano al malato»
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apa Bergoglio ha citato Pio XII, che più di mezzo secolo fa aveva detto agli anestesisti e ai rianimatori: «Non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e, in casi ben determinati, è lecito astenersene». Come pure ha menzionato la Dichiarazione sull’eutanasia dell’ex Sant’Uffizio guidato dall’allora cardinale Ratzinger, che nel 1980 ricordava l’importante criterio del «risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali». Insomma, il no all’eutanasia non deve significare insistere con cure sproporzionate.
Oggi, in particolare, ha spiegato il Pontefice, «è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona». Occorre dunque «un supplemento di saggezza» per affrontare questi problemi, di fronte ai progressi della medicina e alla possibilità di interventi sul corpo umano che diventano «sempre più efficaci, ma non sempre sono risolutivi: possono sostenere funzioni biologiche divenute insufficienti, o addirittura sostituirle, ma questo non equivale a promuovere la salute»
Una scelta che «assume responsabilmente il limite della condizione umana mortale, nel momento in cui prende atto di non poterlo più contrastare». Del resto anche il Catechismo della Chiesa cattolica spiega che in questi casi non si «vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire». Ma il non attivare «mezzi sproporzionati» non significa e non potrà mai significare in alcun modo giustificare la soppressione di una vita umana.
L’eutanasia, ribadisce Francesco, «rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte». Bergoglio ammette che non sempre è facile applicare in modo meccanico una regola generale, perché «quando ci immergiamo nella concretezza delle congiunture drammatiche e nella pratica clinica, i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare». Serve pertanto «un attento discernimento», senza dimenticare che è il malato a rivestire «il ruolo principale», ad assumere le decisioni «se ne ha la competenza e la capacità», a «valutare i trattamenti che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzionalità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzionalità fosse riconosciuta mancante». Ovviamente tutto «in dialogo con i medici».
Il Papa chiede di «tenere in assoluta evidenza il comandamento supremo della prossimità responsabile». Anzi, «si potrebbe dire che l’imperativo categorico è quello di non abbandonare mai il malato». Anche in quel momento in cui «l’angoscia della condizione che ci porta sulla soglia del limite umano supremo, e le scelte difficili che occorre assumere, ci espongono alla tentazione di sottrarci alla relazione». «Amore e vicinanza» sono necessari «più di ogni altra cosa», e se «sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte».
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