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Conte alla Camera dei Deputati, 021219: dichiarazioni sul MES (VIDEO)

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Grazie Presidente. Gentili deputate e deputati,

sono qui per rendere una tempestiva informativa sulle modifiche del Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità, non solo perché la ritengo doverosa dopo la richiesta che è pervenuta, ma anche perché ho sempre, e dico sempre, cercato di assicurare, per parte mia, una interlocuzione chiara e trasparente con il Parlamento, nel rispetto delle prerogative sovrane che spettano a questo consesso a tutela dei diritti di tutti i cittadini.

Non posso nascondere, tuttavia, che questa mia informativa non può essere degradata a ordinario momento della fisiologica interlocuzione che intercorre tra il Governo e, segnatamente, il Presidente del Consiglio e il Parlamento.

Questo mio passaggio assume un rilievo particolare.

Da alcune settimane i massimi esponenti di alcune forze di opposizione hanno condotto una insistita, capillare campagna mediatica, accusandomi di avere adottato, nel corso di questo negoziato con le Istituzioni europee, condotte talmente improprie e illegittime da essermi reso responsabile di “alto tradimento”.

Sarei, quindi, uno spergiuro. Questo perché sarei venuto meno al vincolo, assunto al momento in cui mi è stato conferito l’incarico di Presidente del Consiglio, di essere fedele alla Repubblica, di osservarne la Costituzione e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione.

Si è perfino adombrato che avrei tenuto questa condotta per biechi interessi personali, anteposti al dovere di tutelare l’interesse nazionale.

Questa accusa, possiamo – dobbiamo – convenirne tutti, non rientra nell’ambito della ordinaria polemica politica.

Quando sono venuto dinanzi a Voi per chiederVi la fiducia ho invocato, per questa nuova stagione politica, un “linguaggio mite”, ho auspicato che la Politica, con la P maiuscola, potesse riporre una particolare attenzione alla “cura delle parole”.

Le accuse che mi sono state rivolte, tuttavia, trascendono ampiamente i più accesi toni e le più aspre contestazioni che caratterizzano l’odierna dialettica politica, già di per sé ben poco incline alla “cura delle parole”.

Siamo al cospetto di un’accusa gravissima.

Se si arriva ad accusare apertamente e ripetutamente, in tutte le trasmissioni televisive e in tutti i canali social, il Presidente del Consiglio di avere tradito il mandato di difendere l’“interesse nazionale” e di avere agito per tutelare non si sa quale interesse personale, allora il piano delle valutazioni che siamo sollecitati a compiere è completamente diverso.

Se queste accuse avessero un fondamento, saremmo di fronte alla massima ferita, al più grave vulnus inferto alla credibilità dell’Autorità di Governo, con la conseguenza che chi vi parla non potrebbe esitare un attimo a trarne tutte le conseguenze: senza neppure attendere che mi venisse chiesto da chicchessia, sarei costretto a rassegnare all’istante le dimissioni da Presidente del Consiglio.

Se però queste accuse non avessero fondamento e anzi fosse dimostrato che chi le ha mosse era ben consapevole della loro falsità, avremmo la prova che chi ora è all’opposizione e si è candidato a governare il Paese con pieni poteri, sta dando prova, e purtroppo non sarebbe la prima volta, di scarsa cultura delle regole e della più assoluta mancanza di rispetto delle istituzioni. Se questo fosse il caso, infatti, saremmo di fronte a un comportamento fortemente irresponsabile, perché – vedete – una falsa accusa di alto tradimento della Costituzione è questione differente dall’accusa di avere commesso errori politici o di avere fatto cattive riforme: è un’accusa che non si limita solo a inquinare il dibattito pubblico e a disorientare i cittadini, è indice della forma più grave di spregiudicatezza perché pur di lucrare un qualche effimero vantaggio finisce per minare alle basi la credibilità delle istituzioni democratiche e la fiducia che i cittadini ripongono in esse.

Pur di attaccare la mia persona e il Governo non ci si è fatti scrupolo, e mi sono sorpreso, se posso dirlo, non della condotta del senatore Salvini, la cui “disinvoltura” a restituire la verità e la cui “resistenza” a studiare i dossier mi sono ben note, quanto del comportamento della deputata Meloni (mi sono sorpreso del suo comportamento), perché non ci si è fatto scrupolo di diffondere notizie allarmistiche, palesemente false, che hanno destato preoccupazione nei cittadini e, in particolare, nei risparmiatori: è stato detto che sarebbe prevista la “confisca dei conti correnti dei risparmiatori”. È stato detto, più in generale, che “tutti i nostri risparmi verrebbero posti a rischio”; è stato detto che il Mes servirebbe solo a beneficiare le banche altrui e non le nostre.

È stato anche detto che il Mes sarebbe stato già firmato, e per giunta di notte.

Anche chi è all’opposizione ha compiti di responsabilità.

Questa informativa è divisa in due parti.

La prima parte è volta a ricostruire nel dettaglio i vari passaggi del negoziato sul MES e, in particolare, i vari momenti dell’interlocuzione sin qui avvenuta tra Governo e Parlamento.
Sarà questa la parte determinante per valutare la fondatezza delle accuse che mi sono state mosse. Anticipo che per consentire a Voi membri del Parlamento di avere una più puntuale cognizione di tutti questi passaggi, lascerò un testo scritto del mio intervento, corredato anche da numerosi allegati (sono qui), che offrono un inoppugnabile sostegno documentale alla mia ricostruzione.

La seconda parte, invece, quella finale, è rivolta ad anticipare lo scenario futuro in ordine al completamento di queste modifiche al Mes e in ordine alle restanti riforme che compongono il complesso tema dell’Unione economica e monetaria.

Veniamo alla Ricostruzione dei vari passaggi e della interlocuzione con il Parlamento.

Ricordo che la Commissione Europea ha presentato, nel lontano ormai dicembre 2017, un pacchetto di proposte per il completamento dell’Unione Economica e Monetaria. È lì che inizia il negoziato.
Tra queste, figurava la proposta di riformare il Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità, un accordo intergovernativo firmato il 2 febbraio 2012 ed entrato in vigore a ottobre dello stesso anno, a seguito della ratifica di 17 Stati dell’Eurozona, ai quali si sono aggiunti la Lettonia e la Lituania. La creazione del MES è avvenuta a seguito di un’apposita modifica all’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) e ha dapprima affiancato – e poi sostituito – il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (EFSM) nel compito di fornire, laddove necessario, assistenza finanziaria agli Stati membri della zona euro.

Sulla riforma del Meccanismo europeo di Stabilità e sulle altre proposte della Commissione europea in merito al completamento dell’Unione economica e monetaria, fin dall’avvio della mia prima esperienza di governo, il Parlamento italiano è sempre stato puntualmente e costantemente tenuto aggiornato, come di seguito dimostrerò.

Innanzitutto, sono intervenuto, sia alla Camera sia al Senato, il 27 giugno e l’11 dicembre 2018, per le comunicazioni in vista degli Eurosummit, nei quali si è discusso delle proposte formulate dalla Commissione sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità.

Nelle comunicazioni rese il 27 giugno 2018, benché il tema centrale fosse quello dell’immigrazione, ho voluto esplicitamente affrontare anche la questione relativa alla riforma del MES. Al riguardo, ho affermato: “Non vogliamo un Fondo monetario europeo che, lungi dall’operare con finalità perequative, finisca per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci.” Ancora nella dichiarazione chiarivo: “È per questo che siamo contrari ad ogni rigidità nella riforma del Meccanismo europeo di stabilità: soprattutto perché nuovi vincoli al processo di ristrutturazione del debito potrebbero contribuire proprio essi all’instabilità finanziaria, anziché prevenirla”. E concludevo: “Non vogliamo neppure pericolose duplicazioni con i compiti della Commissione europea per la sorveglianza fiscale, che rischierebbero peraltro di delegittimare la base democratica di queste funzioni essenziali per la stabilità finanziaria”.

Nel corso del conseguente dibattito alla Camera, la maggior parte dei deputati intervenuti non ha affrontato l’argomento, ad eccezione dell’onorevole Gelmini per Forza Italia e dell’onorevole Molinari per la Lega. Entrambi si sono limitati a esprimere valutazioni di principio, peraltro coerenti con l’indirizzo espresso sul punto nel mio intervento. Al Senato, gli unici a intervenire sul tema sono stati la senatrice Bottici, la senatrice Bonfrisco e il senatore Mauro Maria Marino. La senatrice Bonfisco, in particolare, condividendo la posizione che avevo espresso nelle comunicazioni, affermava: “Lei ha già detto benissimo, presidente Conte, che è forte la nostra contrarietà a un fondo monetario europeo, che somigli magari ad altri fondi monetari, che hanno accompagnato le sventure di tanti Paesi nel mondo, che esautori gli Stati membri nel perseguimento di politiche economiche efficaci”. Anche il senatore Marino, nel suo intervento tutto concentrato sul tema, ha messo in guardia dal rischio che il Meccanismo europeo di stabilità potesse essere trasformato in un Fondo monetario europeo. In quell’occasione, nessuno degli altri senatori intervenuti, compreso il senatore Bagnai, ha toccato l’argomento.

Anche alla luce del dibattito in Parlamento e delle risoluzioni approvate, nel Vertice europeo del 29 giugno 2018 mi sono speso perché fosse adottata, dai leader europei, una dichiarazione che, nel dare avvio alla riforma del Mes, orientasse il percorso nella direzione di un suo rafforzamento e nell’introduzione, tra le sue funzioni, di un sostegno comune (il cosiddetto common backstop) al Fondo di Risoluzione unico (Single Resolution Fund). Quello stesso Vertice ha dato mandato all’Eurogruppo di preparare i necessari termini di riferimento e di concordare la lista delle condizioni per l’ulteriore sviluppo del MES.

In quel primo Euro-Summit al quale ho partecipato è stato inoltre deciso, con il sostanziale contributo dell’Italia, di continuare a lavorare alla riforma dell’Unione Economica e Monetaria, purché ciò riguardasse un intero pacchetto di riforme, includendo quindi l’avvio di negoziati sul Sistema Europeo di Assicurazione dei Depositi, il cosiddetto EDIS, e approfondendo la riflessione sullo Strumento di Bilancio dell’eurozona al fine di verificare la possibilità di svilupparne la funzione di stabilizzazione.

L’11 dicembre 2018 ci sono state comunicazioni alle Camere, nel corso delle quali ho riferito sugli sviluppi del negoziato in materia di rafforzamento dell’Unione economica e monetaria.

Vi risparmio, poi è nella relazione completa, quello che ho sintetizzato in quella occasione.

Nel dibattito in Senato, nessun parlamentare – tantomeno il senatore Bagnai, che pure era intervenuto in discussione generale – ha fatto riferimento alla materia. L’unica eccezione è stata quella del senatore Fantetti di Forza Italia, che ha semplicemente rivendicato la “paternità” del meccanismo di backstop, attribuendola al ministro dell’Economia del governo Berlusconi, Giulio Tremonti. Nel dibattito alla Camera, invece, nessuno ha affrontato la questione.
Conseguentemente agli indirizzi espressi dal Parlamento e sulla base dei lavori condotti dai Ministri delle Finanze partecipanti all’Eurogruppo in formato inclusivo, il 14 dicembre 2018 l’Eurosummit ha proseguito la discussione sul pacchetto globale di misure necessarie al rafforzamento dell’Unione Economica e Monetaria.

Posso dunque affermare che, poco meno di un anno fa, l’Italia, da me rappresentata, si è espressa in sede europea in maniera perfettamente coerente con il mandato ricevuto da questo Parlamento.

Su tali basi è stato dato l’incarico all’Eurogruppo di procedere alla predisposizione di una bozza di revisione del Trattato MES.

Ancora, il 19 marzo 2019, nel corso delle comunicazioni alle Camere in vista del Consiglio europeo del 21 e del 22 marzo, benché quel Consiglio, a differenza di quello di dicembre, non avrebbe avuto un corrispettivo in forma di Eurosummit, mi sono ugualmente soffermato diffusamente sul tema, in ragione dell’assoluto rilievo della questione per il futuro assetto economico e finanziario dell’Unione europea, mosso dalla consapevolezza di quanto fosse decisiva un’interlocuzione costante con il Parlamento. Neanche in quell’occasione, né al Senato né alla Camera dei deputati, risultano richieste di ulteriori approfondimenti da parte dei parlamentari intervenuti in discussione generale o in dichiarazione di voto.

Nelle comunicazioni del 19 giugno, in vista questa volta dell’Eurosummit che si è tenuto – lo ricordo – a Bruxelles il 21 giugno, ho nuovamente affrontato il tema, anche perché un generale consenso sulla bozza di revisione dell’accordo MES era stato raggiunto il 13 giugno dai Ministri dell’Economia dell’area euro.

In particolare, alla Camera, ho descritto, nel dettaglio, i contenuti della riforma. All’esito di quella discussione, è stata approvata, dalla maggioranza parlamentare di allora, una risoluzione che, in ordine alla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, impegnava il Governo “a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale e a promuovere, in sede europea, una valutazione congiunta dei tre elementi del pacchetto di approfondimento dell’Unione economica e monetaria, il cosiddetto package approach,  in modo , che possa consentire una condivisione politica di tutte le misure interessate; a trasmettere alle Camere le proposte di modifica al trattato ESM, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato”.

Nelle comunicazioni rese in Senato, espressi il mio favor per questo approccio relativo all’intero pacchetto di riforme. In particolare, ho affermato: “mi sento di sposare questo approccio, come Governo, […], perché effettivamente ritengo che proseguire soltanto in una singola direzione, posticipando le valutazioni complessive, non sia affatto un modo di procedere avveduto, accorto e raccomandabile. Dobbiamo avere una visione complessiva di questo percorso – sostenevo in quella occasione – perché solo questa ci potrà poi portare ad esprimere una valutazione politica, che sia rispondente ai bisogni dei nostri cittadini e agli interessi nazionali”.

In altre parole, ritenevo non appropriato che i Capi di Stato e di Governo decidessero senza un approccio consensuale sul quadro complessivo delle misure di approfondimento dell’Unione economica e dell’Unione bancaria e, quindi, non solo sulla riforma del Trattato del meccanismo europeo di stabilità, ma anche sullo schema europeo di garanzia sui depositi e sul budget dell’Eurozona; ho anche sostenuto che fossero comunque necessari ulteriori approfondimenti tecnici.

Durante il dibattito, nel quale comunque pochissimi sono stati gli interventi sul tema, il senatore Bagnai in particolare affermava: “Mi permetta, quindi, signor Presidente del Consiglio, di ringraziarla per il fatto che lei, in applicazione di questa norma e in completa coerenza con quel principio di centralità del Parlamento, fin dal primo giorno, affermò in questa sede di voler rispettare, sia venuto ad annunciarci che questo approfondimento tecnico ci sarà”.

In coerenza con le risoluzioni parlamentari approvate il 19 giugno, facendo valere l’impegno del Governo a rispettare la posizione espressa dal Parlamento sovrano, ho chiesto – ho bloccato la nostra discussione all’Euro-Summit per più di un’ora – e ho ottenuto – sto parlando dell’ Euro-Summit del 21 giugno – l’inserimento – nelle Dichiarazione del Vertice –  del riferimento all’“approccio di pacchetto” sui tre pilastri che tutti ormai ben conosciamo.

Cito il punto specifico della Dichiarazione dei leader: “invitiamo l’Eurogruppo in formato inclusivo a proseguire i lavori su tutti gli elementi di questo pacchetto globale”.

Inoltre, sulla riforma del Trattato MES, ancora una volta su richiesta specifica dell’Italia, si è deciso che le procedure per le ratifiche nazionali sarebbero state avviate solo quando tutta la documentazione fosse stata concordata e finalizzata.

Mi sembra quasi superfluo confermare a quest’Aula un fatto di tutta evidenza, ossia che né da parte mia né da parte di alcun membro del mio Governo si è proceduto alla firma di un trattato ancora incompleto: nessun trattato è stato infatti ancora sottoposto alla firma dei Paesi europei. Ed è altrettanto evidente che, in quel caso, avrei personalmente e preventivamente informato il Parlamento, non solo perché tenuto a farlo ai sensi della legge n. 234 del 2012, ma anche per l’assoluto rispetto che ho sempre dimostrato di tributare a questa Istituzione.

Ma non è solo questo. Vedete, l’interlocuzione con il Parlamento non si è limitata alle sole occasioni nelle quali io personalmente ho reso comunicazioni alle Camere in vista dei Vertici europei.

Oltre alle attività svolte personalmente e sulle quali mi sono già soffermato, altri membri del Governo da me precedentemente guidato hanno contribuito ad alimentare il doveroso dialogo con il Parlamento.

Più volte vari Ministri, recandosi nelle Commissioni permanenti di Camera e Senato, hanno affrontato direttamente gli argomenti connessi alle prospettive di riforma dell’Unione Economica e Monetaria, agli intendimenti del Governo in quest’ambito e, nello specifico, alla riforma del MES.

L’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria, nelle comunicazioni sulle linee programmatiche del suo dicastero, rese davanti alla commissione 6a del Senato, seduta del 17 luglio 2018, ha affrontato – tra l’altro – il tema della revisione del trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità.

Invitato in audizione dinanzi alle Commissioni riunite XIV Commissione della Camera e 14a Commissione del Senato, nella seduta del 24 luglio 2018, anche il Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea, ambasciatore Massari, ha riferito sul MES.

Inoltre, invitato in audizione dalle commissioni congiunte 5a Senato e V Camera (seduta del 17 aprile 2019) a richiesta dell’onorevole Fassina, sempre il ministro Tria riferiva nuovamente sul trattato MES e il successivo 31 luglio rispondeva sullo stesso tema a un’interrogazione a risposta immediata presentata dall’onorevole Borghi, ribadendo (sono parole dell’allora Ministro Tria) “che nei prossimi mesi si dovrà seguire un approccio complessivo in una logica di pacchetto, con riferimento ai tre ambiti delineati a dicembre scorso: revisione del trattato MES, introduzione dello strumento di bilancio per la competitività e la convergenza e unione bancaria, incluso l’EDIS”.

Lo stesso Ministro Tria ha adempiuto all’obbligo imposto dalla normativa italiana, inviando la bozza di testo di revisione del Trattato istitutivo del MES ai Presidenti delle Camere, con lettera del 9 agosto scorso.

Anche l’allora Ministro per gli affari europei Paolo Savona, invitato in audizione dalle commissioni riunite e congiunte 3a e 14a Senato e III e XIV Camera, nella seduta del 30 gennaio 2019, ha affrontato il tema. Inoltre, negli atti del Parlamento troverete traccia anche del puntuale aggiornamento sugli esiti dell’ultimo Euro-summit svolto dall’allora Ministro degli Esteri Moavero Milanesi presso le Commissioni riunite e congiunte 3a e 14a Senato e III e XIV Camera (seduta del 27 giugno 2019).

In ognuna di queste occasioni i parlamentari hanno potuto interloquire e sottoporre ai Ministri di volta in volta presenti ulteriori questioni e richieste di approfondimento.

In conclusione, considerando i numerosi interventi svolti, in Assemblea e nelle commissioni parlamentari, sia alla Camera sia in Senato, possiamo convenire che le accuse, mosse in questi giorni da diversi esponenti politici di opposizione, circa una carenza di informazione e di consultazione sulla materia così rilevante, così sensibile per gli interessi nazionali, siano completamente false.

Fermo restando che il presidente Centeno redige un resoconto dei lavori dell’Eurogruppo, che è disponibile sul sito ufficiale dell’Unione Europea.

Desidero inoltre precisare che tutto quanto avveniva sui tavoli europei, a livello tecnico e politico, era pienamente conosciuto dai membri del primo Governo da me guidato, i quali prendevano parte ai vari Consigli dei Ministri, contribuendo a definire la corale collettiva posizione dell’Esecutivo italiano sul tema.

In particolare nel Consiglio dei Ministri del 21 dicembre 2018, il Ministro per gli affari europei, Paolo Savona ha presentato la “Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, relativa all’anno 2019”, allegata al verbale del Consiglio dei Ministri. Nella relazione programmatica si legge: “Quanto a ESM, l’Italia sarà favorevole ad iniziative volte a migliorare l’efficacia degli strumenti esistenti, rendendone possibile l’utilizzo ed evitando l’attuale effetto ‘stigma’. Si opporrà tuttavia all’affidamento al MES di compiti di sorveglianza macroeconomica degli Stati membri che rappresenterebbero una duplicazione delle competenze già in capo alla Commissione europea”.

Nel successivo Consiglio dei Ministri del 27 febbraio 2019 è stata presentata e illustrata nel dettaglio la “Relazione consuntiva sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, relativa all’anno 2018.”

Nella relazione consuntiva, si legge tra le altre cose: “Con specifico riferimento alla riforma di ESM, il compromesso raggiunto ha riguardato, innanzitutto, la revisione dei suoi strumenti finanziari di supporto precauzionale (Precautionary Conditioned Credit Line – PCCL). Rispetto ai rapporti di collaborazione tra ESM e la Commissione, all’interno e fuori dai programmi di assistenza finanziaria, un accordo comune tra le due istituzioni ne ha sancito la collaborazione nel disegno della condizionalità connessa ai programmi e ne ha prefigurato la complementarietà dei ruoli nell’analisi sulla sostenibilità del debito. Inoltre, è stato previsto – leggo sempre dalla relazione allegata al verbale del cConsiglio dei Ministri – un possibile ruolo di “facilitatore” da parte di ESM del dialogo tra creditori e Stati membri nel caso di operazioni di ristrutturazione del debito (con un coinvolgimento da parte di ESM di tipo informale, non vincolante, su base confidenziale e, soprattutto, attivabile solo su richiesta dello Stato membro). Relativamente alla revisione delle Collective Action Clauses – CACs presenti nella documentazione legale sottostante i Titoli di Stato emessi dai paesi dell’Area Euro, infine, l’accordo raggiunto prevede che siano introdotte CACs di tipo “single limb” entro il 2022, includendo questo impegno nel Trattato ESM”.

È importante sottolineare fin da ora come anche l’accordo raggiunto in sede di negoziato su queste c.d. clausole di tipo “single limb” fosse specificamente affrontato nella relazione.

E voglio anche richiamare l’attenzione sul passaggio della Relazione, che lo ricordo è stata condivisa dal Consiglio dei Ministri e poi approvata dal Parlamento, in cui si dà atto che “Grazie anche all’iniziativa italiana, è stato evitato che nell’accordo finale fossero contemplate misure, chieste da diversi altri Stati membri, relative a meccanismi di ristrutturazione automatica del debito sovrano e al ruolo di MES nella sorveglianza fiscale o nell’analisi di sostenibilità del debito” e che “Il Governo ha dato seguito agli atti di indirizzo formulati dal Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati in relazione al pacchetto di proposte legislative e di comunicazioni presentate dalla Commissione Europea il 6 dicembre 2017 sui vari aspetti del completamento e rafforzamento dell’Unione Economica e Monetaria”.

Nel corso di questa seduta (parliamo della seduta del Consiglio dei Ministri del 27 febbraio 2019) il Consiglio dei Ministri ha preso atto, all’unanimità, di questo passaggio. Nessuno dei ministri presenti, compresi quelli della Lega, ha mosso obiezioni sul punto e, in particolare, sulla relazione da presentare alle Camere.

Entrambe le relazioni sono state presentate alle Camere, come previsto dall’art. 13 della legge n. 234 del 2012, e approvate definitivamente dal Parlamento dopo una ampia discussione sviluppatasi nel corso di diverse sedute delle Commissioni.

Alla Camera dei deputati, a seguito degli ulteriori pareri favorevoli sulla relazione delle Commissioni dalla I sino alla XIV sulle politiche dell’Unione europea, la XIV Commissione della Camera approvò la relazione programmatica il 21 marzo 2019.

In particolare, la V Commissione bilancio della Camera, presieduta dall’on. Borghi, nella seduta del 6 marzo 2019, espresse parere favorevole sulla relazione programmatica con la seguente condizione: “siano adottate in tutte le sedi istituzionali dell’Unione europea iniziative volte a sospendere, ove possibile, ogni determinazione conclusiva in merito agli atti di cui in premessa, nell’attesa degli esiti delle prossime consultazioni elettorali per l’elezione del Parlamento europeo”. Le elezioni si sono completate da tempo. Il parere favorevole viene condiviso dall’on. Claudio Borghi, presidente della Commissione e, in rappresentanza del Governo, il sottosegretario Massimo Garavaglia, nel prendere le distanze da un precedente intervento critico del deputato Bellachioma, ritiene equilibrata la proposta di parere favorevole poi approvata.

Al Senato la 14a Commissione Politiche UE, in sede referente, nella seduta del 24 luglio 2019 approva entrambe le relazioni (programmatica e consuntiva), con il voto favorevole dei gruppi del M5S e della Lega e previ pareri favorevoli delle Commissioni permanenti 1ª in data 10 aprile, 3ª in data 28 febbraio, 4ª in data 21 marzo, 7ª in data 12 marzo e 8 maggio, 8ª in data 7 maggio, 10ª in data 10 aprile, 11ª in data 18 aprile e 12ª in data 12 marzo.

Evidenzio che i passaggi parlamentari sulle due relazioni, in cui era già presente il contenuto della riforma del Meccanismo europeo di stabilità sono stati molteplici e tutti conclusi con voto favorevole alla linea tenuta dal Governo durante i negoziati.

Ricordo anche che i Ministri erano inoltre membri del Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE), anch’esso disciplinato dalla legge n. 234 del 2012, presieduto dall’allora Ministro Savona, nel quale avrebbero potuto legittimamente sollevare il tema e manifestare le loro perplessità.

In aggiunta, rilevo che, dopo attenta verifica dell’agenda della segreteria della Presidenza del Consiglio – della mia segreteria -, è stato possibile accertare che numerose sono state le riunioni alle quali hanno preso parte, come risulta dalle convocazioni formali, ministri, viceministri, sottosegretari e comunque vari esponenti politici delegati dalle forze di maggioranza a confrontarsi su questa materia. In particolare, tra il giugno 2018 e il giugno 2019, io ho convocato per discutere di questo argomento nel dettaglio dei vertici governativi e ben quattro riunioni proprio in materia di unione bancaria e monetaria, in cui si è approfonditamente discusso anche del MES. Sempre nello stesso periodo si sono svolte sette riunioni in materia di governance economica dell’Unione europea.

Più di recente, nel corso di questo mio secondo mandato di Governo, l’interlocuzione con il Parlamento è continuata costantemente, come dimostrano la risposta della sottosegretaria Agea all’interrogazione presentata alla XIV Commissione della Camera nella seduta del 21 novembre 2019 e l’informativa resa dal ministro Gualtieri alle Commissioni riunite 6a e 14a del Senato, nella seduta del 27 novembre 2019, qualche giorno fa.

Alla luce della ricostruzione appena sopra riassunta, corroborata da precisi riscontri documentali (e ricordo qui numerosi allegati), nessuno può oggi permettersi, non dico di sostenere apertamente ma anche solo di insinuare velatamente l’idea che il processo di riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità sia stato condotto segretamente o, peggio, firmato nottetempo.

In realtà, non solo c’è stata piena condivisione all’interno del Governo, ma su questa materia vi è stato, con il Parlamento italiano, un dialogo costante, un aggiornamento approfondito.
Qualche considerazione finale.

La discussione che si sta portando avanti in Europa sul tema del MES e sulle altre riforme connesse è fondamentale per l’Italia e per il futuro stesso dell’Unione. Il Parlamento Italiano ha riconosciuto l’importanza di questo passaggio, sottolineando nei suoi pronunciamenti e nella risoluzione votata lo scorso giugno che è “necessaria una valutazione congiunta dei tre elementi del pacchetto di approfondimento dell’unione economica e monetaria”.

Questo dibattito, tuttavia, non andrebbe strumentalizzato con notizie distorte e alimentato da accuse – come abbiamo visto – prive di fondamento, che rischiano di danneggiare il nostro Paese e di compromettere l’interesse nazionale.
Innanzitutto, va preliminarmente chiarito che il nostro Paese ha un debito pubblico pienamente sostenibile, come pure riconoscono i mercati, la Commissione europea e il Fondo Monetario Internazionale, per cui non si intravvede all’orizzonte nessuna necessità di attivare il Meccanismo Europeo di Stabilità.

Questo dibattito, al contrario, potrebbe essere l’occasione per ribadire e rilanciare il ruolo del nostro Paese nel contribuire a disegnare la nuova architettura dell’Unione economica e monetaria europea in senso coerente con gli interessi della Nazione.

Le attuali polemiche rischiano di distrarre e distogliere dalla necessità di esprimere una strategia complessiva di riforma dell’architettura europea, della quale l’Italia deve essere attiva protagonista.

Fermiamoci a considerare le parti della riforma che, anche nel dibattito pubblico, hanno attirato le critiche maggiori.

In merito al pericolo di un automatismo nella ristrutturazione del debito che verrebbe introdotto dal trattato riformato, è opportuno ribadire – ma il ministro Gualtieri ufficialmente lo ha chiarito – che il nuovo trattato non modifica affatto la disciplina relativa al coinvolgimento del settore privato nella eventuale ristrutturazione del debito pubblico del paese che beneficia dell’assistenza finanziaria del MES: al punto 12B del preambolo del nuovo trattato si legge infatti “In casi eccezionali, una forma adeguata e proporzionata di partecipazione del settori privato, in linea con la prassi del FMI, è presa in considerazione nei casi in cui il sostegno alla stabilità sia fornito in base a condizioni che assumono la forma di un programma di aggiustamento macroeconomico”. Il testo del precedente trattato, allo stesso punto, recita: “In linea con la prassi del FMI, in casi eccezionali si prende in considerazione una forma adeguata e proporzionata di partecipazione del settore privato nei casi in cui il sostegno alla stabilità sia fornito in base a condizioni che assumo la forma di un programma di aggiustamento macroeconomico”.

Non può dirsi vi siano cambiamenti sostanziali. Allo stesso modo il nuovo Trattato, lascia a una valutazione tutt’altro che automatica la verifica della sostenibilità del debito e delle condizioni macroeconomiche dei paesi beneficiari dell’intervento del MES, coerentemente con quanto preteso dall’Italia che si è opposta ad altri paesi che avrebbero invece voluto maggiori automatismi.

Infatti l’art. 13 del nuovo trattato, che disciplina la procedura di concessione del sostegno alla stabilità recita che al recepimento della domanda di aiuto finanziario da parte di un Paese membro del MES e cito: “Il Presidente del Consiglio dei governatori incarica i) il direttore generale e ii) la Commissione europea di concerto con la BCE di assolvere insieme i seguenti compiti […]” e al punto b indica tra questi compiti proprio quello di “valutare la sostenibilità del debito e la capacità di rimborso del sostegno alla stabilità. La valutazione è effettuata all’insegna della trasparenza e della prevedibilità, al contempo consentendo una sufficiente discrezionalità”. Quest’ultima previsione vale ad attenuare fortemente qualsiasi forma di automatismo che poteva essere invece nelle precedenti versioni.

Senza che mi soffermi ulteriormente su questo punto, in più parti il Trattato ritorna sul ruolo centrale della Commissione europea rispetto alla coerenza di indirizzi e valutazioni che deve esistere tra questa e il MES. Né potrebbe essere altrimenti, come ribadisce l’art. 12, comma 5, del nuovo Trattato secondo cui “nell’esercizio dei compiti attribuiti dal presente Trattato la Commissione europea assicurerà che le operazioni di assistenza finanziaria effettuate dal MES ai sensi del presente Trattato siano, ove pertinente, coerenti con il diritto dell’Unione europea, in particolare con le misure di coordinamento delle politiche economiche previste dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea”.

Il nuovo trattato non solo evita pericolosi automatismi, ma introduce anche il “common backstop”, che garantisce risorse addizionali per gli interventi del Fondo di risoluzione unico previsto dal Meccanismo di risoluzione unico, rendendo più robusto il supporto in caso di crisi bancarie.

Il negoziato ha conosciuto – a ripercorrerlo – molti passaggi critici, dove alcune proposte di modifica in senso peggiorativo per i nostri interessi nazionali sono state respinte, dietro la forte indicazione politica dell’Esecutivo e grazie anche al contributo decisivo del Parlamento.

Ad esempio è stata contrastata la convinta pretesa di alcuni Paesi che fino all’ultimo hanno insistito per attribuire al Mes un ruolo guida, o comunque equi-ordinato alla Commissione, quanto all’analisi della sostenibilità del debito.

Se alcuni profili possono essere oggetto di una valutazione differente, possiamo affermare che il negoziato sin qui condotto ha raggiunto un equilibrio in linea con gli interessi nazionali e, soprattutto, ha portato alla introduzione del c.d. backstop.

Da non trascurare in ogni caso il restante negoziato, che riguarda documenti e testi che non possiamo trascurare perché parimenti importanti e suscettibili di definire la concreta fisionomia operativa dello strumento.

L’Italia, proprio con riguardo al controverso tema delle CACs single limb dovrà battersi per ottenere che venga mantenuta la possibilità di effettuare “sub-aggregazione”, tramite la quale il voto può essere reso per gruppi aggregati appositamente, al fine di differenziare le posizioni dei diversi obbligazionisti.

Questo risultato della “sub-aggregazione”, infatti, va giudicato – e gli analisti lo sanno – come particolarmente adatto alla specificità del debito pubblico italiano, composto da una molteplicità di strumenti diversi per caratteristiche finanziarie, sia per termini di scadenza, per indicizzazione e tipologie di

investitori, tale da richiedere necessariamente una diversificazione della proposta per poter assicurare un equo trattamento.

L’Italia è quindi tutt’ora impegnata in una negoziazione volta alla definizione del quadro comune di regole che mantenga le elasticità del modello dual limb (e in alcuni casi addirittura le aumenti) pur limitando il rischio di hold-out, tipicamente esercitato da investitori altamente speculativi.

Questo aspetto si collega anche al tema del mantenimento o meno delle soglie minime che individuano i quorum deliberativi vincolanti erga omnes in caso di voto dei creditori obbligazionisti.

Per quest’ultimo aspetto alcuni Paesi chiedono insistentemente l’abbassamento di queste soglie. Ecco qui invece l’Italia considera imprescindibile il mantenimento delle attuali soglie dei due terzi.

Vorrei però estendere la riflessione oltre la mera ricognizione delle modifiche del Trattato, la vorrei estendere al contributo che il nostro Paese può fornire al rafforzamento dell’unione economica e monetaria, in vista della costruzione di un’Europa più rispondente agli interessi dei nostri cittadini.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità è solo una parte di una nuova architettura europea che deve essere credibile nelle circostanze attuali e nelle circostanze future e vorrei dire futuribili.

Il MES rappresenta una forma di assicurazione collettiva contro il rischio di contagio, fornendo, secondo procedure chiare e certe, aiuto finanziario ai paesi membri in momentanea difficoltà secondo una logica di sano ma responsabile mutuo soccorso, limitando così anche i pericoli di contagio. Non a caso nasce dell’esperienza tragica del 2011-12, quando il panico si diffuse sul mercato europeo dei titoli sovrani, con conseguenze che ricordiamo tutti davvero perniciose.

Il MES non è indirizzato contro un particolare Paese o costruito a vantaggio di alcuni Paesi a scapito di altri.

È – come ho ricordato – una assicurazione contro il pericolo di contagio e panico finanziario, va a vantaggio di tutti. Come ogni strumento di stabilità, anche questo necessita di un quadro chiaro e trasparente, in modo che vi siano garanzie di rimborso secondo un piano predefinito di caso in caso.

L’elemento di mutuo soccorso sta nel fatto di garantire agli altri Stati membri la disponibilità di fondi a costi ragionevoli, quando non si riesce ad aver accesso ai mercati finanziari se non a costi elevatissimi, insostenibili che, di per sé, minano la stabilità finanziaria.

Nel negoziato abbiamo cercato e ottenuto regole che fossero vantaggiose per l’Italia sia nel remotissimo – sottolineo – caso in cui dovessimo arrivare a chiedere anche noi fondi al MES, sia in quelli, molto più frequenti, in cui l’Italia si ritrovasse dal lato di coloro che erogano il prestito.

E il modo migliore per affrontare questa complessa e articolata riforma non è affidarsi a sterili polemiche che vorrebbero alimentare una rappresentazione manichea tra i presunti gelosi custodi dell’interesse patrio e i succubi proni pronti a raccogliere i diktat europei.

Il modo più efficace è studiare innanzitutto per poi elaborare e portare ai tavoli negoziali proposte serie, concrete e attuabili per incidere quanto più possibile sul processo di riforma in atto nel senso più conforme agli interessi dell’Italia.

Nel dibattito in corso si è levata qualche opinione di chi ritiene negativo – non mi è sfuggita – l’avere inserito nel Trattato il concetto di sostenibilità dei debiti di chi riceve il prestito e parimenti negativo l’avere definito regole chiare per la restituzione dello stesso.

Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che se il meccanismo di stabilità non fosse affidato a regole chiare e certe, quanto all’accesso ai fondi e alla loro restituzione, staremmo ora a discutere – ecco vedetela diversamente dal lato opposto – dell’avventatezza di avere consentito che il risparmio dei nostri concittadini possa essere impiegato a favore di Paesi che non appaiono in grado di restituire i prestiti.

È un bene che il Parlamento sia protagonista, è un bene che vi sia un confronto su temi così rilevanti per il nostro futuro, per il futuro dei nostri figli. Sono certo che da questo confronto possa nascere un impulso positivo per il nostro contributo nel negoziato europeo.
Perché questo accada, tuttavia, bisogna mantenere l’approccio che il Parlamento aveva giustamente sollecitato lo scorso giugno e che il Governo ha seguito nelle sue negoziazioni, e cioè al fatto che si guardi all’architettura che veniamo definendo in Europa nel suo complesso, secondo una logica di pacchetto.

L’Italia deve continuare a lavorare perché l’architettura che stiamo costruendo sia nel suo complesso solida ed efficace.

Dobbiamo lavorare in Europa affinché il processo di completamento dell’Unione economica e monetaria porti a una piena integrazione dei mercati finanziari ed elimini le debolezze ancora presenti nella sua costituzione.

Questa è la via maestra per la difesa dei nostri interessi e per un’Europa più forte, più inclusiva, più solidale, più sostenibile.

In luogo di proclami privi di ogni contenuto propositivo, ritengo che dobbiamo concentrare i nostri sforzi affinché la nuova architettura non si regga su un’unica gamba, rappresentata dalla riforma del MES. Se l’ambizione prospettata dai Paesi che adottano la moneta unica si traducesse esclusivamente in questo, ciò significherebbe che i governi non hanno appreso a sufficienza dalla storia dell’ultimo decennio.
Ecco perché, in ottemperanza alla “logica di pacchetto”, che il Governo ritiene essere elemento imprescindibile del negoziato, ritengo che, accanto al MES, debbano coesistere strumenti di bilancio comune con fondi superiori e scopo più ampio.

Il BICC è un passo nella giusta direzione ma dobbiamo fare di più e di meglio, a partire dall’assicurazione europea contro la disoccupazione.

Inoltre, è essenziale che si definisca compiutamente un sistema di assicurazione comune dei depositi (EDIS), che possa portare ad una vera mutualizzazione dei rischi.

La valutazione del Governo con riguardo alle riforme in discussione al prossimo Eurogruppo, fissato per il 4 dicembre, non può prescindere dalla consapevolezza che ci sia ancora molta strada da percorrere in questa direzione e che la logica del pacchetto sia la modalità migliore per procedere oltre, con riguardo al completamento del Mes, allo strumento di bilancio per la competitività e la convergenza e alla definizione della roadmap sull’Unione bancaria.

Per quanto mi riguarda, tornerò presto a ragguagliarvi sullo stato del negoziato, tra qualche giorno, il prossimo 11 dicembre, in occasione delle comunicazioni che renderò in vista del prossimo Consiglio europeo.
In prospettiva, appare necessario pervenire a una più piena integrazione dei mercati finanziari europei, che a tutt’oggi presentano una frammentazione che incide negativamente sull’allocazione efficiente delle risorse, sulla crescita, sullo sviluppo sociale, frenando la riduzione degli squilibri fra Paesi.

Elemento chiave per completare questa integrazione è la creazione di un safe asset per i paesi dell’Unione monetaria: essenziale come tasso di riferimento per la conduzione della politica monetaria, come strumento finanziario per favorire la diversificazione dei portafogli bancari, nonché quale elemento di stabilità complessiva dell’Unione monetaria europea di fronte al rischio di shock.

Questi sono i paletti su cui l’Italia può e deve trattare, questo è l’orizzonte di lungo periodo che deve guidare i nostri passi.

Il Governo italiano ha rispettato la lettera e la sostanza della risoluzione votata dal parlamento lo scorso giugno e, come in passato, agirà sempre nel rispetto del mandato conferito.

Auspico che il Parlamento con la sua autorevolezza, in virtù della sua legittimazione democratica, contribuisca a portare in Europa la voce di un Paese forte, di un Paese coeso, che si impegna a rafforzare le istituzioni europee secondo un piano che, ovviamente nel rispetto del nostro interesse nazionale, conduca ad una architettura più robusta e una equilibrata condivisione dei rischi, che avrebbe quale effetto finale quello di ridurli per tutti.

Grazie.

Redazione

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